di Carlo Musilli

La Bce mette a rischio la fusione tra Bpm e Banco Popolare, costringendo il governo italiano a scendere in campo per sbloccare la situazione. In gioco c’è la nascita del terzo gruppo bancario del Paese, l’aggregazione più importante dopo quelle che 10 anni fa diedero vita a Intesa Sanpaolo e a Unicredit.

Proprio la storia delle prime due banche italiane fornisce una chiave di lettura per le vicende di oggi: le fusioni Banca Intesa-Sanpaolo Imi e Unicredito-Capitalia furono pilotate tra 2006 e 2007 da Mario Draghi, allora governatore di Bankitalia. La volontà di ostacolare il nuovo matrimonio non va ascritta perciò all’attuale presidente della Bce - da sempre favorevole al consolidamento del sistema creditizio italiano - quanto alla componente franco-tedesca che gestisce l’area tecnica dell’Eurotower, cui non va a genio la nascita di un nuovo importante polo bancario nel nostro Paese.

Difficile spiegare altrimenti l’incoerenza dimostrata dalla Banca centrale europea. Lo scorso novembre tutti i più grandi istituti italiani hanno superato l’indagine Srep (Supervisory review and evaluation process), ovvero il test della Bce su capitale, liquidità, governance e modello di business: in particolare, la Banca Popolare di Milano si è piazzata in seconda categoria, mentre Banco Popolare in terza.

Oggi, tuttavia, per dare il via libera alla fusione fra le due banche, l’Eurotower pone condizioni stringenti sulla governance e soprattutto sullo smaltimento dei crediti deteriorati, che richiederebbe quasi certamente un aumento di capitale. In altri termini, da soli i due istituti vanno bene così, ma se vogliono unirsi devono mettere mano al portafoglio.

La Bce ha fatto anche altre richieste (ad esempio, entro un mese vuole un piano industriale pluriennale e una bozza dello statuto della società che nascerebbe dalla fusione), ma quella della ricapitalizzazione è la più grave e la meno comprensibile, di sicuro l’unica in grado di far saltare l’operazione.

Per scongiurare questo rischio è intervenuto il governo. Venerdì 18 marzo, poche ore dopo che i due istituti avevano reso note le condizioni poste dalla Bce, il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, ha pubblicato una nota in cui dichiara di “apprezzare questa operazione dalla quale nascerà una banca più grande e più forte, in grado di affrontare il mercato nel quadro delle nuove norme europee di settore e quindi capace di erogare più risorse alle imprese, in una stagione in cui il finanziamento degli investimenti è cruciale per il rilancio dell’economia”.

Ma i primi destinatari delle parole di Padoan non sono i tecnici della Bce, bensì i vertici dei due istituti, implicitamente esortati a proseguire con la fusione malgrado le condizioni siano più pesanti di quelle previste dai due amministratori delegati (Pier Francesco Saviotti del Banco Popolare e Giuseppe Castagna della Popolare di Milano).

Il ministro “è informato della determinazione del management” delle due banche “a procedere nell’operazione di fusione - prosegue la nota - con il soddisfacimento di tutti i requisiti indicati dalla Bce per il via libera. Un’operazione che viene recepita con favore da tutti gli stakeholder e degli investitori”.  E ancora: “Si tratta della prima operazione di fusione nel segmento delle banche popolari dopo il varo del decreto legge che ha già avuto come effetto alcune operazioni di trasformazione in società per azioni e l’avvio del processo di quotazione di alcuni istituti”.

Peccato che sabato, durante l’assemblea del Banco che ha approvato i conti del 2015, Saviotti sia stato meno deciso del ministro: “Il progetto ha qualche difficoltà - ha ammesso l’Ad - qualche ostacolo per l'approccio non facilmente comprensibile della vigilanza europea. Il buon esito non è ancora scontato… Se son rose fioriranno e mi auguro che questa fioritura possa avvenire in tempi ragionevolmente brevi”. I consigli d'amministrazione delle due banche dovrebbero riunirsi entro martedì.

Sul tema è intervenuto anche Matteo Renzi: “Vanno aiutati i processi di integrazione e fusione - ha detto venerdì il Premier al termine del Vertice Ue sui migranti -, tutto ciò che va nella direzione della riforma delle banche popolari per noi è positivo e incoraggiante. Il 2016 è l’anno in cui l’Italia deve sistemare definitivamente la propria questione bancaria, che non è grave come in altri Paesi ma ha dei margini e dei profili di problematicità per cui stiamo lavorando, anche quando voi non ve ne accorgete. Stiamo lavorando pancia a terra tutti i santi giorni per avere una soluzione compatibile con le regole e che dia tranquillità ai correntisti e garanzie agli istituti di credito”.

Molti hanno letto in queste parole un riferimento alla questione Mps, visto che la settimana scorsa alcune indiscrezioni (poi smentite) parlavano di pressioni da Palazzo Chigi per una soluzione che coinvolgesse Intesa o la Cdp. Fonti di Governo hanno quindi precisato che “quando Renzi sulle banche ha parlato di soluzione intendeva tutta una serie di provvedimenti e di iniziative che sono già in campo e che daranno i loro frutti”. E se è così problematica la fusione Bpm-Banco Popolare, viene da chiedersi in che modo si potrà mai archiviare il dossier Montepaschi.

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