di Mario Lombardo

Per mesi i media americani e non solo avevano previsto un probabile crollo dei mercati in concomitanza di un’eventuale decisione da parte della Federal Reserve di iniziare ad abbandonare, sia pure gradualmente, l’infusione multimiliardaria di denaro nel sistema finanziario ufficialmente per “stimolare” la crescita economica. Al contrario, quando nel pomeriggio di mercoledì il governatore uscente della Banca Centrale degli Stati Uniti, Ben Bernanke, ha annunciato l’avvio del cosiddetto “tapering”, gli indici di borsa di Wall Street sono schizzati verso l’alto, rispondendo più che positivamente alle rassicurazioni circa il mantenimento di una politica monetaria “altamente accomodante” anche nel prossimo futuro.

Dopo una riunione di due giorni del Comitato Federale del Mercato Aperto della Fed (FOMC), Bernanke ha finalmente fatto sapere che già a partire da gennaio inizierà a venire ridotta la quantità di denaro stampato mensilmente e che ha finora drogato le borse d’oltreoceano. Per il momento, la Fed scenderà soltanto da 85 a 75 miliardi di dollari al mese, riducendo di 5 miliardi gli acquisti di bond del Tesoro e di altrettanti per quelli di titoli legati ai mutui. Il rallentamento degli acquisti proseguirà poi progressivamente nei mesi successivi fino ad esaurirsi, sempre che lo stesso FOMC lo ritenga opportuno.

L’aggressiva politica monetaria perseguita finora dalla Fed rientra nella strategia del cosiddetto “quantitative easing”, giunto ormai al terzo round dall’esplosione della crisi finanziaria nel 2008 e consistente, in sostanza, nella messa a disposizione di migliaia di miliardi di dollari per la speculazione.

In seguito a questa politica, la Fed ha oggi in portafoglio “asset” finanziari pari a circa 4 mila miliardi di dollari, contro meno di 900 miliardi alla fine del 2008, trovandosi quindi pericolosamente esposta in caso di esplosione della bolla che essa stessa ha contribuito ad alimentare.

Se questo strumento dovrebbe dunque essere abbandonato nei prossimi mesi, Bernanke ha rassicurato gli investitori su un altro punto fondamentale, cioè il mantenimento nel lungo periodo di tassi di interesse prossimi allo zero, incontrando l’approvazione dell’industria finanziaria. Wall Street ha così chiuso la giornata di mercoledì in netto rialzo, con il Dow a +1,8%, lo Standard & Poor’s 500 a +1,7% e il Nasdaq a +1,2%.

Come ha spiegato giovedì al New York Times l’economista Henry Kaufman, infatti, “i mercati ritengono che la questione cruciale sia quella del livello dei tassi di interesse a breve”, poiché le garanzie della Fed in questo ambito “consentiranno di continuare a prendere rischi e di fare investimenti speculativi”.

Per garantire queste condizioni ai mercati, Bernanke ha dovuto annunciare un cambiamento della politica mantenuta finora dalla Fed. I tassi di interesse, cioè, rimarranno a livelli infimi ben dopo la discesa del livello ufficiale di disoccupazione al di sotto del 6,5%, al raggiungimento del quale la Fed aveva promesso di invertire la tendenza e di far salire i tassi.

In definitiva, i tassi di interesse rimarranno prossimi allo zero almeno fino al 2016 - quando il livello di disoccupazione previsto dovrebbe essere di poco superiore al 5% - e anche successivamente potrebbero non superare il 2%.

Per i media ufficiali e gli ambienti finanziari americani, il prossimo disimpegno della Fed, deciso in anticipo rispetto alle previsioni, sarebbe dovuto ad un miglioramento della situazione economica. In realtà, della “ripresa” teoricamente in atto ha finora beneficiato solo una ristretta cerchia di privilegiati e, soprattutto, gli speculatori di Wall Street grazie proprio al “quantitative easing”. La stessa percentuale ufficiale di disoccupati, oltre a risultare ben al di sopra dei livelli pre-crisi, appare fuorviante, visto che è dovuta in buona parte all’uscita dal mercato del lavoro di milioni di persone che hanno smesso di cercare un impiego.

Inoltre, anche le previsioni di crescita negli USA della Fed appaiono modeste per i prossimi anni, mentre quelle relative ai livelli di inflazione - che rimarranno a lungo ben al di sotto dell’obiettivo del 2% fissato dalla stessa Banca Centrale - indicano una tendenza recessiva, se non addirittura deflattiva, dell’economia reale.

Per questo, sembra decisamente più verosimile che a spingere Bernanke e gli altri governatori della Fed a procedere con il “tapering” siano stati i timori diffusi per le conseguenze della politica monetaria aggressiva implementata finora, inclusa una possibile nuova crisi finanziaria ancora più distruttiva di quella del 2008.

Ciononostante, anche con il progressivo venir meno del programma di acquisto di bond e titoli, il flusso di denaro per la speculazione non conoscerà soste. Anzi, Bernanke ha ulteriormente assicurato che, mentre il resto della popolazione americana dovrà continuare a fare i conti con tagli e misure di austerity, per gli speculatori la politica “accomodante” non sarà messa in discussione nemmeno dopo la fine del suo mandato, prevista per il 31 gennaio prossimo.

Infatti, come era ampiamente risaputo, il governatore uscente ha garantito che la prossima numero uno della Fed, Janet Yellen, “appoggia in pieno” le decisioni prese mercoledì. D’altra parte, la vice di Bernanke, assieme al suo diretto superiore, è considerata una degli architetti della politica monetaria attuale ed era stata scelta dal presidente Obama dopo il ritiro della candidatura dell’ex segretario al Tesoro, Larry Summers, costretto a farsi da parte in seguito alla tempesta provocata dall’annuncio delle sue intenzioni di rallentare in maniera relativamente rapida le misure a favore di Wall Street previste dal “quantitative easing”.

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