di Carlo Musilli

Lo Stato italiano vanta condizioni finanziarie talmente spumeggianti che il Governo sta pensando di caricare sui contribuenti anche il salvataggio di Alitalia. Non tutto, ma una discreta fetta. Da giorni un coro di voci istituzionali ripete che l'Esecutivo è impegnato a salvare "l'italianità di un asset strategico per il Paese", ma il patriottismo economico è con tutta evidenza uno specchietto per le allodole.

La verità è che gli italiani hanno già salvato l'ex compagnia di bandiera nel 2008, quando l'azienda fu privatizzata pagando con soldi pubblici debiti per quattro miliardi di euro. All'epoca Silvio Berlusconi impedì la completa cessione ad Air France-Klm (che entrò comunque nel capitale con il 25%) e favorì l'ingresso dei cosiddetti "Capitani coraggiosi", una cordata italiana guidata da Intesa Sanpaolo (l'ad era Corrado Passera), Roberto Colaninno e Benetton.

Da allora Alitalia ha accumulato perdite per più di 1,1 miliardi e debiti per un altro miliardo, a fronte di un capitale sociale che ad oggi si aggira intorno ai 200 milioni. Il baratro è vicino: senza una nuova iniezione di risorse la compagnia dovrà portare i libri in tribunale entro un paio di settimane. Intanto, l'Eni ha annunciato di non essere disposta a fornire altro carburante a credito dopo questo fine settimana (le fatture da pagare ammontano già a 35 milioni). 

Per evitare il default, il Governo sta cercando un partner pubblico che faccia da stampella alla malandata compagnia. In sintesi, il piano è questo: un aumento di capitale da 300 milioni sottoscritto per 100-150 milioni da una o più aziende statali e per il resto dai soci italiani e da Air France-Klm (i francesi dovrebbero investire al massimo 75 milioni per evitare di diluire la propria quota), cui si dovrebbero aggiungere nuovi prestiti per 200 milioni, che però le banche sono disposte a concedere solo in presenza di un significativo impegno dello Stato. Il conto totale ammonta a 500 milioni, che dovrebbero garantire un altro anno di affannosa sopravvivenza.

Il dilemma politico di questi giorni è trovare una società pubblica disposta all'impresa: un contributo potrebbe arrivare sia da Ferrovie dello Stato, ma per giorni si è parlato soprattutto di Fintecna, controllata dalla Cassa depositi e prestiti. Peccato che, a quanto pare, i vertici della Cdp siano assolutamente contrari all'operazione. Di qui lo stallo, che però ieri è sembrato sbloccarsi con la discesa in campo delle Poste italiane, che potrebbero mettere sul piatto fino a 75 milioni e intascare una partecipazione fra il 10 e il 15%.

Sempre ieri Vito Riggio, presidente dell'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac), ha chiarito che, se il piano dovesse fallire, da sabato gli aerei Alitalia rimarrebbero a terra: "Davanti a un'ipotesi così drammatica dobbiamo prendere atto che non ci sono gli estremi e le condizioni per andare avanti. Per scaramanzia non lo voglio dire, ma il regolamento è chiaro: se una compagnia non ha fondi per far fronte agli impegni, non c'è alternativa".

Comunque vada a finire - lo scopriremo al termine del Cda di oggi pomeriggio - la situazione è paradossale: gli italiani hanno già pagato per salvare Alitalia e uscirne, ma ora si chiede loro di tornare ad esserne azionisti. Come mai? Semplice, è un pessimo affare. Ma se nel 2008 l'azienda era pubblica, oggi stiamo parlando di una società privata, che andrebbe trattata come tale. Anche perché la natura strategica della compagnia aerea è quantomeno controversa, visto che non contribuisce in modo sostanziale al Pil e non è certamente insostituibile.

Con buona pace dei più patriottici, l'unica soluzione definitiva al dramma Alitalia è la cessione ad Air France. Il problema è che, viste le condizioni disastrate dell'azienda, i francesi pongono delle condizioni molto pesanti: carta bianca su dipendenti e collegamenti, e soprattutto nessun debito. I creditori rimarrebbero quindi senza nulla. E di chi si tratta? Banche, naturalmente. I soggetti più esposti al debito di Alitalia sono Unicredit, Intesa Sanpaolo, Popolare di Sondrio e Mps.

Il vero nodo della questione è perciò negli interessi degli istituti di credito, che non hanno intenzione di perdere un euro. E l'aiuto pubblico dovrebbe invogliare Air France a chiudere l'operazione nonostante i debiti. D'altra parte, le alternative italiane non esistono. Da noi i Capitani saranno pure coraggiosi, ma sempre con i soldi degli altri.

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