di Carlo Musilli

Mario Draghi spara un altro colpo dal bazooka della Bce. Anzi, due. Contro le aspettative di quasi tutti gli analisti, ieri il Consiglio direttivo della Banca centrale europea ha deciso di tagliare ulteriormente i tassi d'interesse: quello di riferimento è sceso dallo 0,15 allo 0,05 (nemmeno a dirlo, nuovo minimo storico), mentre quello sui depositi, che era già negativo, è sceso da -0,1 a -0,2%. Il primo taglio serve ad abbassare il costo del denaro per cercare di rianimare l'inflazione, mentre il secondo punta a distogliere le banche dalla tentazione di parcheggiare la propria liquidità presso l'Eurotower (un tasso negativo vuol dire che non si ricevono interessi, si pagano).

Il secondo intervento vede la Bce coinvolta in modo ancora più attivo. Il board dell'istituto ha dato il via libera a un piano di acquisto di titoli Abs, ovvero cartolarizzazioni di crediti bancari a imprese non finanziarie e obbligazioni garantite. Si tratta di strumenti che la Banca centrale conosce molto bene, perché da anni le vengono consegnati come garanzia per i prestiti. La novità è che stavolta da Francoforte partiranno dei veri e propri ordini d'acquisto, con l'obiettivo di sgravare le banche e allo stesso tempo immettere altra liquidità sul mercato.

Questa misura inciderà in modo significativo sul bilancio della Bce, così come i Tltro, ovvero i prestiti per un importo complessivo massimo di mille miliardi che la Bce inizierà questo mese a distribuire fra gli istituti di credito, cui però stavolta è imposto l'obbligo di usare le risorse incassate per riaprire i rubinetti del credito.

Insomma, siamo finalmente di fronte a misure espansive. Tanto è vero che i mercati europei hanno stappato lo champagne: Borse in rialzo (Piazza Affari addirittura +2,82%), spread in picchiata (il rendimento sui Btp decennali già in circolazione ha toccato un nuovo minimo storico) e euro a picco fin sotto quota 1,3 dollari (il minimo da oltre un anno).

Tutto ciò fa sorgere un quesito: perché mai la Bce ha aspettato tanto a muoversi in questa direzione? Esiste più di una risposta. La più ovvia è che tutti in Europa si sono accorti di aver clamorosamente ciccato le previsioni, sovrastimando la ripresa. Nel secondo trimestre l'Italia è addirittura tornata in recessione tecnica e perfino il Pil della Germania è scivolato in rosso. I consumi e la produzione non ripartono e intorno all'area euro si addensa a poco a poco il fumo della deflazione, un mostro capace d'innescare spirali mortifere (se so che i prezzi scendono rinvio gli acquisti, la domanda cala, quindi i produttori abbassano ancora i prezzi, e così via, finché le fabbriche chiudono e si rischia il collasso).

Il secondo punto da tenere a mente è che la Bce non può essere considerata una Banca centrale a tutti gli effetti. Non lo è. Nel suo statuto c'è scritto che deve salvaguardare la stabilità dei prezzi, ma non che deve tutelare i livelli occupazionali. Zavorrata dall'ideologia suicida del rigore prima di tutto, fin qui è rimasta pressoché immobile mentre gli altri principali istituti centrali del mondo (Federal Reserve, Bank of Japan e Bank of England) inondavano di liquidità il mercato per ridare ossigeno al sistema, senza che questo portasse i tassi d'inflazione a crescere oltre il dovuto.

Ora si parla di un Quantitative easing all'europea, ovvero una massiccia operazione di acquisto di bond pubblici e privati da parte della Bce, sulla scorta di quanto già sperimentato con successo dalla Fed. Sarebbe il colpo definitivo del bazooka di Francoforte, la mossa oltre la quale nessun governatore si potrebbe mai spingere, a meno di non trasformare l'Eurotower in una banca centrale uguale alle altre.

Sulla strada del Quantitative easing Draghi dovrà superare ancora una volta l'opposizione del falco Jens Weidmann, governatore della Bundesbank. Ci riuscirà senz'altro, potendo contare su un asse collaudato con Angela Merkel che gli ha già consentito di scavalcare il governatore tedesco in varie occasioni, dal varo delle Omt ai tagli dei tassi. Al contrario dello speculatore Weidmann - che proprio non riesce a spingere il proprio sguardo oltre gli spread - la cancelliera sembra aver finalmente capito che anche la Germania ha bisogno di una Bce con i forzieri aperti per scacciare il fantasma di una crisi da sovrapproduzione.

In primo luogo perché indebolire l'euro favorisce l'export: i tedeschi sono i principali esportatori del continente e come tutti (più di tutti) dovranno fronteggiare l'embargo stabilito dalla Russia in risposta alle sanzioni Ue per la crisi ucraina. Inoltre, è anche possibile che a Berlino abbiano finalmente acquisito un concetto all'apparenza banale: se in Europa i consumi non ripartono, se la domanda muore, alla fine non rimarrà nessuno a comprare i prodotti tedeschi.

L'evidenza degli errori fin qui commessi ha consentito all'Eurozona di fare dei passi avanti, l'ultimo dei quali è quello compiuto ieri da Draghi. Peccato che la crisi economica e sociale in corso non sia ancora bastata a far sì che qualcuno rimetta in discussione i trattati, a cominciare da quello di Maastricht, che pur avendo oltre 20 anni continua a imporci parametri di bilancio manifestamente assurdi per chiunque abbia l'obiettivo di ripartire. Cominciamo ad allentare il cappio, ma lo abbiamo ancora intorno al collo.

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