di Elena G. Polidori

Siamo un’altra volta senza giornali. Perchè ogni tentativo di dialogo tra giornalisti ed editori per il rinnovo del contratto scaduto ormai due anni fa è finito nel nulla. Il governo aveva proposto un tavolo unico per legge sull'editoria e contratto dei giornalisti. Questi ultimi, attraverso i vertici della Federazione della Stampa, avevano apprezzato, offrendo ancora nuove aperture fino al punto di dichiararsi pronti a “rimettere nel cassetto” ogni rivendicazione facendo ripartire il dialogo da zero. Ma dalla Federazione degli Editori, sempre più decisa a prendere i soldi dal governo senza spendere nulla, è arrivato un nuovo, secco no. E stavolta lo schiaffo non è stato dato solo ai giornalisti ma anche al governo che con ben tre ministri (Damiano, Mastella e Gentiloni) e un sottosegretario alla Presidenza del consiglio (Ricardo Franco Levi) si era fatto portabandiera del dialogo e del confronto. Così i giornalisti, riuniti negli Stati Generali della categoria, hanno deciso di alzare immediatamente le mani dalle tastiere dei computer e di dichiarare sciopero. Si tratta, senza dubbio, della crisi più grave della storia collettiva dei giornalisti italiani. I sistemi di garanzie, le conquiste, le difese nonché la capacità di rappresentanza del sindacato a tutti i livelli sono stati messi brutalmente in discussione e trovano oggi una categoria spaesata davanti all’inusitata brutalità ed arroganza della controparte editoriale. Negando ancora una volta il confronto, ma dicendosi aperti al dialogo sulla riforma del sistema, i padroni dei giornali hanno ulteriormente dimostrato di pensare solo alle loro tasche e di infischiarsene bellamente di tutto ciò che è diverso dai loro guadagni. Per dirla con Franco Siddi, Presidente dell’ Fnsi, “la liberta' e l'autonomia dell'informazione non si misurano certo con gli indici di borsa”. Ma per gente come Caltagirone, Berlusconi, De Benedetti o Montezemolo, la Costituzione e il rispetto per le istituzioni sono carta straccia. Tant’è che anche per il ministro delle Comunicazioni, Gentiloni, c’è un quadro diverso da prendere in considerazione: dall’attuale muro contro muro tra editori e giornalisti emerge qualcosa di più di un semplice scontro su basi di diverse piattaforme contrattuali contrapposte. C’è nell’aria “una voglia di resa dei conti sociale, una strana voglia di vincere e di sfondare il muro delle relazioni sociali”. Fatto stigmatizzato anche da due segretari sindacali, il segretario Cisl Raffaele Bonanni e quello Uil Claudio Angeletti, che oltre ad intravedere nello stallo della trattativa il pericolo “di un indebolimento dell’intero movimento sindacale e del sistema delle relazioni industriali”, scorgono in questa vertenza un qualcosa di “assolutamente anomalo, la sensazione di un tentativo di liquidare il problema alla radice”. Partendo da una categoria apparentemente solida come quella dei giornalisti, i poteri forti di questo Paese stanno tentando un affondo per distruggere tutte le forme conosciute e consolidate delle relazioni sindacali e industriali. In parole povere, un attacco alla democrazia di questo Paese a partire dalla categoria che di questa, più di altri, è garante attraverso l’esercizio della libertà di informazione. Ma di questo disegno, in qualche modo eversivo, sia la Federazione della Stampa che , in seconda battuta, il governo, si sono resi conto colpevolmente in ritardo.

Così oggi, dopo che dagli Stati Generali della categoria è emersa ancora la volontà di proseguire negli scioperi e nelle azioni di lotta, anche quelle più dure e mai sperimentate prima, ci si trova davanti ad una domanda a cui nessuno, neppure il governo, è riuscito a trovare una risposta: quanto potrà durare ancora? E, soprattutto: dopo altri giorni di sciopero oltre ai tredici già consumati in quasi 700 giorni di vacanza contrattuale, cosa può attendere la categoria dei giornalisti?

Nulla, certamente, sarà come prima. Ma su questo è necessaria una riflessione. Vista la gravità della situazione, il sindacato unitario dei giornalisti, riconoscendo l'errore di lettura del contesto riguardante la categoria, dovrebbe cambiare rapidamente marcia, lasciando nelle mani di chi oggi vive davvero sul campo la professione senza troppe garanzie, le redini di un ripensamento complessivo dell’intero sistema dell’informazione, a partire dall’ingresso nell’Ordine dei giornalisti fino alle tutele e agli istituti di categoria. Se la strategia sindacale portata avanti dall’attuale Giunta dell’Fnsi si è dimostrata inadeguata di fronte allo scompaginamento del sistema, è stato soprattutto perché si è voluto, sempre e comunque, considerare la vertenza contrattuale come l’ennesimo passo verso la salvaguardia dei privilegi di pochi giornalisti garantiti delle grandi testate a discapito delle necessità della maggioranza precaria che, forse, non vedrà mai nella propria vita professionale un contratto a tempo indeterminato.

Che senso ha, per fare un esempio, la difesa del diciassettesimo scatto di anzianità a fronte dei tre quarti dei giovani della categoria a cui gli editori elargiscono l’offensiva mancia di due euro e mezzo a notizia? L’Fnsi si è fatta sfuggire l’opportunità di essere propositrice privilegiata di un ripensamento complessivo del sistema, di essere la prima a contrapporre alla volontà degli editori di distruggere le redazioni (anche attraverso l’introduzione della legge Biagi), un rinnovamento che prendesse spunto dalle reali esigenze della base dei giornalisti italiani. Sarebbe bastato ascoltare di più i precari e meno i “graduati” ad un passo dalla pensione. E’ mancato, insomma, il respiro di una progettualità che andasse oltre l’esistente e la strategia sindacale, di conseguenza, ha dimostrato sulla lunga distanza tutta la sua fragilità e inconsistenza. E adesso, comunque, è abbastanza tardi anche per dire “abbiamo sbagliato”.

Al di là dei futuri scioperi che vedranno impegnata la categoria, l’unico spiraglio vero che si intravede è che il governo dimostri durezza e intransigenza davanti alle richieste degli editori. L’ultimo "no" degli editori è stato determinato anche dal fatto che lo zoccolo duro della Fieg non ha gradito il sostegno esplicito di alcuni ministri alle ragioni dell’Fnsi. Ma a questo punto il governo è fino in fondo coinvolto in questa vertenza e difficilmente potrà fare un passo indietro. Per dirla con il deputato diessino, Giuseppe Giulietti, a questo punto ci si attende che il governo dica no agli editori: “Non si può accettare di discutere della legge sull’Editoria con chi blocca il rinnovo del contratto dei giornalisti”. Una prova di forza, senza dubbio. Ma ormai c’è davvero ben poco da perdere. A meno che il Governo, con un Decreto, blocchi l'elargizione dei fondi per l'editoria a chi non rinnova il contratto nazionale. Ne avrà il coraggio?


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