di Carlo Musilli

Il cervello che guida la politica economica europea manifesta i sintomi di un disturbo dissociativo. Fino a un paio di anni fa la Troika parlava con una sola voce, mentre ora sembra affetta da personalità multipla: Bruxelles continua a indicare il rigore dei conti come unica strada praticabile, mentre il Fondo Monetario Internazionale non smette di chiedere scusa per aver sostenuto in passato la politica europea dell'austerità.

Fra i due estremi s'inserisce la Bce di Mario Draghi, che esorta i Paesi dell'Unione a rispettare il Patto di Stabilità, ma intanto prepara il Quantitative easing all'europea, la più grande inondazione di liquidità che i nostri mercati abbiano mai conosciuto.

Queste tre voci hanno dato vita la settimana scorsa a un coro stonato. "Non possiamo cambiare le regole durante il gioco, possiamo solo usare la flessibilità esistente nel Patto: il suo rispetto è cruciale per l'Eurozona", ha detto giovedì Jeroen Dijsselbloem, presidente dell'Eurogruppo, commentando la proposta renziana di scorporare alcuni investimenti dal calcolo del deficit. Si tratta di un'idea lanciata a suo tempo da Mario Monti, l'ultima persona che si può tacciare di antieuropeismo, eppure non incontra il favore di Bruxelles.

A questo punto è un mistero quale sia la "flessibilità esistente nel patto" evocata da Dijsselbloem. Di sicuro non ha a che vedere nemmeno con i tempi d'attuazione, visto che Italia e Francia continuano ad essere sul banco degli imputati per aver fatto slittare il conseguimento degli obiettivi di bilancio.

Su questo punto il nuovo Commissario agli affari economici, Pierre Moscovici, avverte che l'assenza di bocciature "non vuol dire che la storia sia finita", perché la Commissione sta valutando se chiedere "altri sforzi ad alcuni Stati". La posizione del socialista francese è forse il simbolo più eclatante della dissociazione europea, visto che proprio lui - quando era ministro dell'Economia nel suo Paese - ha contribuito più di ogni altro a far deviare i conti della Francia dalla rotta imposta da Bruxelles.

Piazzato in Commissione dal Pse nella speranza che ammorbidisse l'impostazione rigorista dell'Ue, Moscovici è stato sottomesso da Jean Claude Juncker al potere di veto del falco Jyrki Katainen - nuovo vicepresidente dell'Esecutivo comunitario - e ora non può far altro che adeguarsi. "Non possiamo esagerare con la creatività", ha detto a proposito dello scorporo degli investimenti.

E' chiaro perciò che dall'Unione europea non arriverà alcuna svolta in tema di politica economica: saranno forse possibili alcune concessioni, e il piano Juncker per 300 miliardi d'investimenti produrrà qualche risultato, ma non quello shock sistemico e strutturale di cui l'Ue avrebbe bisogno.

Al contrario, nell'approccio del Fondo monetario internazionale qualcosa è cambiato davvero. Dopo i vari mea culpa per la macelleria socio-economica inflitta alla Grecia, martedì scorso l'Fmi ha allargato il raggio dell'autocritica, definendo "prematuro" il richiamo del 2010-2011 a ri-orientare verso austerità le politiche di bilancio. In un documento del suo Indipendent evaluation office, il Fondo ammette che le misure imposte ai Paesi europei in crisi "non si sono rivelate pienamente efficaci nel sostenere la ripresa e al tempo stesso hanno esacerbato le ricadute negative".

Insomma, l'Fmi si è reso conto che imporre a un Paese in recessione di concentrarsi sul taglio di deficit e debito equivale a salvare un uomo in mare gettandogli un'ancora invece di un salvagente. Purtroppo l'illuminazione è arrivata tardi, e negli ultimi anni la possibilità di mettere in campo misure espansive è stata concessa soltanto alla Bce, che ha salvato le banche, ma non è riuscita a trasmettere risorse sufficienti all'economia reale.

L'Eurotwer però non si arrende e prepara nuove mosse. Sempre giovedì scorso, Draghi ha annunciato che il Consiglio direttivo "ha dato mandato allo staff della Bce di preparare ulteriori misure" che potrebbero risultare necessarie per contrastare la bassa inflazione. Parole che sono state lette come un chiaro riferimento a un Quantitative easing in stile Fed, ovvero un programma per l'acquisto generalizzato di titoli privati e pubblici da parte dell'istituto centrale.

Questa mossa - sollecitata a più riprese sia dall'Fmi sia dall'Ocse - si somma ai diversi interventi già varati: il taglio dei tassi d'interesse al minimo storico dello 0,05%, le aste Tltro per fornire liquidità a buon mercato alle banche (che sono obbligate a usarla per finanziare l'economia reale) e i piani per l'acquisto di titoli Abs e di obbligazioni garantite (covered bond).

L'Europa arriverà così al paradosso di avere una politica monetaria comune ultra-espansiva, mentre i singoli parlamenti nazionali - nel rispetto del Patto di Stabilità - continueranno a produrre manovre finanziarie votate (nel migliore dei casi) alla stagnazione.

Rientra in questa categoria anche l'ultima legge di Stabilità italiana, dal momento che, secondo le ultime simulazioni dell'Istat, "nel 2015 e nel 2016 la crescita economica reale beneficerà in modo marginale delle manovre espansive, rimanendo sostanzialmente invariata rispetto al quadro tendenziale". Sempre che, nel frattempo, le personalità multiple non siano aumentate.

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