di Marco Dugini

Nella giornata di martedì scorso è uscita, inattesa e a mezzo stampa, la bozza più recente della finanziaria in divenire, a tre giorni precisi dal Venerdì (nero?) in cui verrà infine varata: il che ha scatenato ire a destra e a manca. Tagli, rigore, ancora tagli per Istruzione, enti locali, previdenza sociale. Quasi tutte le segreterie dell’Unione si sono dette allarmate e, per motivi opposti, la stessa reazione è venuta dalla Casa delle libertà. Su tutti poi ha svettato lo scudo unico e trino della ritrovata unità dei sindacati confederali, che hanno subito minacciato lo sciopero generale, mentre il sindacato di base con Bernocchi (Cobas) ha persino dato il via allo sciopero della fame. Pare che il walzer dei tagli, direttore d’orchestra Padoa Schioppa, suoni ormai come una melodia stridula per le orecchie di molti.
Va però detto che la stessa bozza è stata successivamente sconfessata come inattendibile dal ministro Fioroni e da una nota del ministero del Tesoro, mentre Prodi ha dichiarato di stare lavorando per raggiungere il massimo del consenso intorno alla prossima finanziaria.
Ma perché è uscita questa bozza, e così approfondita, allora? Per bruciare una finanziaria di questo segno politico o per tastare il terreno delle parti sociali?

Come che sia, l’abolizione dell’Inps, e la scelta di unificare gli istituti previdenziali ha provocato il niet del ministro del lavoro Cesare Damiano, i tagli agli enti locali hanno allarmato Leonardo Domenici, presidente dell’Anci (Associazione Nazionale Comuni d’Italia), ma soprattutto è il mondo intero della scuola in subbuglio.
Si parla di riduzione del numero di insegnanti (ivi compresi quelli di sostegno), di riduzione del numero di classi e dimezzamento degli scatti d’anzianità.
La Flc Cgil insorge: “Macelleria sociale”, mentre la Cisl scuola sta sulle note del “neanche il peggior governo di destra”.
Su tutto regna la confusione più assoluta, e la situazione non è proprio ottima, mancando ormai pochi giorni alla data fatidica in cui una finanziaria, quale che sia, dovrà pur essere varata.

Di certo ormai c’è che la sinistra radicale ha definitivamente ceduto non solo sulla proposta di spalmare il debito su due anni, ma anche sulla stessa - fino ad ora contesa - entità della manovra, che sarà, è ormai chiaro, sui 30 miliardi. Resta da stabilire quanti di questi miliardi verranno dai tagli alla spesa pubblica.
Così il ministro della solidarietà sociale Ferrero, in quota Prc, constatato che ormai la linea decisa è quella più rigorosa possibile, chiede che tale rigore “lo paghino quelli che non lo hanno mai pagato in questi anni”, con evidente riferimento al blocco sociale favorito dalla legislatura berlusconiana. Quindi, propone Ferrero, “aliquote al 45% per i redditi annuali superiori ai 70.000 euro”.

Il centro-destra, dal canto suo, si domanda retoricamente dove verranno presi questi soldi e si risponde: con una stangata fiscale per gli italiani.
Ed ecco pronti i “girotondi” di destra in tutte le migliori piazze, fino ad ora da loro detestate. Sono i caroselli tricolore di An e alleati, salvo la solita Udc che anche qui si smarca dal resto dell’opposizione.

Se sulla politica estera dell’Unione la Cdl non ha potuto mettere in crisi l’esecutivo, è allora sulla politica economica che si concentreranno tutti gli attacchi. La “sinistra delle tasse”, e Visco il vampiro del fisco, sono certamente slogan dalla forte ricaduta su quella metà di italiani che non ha accordato il proprio consenso al centro-sinistra nelle passate elezioni.

Tuttavia, e questo è un serio problema, l’esecutivo sta alienandosi le simpatie persino del suo elettorato, qualora riconfermasse la logica dei tagli alla spesa sociale.
Vale per i Ds, da cui la Cgil si sta allontanando sempre più, non essendo più disposta a fare da sindacato-cinghia di trasmissione in un contesto così impopolare per i suoi stessi iscritti, e vale per una sinistra radicale che sulla riuscita del secondo governo Prodi ha investito tutta se stessa, a costo di svolte e strappi. A questo punto sono in molti a domandarsi quante riforme porti davvero in grembo questo riformismo moderato, base ideologica del futuro Partito Democratico, per come si è delineato fino ad ora.

Possibile che una politica economica venga pensata soltanto attorno al problema, pur evidente, del deficit pubblico? Possibile che a fronte di tagli che sarebbero compresi se fatti ai settori più burocratici e parassitari del sistema, non corrispondano altrettanti investimenti a settori da cui dipenderà il futuro della nazione in termini di produzione della ricchezza?
D’altronde era questa la logica propugnata da Prodi nel salottino di Bruno Vespa, davanti a nani e ballerine che lo intervistavano, quando gli si domandava quale sarebbe stata la sua futura linea politica in caso di vittoria alle elezioni.
E, per ultimo, era davvero necessario darsi un ministro dell’Economia come Padoa Schioppa, figura eminente del mondo dell’accademia, che pare essere stato direttamente pescato dall’organigramma del fu governo Crispi, così tecnico, così banchiere, e dedito solo a “far cassa” nei tempi più stretti possibili?

Siamo così passati dalla politica aziendalista e creativa del governo Berlusconi, a quella ragionieristica dell’attuale esecutivo.
Il passo è stato davvero breve, mentre a mancare, ormai da molti anni, sono le gambe della politica, intesa nella sua migliore accezione, cioè di visione d’insieme del futuro di un Paese. E poi azione.
Non é per questo che eleggiamo e paghiamo i nostri politici?








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