di Carlo Musilli

Quanto guadagna il mega-direttore galattico di fantozziana memoria rispetto ai comuni mortali? Non è una semplice curiosità, ma una domanda a cui, negli Stati Uniti, bisognerà rispondere per legge. La settimana scorsa la Securities and Exchange Commission - l’equivalente Usa della nostra Consob -  ha annunciato che dal 2018 le aziende americane quotate dovranno rivelare a quanto ammonta la differenza di retribuzione fra il Ceo e l’impiegato medio.

A guardare i numeri, si tratta quasi sempre di un abisso. Secondo i calcoli dell’Economic Policy Institute, un think tank statunitense non-profit, due anni fa negli Usa gli amministratori delegati hanno incassato mediamente 295,9 volte più dei loro sottoposti.

Il rapporto, tuttavia, è piuttosto variabile a seconda dell’azienda: stando a una classifica di Payscale su dati di Equilar, si va dal 422/1 di Larry Merlo (Cvs) al 268/1 di Rupert Murdoch (Fox), fino al 139/1 di Jeffrey Immelt (General Electric) e al 113/1 di Alan Mulally (Ford).

La disparità di trattamento è comunque molto più ampia di quella a cui siamo abituati nel nostro Paese, se è vero che - come si legge nell’ultimo Annuario R&S a cura dell’Ufficio Studi Mediobanca -, un lavoratore medio dei grandi gruppi italiani dovrebbe lavorare 36 anni (non tre secoli) prima di raggiungere la cifra incassata nel solo 2014 dai top manager della sua stessa azienda.

Per quanto riguarda l’evoluzione nel tempo, la voragine che separa i compensi dei Ceo americani da quelli dei dipendenti si è ampliata progressivamente negli ultimi decenni e - a quanto pare - nemmeno la valanga finanziaria del 2008 è riuscita a frenare questa tendenza. Sempre l’Economic Policy Institute scrive che i soldi incassati dai boss delle società Usa sono lievitati del 937% fra il 1978 e il 2013, mentre nello stesso periodo gli stipendi dei lavoratori di fascia media sono aumentati soltanto del 10,2 percento. E negli anni Ottanta il rapporto fra le retribuzioni era ancora di circa 30/1.

In questo contesto, la nuova norma introdotta dalla Sec (peraltro con una maggioranza risicatissima: tre voti a due) non ha un valore didascalico né moralistico, ma decisamente pratico. In teoria, che un Ceo guadagni molto più dei suoi sottoposti è normale, perché ha più responsabilità e - si spera - competenze e capacità di livello superiore. Il problema nasce quando si passa da una ragionevole disparità a una pioggia incontrollata di soldi, perché la facilità nell’attribuzione dei bonus spinge all’assunzione di rischi eccessivi.

E’ una regola perversa che vale per i Ceo come per i normali trader: chi scommette più o meno alla cieca incassa un premio se vince, ma non rischia quasi nulla se perde. E proprio questo squilibrio è fra le cause più rilevanti di molti disastri finanziari d’età contemporanea.

Non a caso, la nuova norma sulla trasparenza dei compensi era contenuta nel Dodd-Frank Act, la riforma messa a punto nel 2010 per correggere alcune delle storture più pericolose di Wall Street. L’obiettivo principale era ridurre l’esposizione al rischio dei colossi della finanza, in modo da evitare che un disastro come quello del 2008 possa ripetersi. Purtroppo, il pacchetto di misure è rimasto in gran parte lettera morta a causa del fuoco incrociato di Repubblicani e lobby finanziarie.

La regola che entrerà in vigore dal 2017 (i primi dati saranno pubblicati l’anno successivo) è quindi una piccola ma significativa vittoria per l’amministrazione Obama. “L’obbligo della trasparenza nelle remunerazioni darà informazioni importanti agli investitori e agli altri attori del mercato”, ha commentato dopo il via libera alla norma uno dei commissari della Sec, la democratica Kara Stein.

D’altra parte, quello che si richiede di elaborare alle società quotate è un indice statistico e - come tale - sarà certamente manipolato in ogni modo possibile. La stessa Sec ha stabilito che le aziende potranno utilizzare il metodo di calcolo che “funziona meglio per le proprie circostanze” e determinare una retribuzione mediana basata su una campionatura dei propri dipendenti, non una media ponderata sul loro numero complessivo.

Non bisogna poi dimenticare che molti bonus vengono attribuiti ai dirigenti sotto forma di stock option (opzioni su azioni) e perciò possono essere incassati anche a distanza di anni. Quanto ai dipendenti, negli Stati Uniti la retribuzione non è determinata solo dallo stipendio, ma anche dall’assistenza sanitaria, altro elemento che potrebbe non rientrare nel calcolo del nuovo indice.

Fatte salve tutte queste riserve, è interessante notare che i compensi stratosferici dei mega-direttori galattici di Wall Street non sono più un segreto ormai da qualche anno. La domanda a cui la maggior parte delle aziende non vorrebbe rispondere, perciò, è un’altra: “Quanto li pagate i comuni mortali?”.

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