di Carlo Musilli

Anche se la Grecia dichiarasse bancarotta oggi e non restituisse più un euro del proprio debito pubblico, la Germania avrebbe comunque guadagnato dalla crisi di Atene ben 10 miliardi di euro. E' quanto emerge da uno studio dell'istituto tedesco di ricerca economica Iwh, che ha condotto delle simulazioni per stabilire gli effetti sulle casse pubbliche tedesche della vicenda greca.

Secondo l'analisi, negli ultimi cinque anni - ovvero da quando è iniziato il calvario di Atene sui mercati - la Germania ha risparmiato in tutto circa 100 miliardi di euro in termini d'interessi sul debito pubblico, una somma superiore al 3% del Pil della prima economia europea. Iwh ricorda che il 3 gennaio 2010 - prima che divampasse l'incendio finanziario greco - il rendimento del Bund decennale era al 3,2%, mentre ieri si attestava allo 0,66%.

A innescare questo crollo dei tassi sui titoli di Stato tedeschi è stata proprio la crisi ellenica, poiché il clima d'incertezza sul futuro di Atene e quindi dell'Eurozona ha spinto gli investitori a proteggere il proprio denaro puntando sui titoli più sicuri: primi fra tutti i Bund, considerati alla stregua di un bene rifugio e perciò sommersi dagli acquisti quando sui mercati si rischia il collasso.

In altri termini, i tassi d'interesse sui bond tedeschi calano ogni volta che arriva una brutta notizia dalla Grecia e "nel corso della crisi del debito di Eurolandia - scrive Iwh -, la Germania ha beneficiato in modo sproporzionato di questo effetto".

L'istituto di ricerca ha calcolato inoltre che l'esposizione della Germania alla Grecia, comprendendo anche il terzo piano di aiuti ancora da approvare, è di 90 miliardi. Ma Berlino ne ha già risparmiati 100 sui rendimenti, perciò anche in caso di default greco rimarrebbe in attivo di 10 miliardi. In questo modo la Germania esce vincitrice dalla crisi anche sul versante delle finanze pubbliche.

Per quanto riguarda invece la finanza privata, la questione si è chiusa con le grandi manovre messe in atto negli ultimi anni per salvare le banche. Il meccanismo è noto: i soldi dei Fondi salva Stati (provenienti dalle tasche di tutti i contribuenti europei) venivano trasferiti alla Banca centrale greca, la quale a sua volta li girava agli istituti di credito ellenici, che li usavano in massima parte per pagare i propri debiti nei confronti delle altre banche europee.

Così fra il 2009 e il 2014 gli istituti tedeschi hanno ridotto la propria esposizione verso la Grecia da 45 a 13,51 miliardi di euro, scaricando il peso sulle spalle dei contribuenti di tutta l'Unione. Solo che la Germania, grazie al contemporaneo crollo dei tassi d'interesse sul proprio debito, è riuscita a fare in modo che la crisi producesse un guadagno anche per le casse pubbliche, al contrario di quanto è avvenuto in tutti gli altri Paesi coinvolti nel salvataggio di Atene.

Alla luce di tutto questo, non sorprende che la Germania continui ad opporsi alla ristrutturazione del debito greco, un intervento che invece Fmi e Usa chiedono a gran voce, poiché rappresenta l'unica strada praticabile per rimettere l'economia ellenica su una traiettoria di sostenibilità, sottraendola al perverso e potenzialmente infinito schema Ponzi degli aiuti internazionali (debiti nuovi per ripagare i debiti vecchi). Eppure, dal loro punto di vista, i tedeschi hanno ragione. Perché mai risolvere in modo definitivo una crisi così redditizia?

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