di Carlo Musilli

Goodbye Bruxelles... Oppure no? Saranno gli elettori a deciderlo. Ieri il Partito Conservatore britannico ha presentato un progetto di legge sul tanto pubblicizzato referendum per uscire dall'Unione europea. Un'idea che aveva già ottenuto l’approvazione del primo ministro David Cameron e che dovrebbe portare il Paese alle urne entro il 2017. Si tratta certamente di una trovata elettorale, ma il suo potenziale è quantomeno destabilizzante.

Innanzitutto sul fronte continentale, dove rischierebbe di provocare una crisi diplomatica (per il mancato rispetto dei trattati internazionali) e forse anche una nuova tornata di speculazione anti-euro (sport in cui le banche della City sono maestre indiscusse).

L’uscita di un Paese dall’Ue non creerebbe certo gli stessi problemi di una defezione all’interno dell’Eurozona, né sarebbero paragonabili le procedure (peraltro mai scritte). Ma i mercati potrebbero giocare al massacro sulla scorta di una semplice deduzione: se oggi qualcuno può abbandonare l’Unione, perché mai domani qualcun altro non potrebbe salutare Eurolandia?

E ancora: l'Europa unita, già debole a livello globale, avrebbe ancora senso se si privasse della sua terza economia? In realtà, molti Conservatori inglesi sostengono la necessità di rimanere nel mercato unico europeo, ma allo stesso tempo vorrebbero sottrarsi ad altre pratiche comunitarie, nella convinzione che stiano diventando sempre più burocratiche e anti-democratiche.

Ma prima di sottoporre questi dubbi amletici ad altri 26 Paesi, gli adepti di Cameron dovranno risolvere un paio di grane in casa. Purtroppo per loro, al momento non hanno la maggioranza in Parlamento: fanno parte di una coalizione di governo con i liberaldemocratici, i quali non hanno alcuna intenzione di uscire dall’Ue. Il progetto referendario potrebbe quindi fallire, a meno che i parlamentari di altri partiti non lo sostengano.

Da parte sua, Cameron - che guida il governo di coalizione da tre anni - ha annunciato la ratifica della proposta lunedì sera, mentre si trovava in visita negli Stati Uniti. Quattro mesi fa il Premier si era assunto un impegno di fronte al Paese: rinegoziare i termini dell'adesione britannica all'Ue per poi tenere il famoso referendum entro cinque anni. Una posizione che però secondo qualcuno non è ancora abbastanza netta, dal momento che un centinaio di parlamentari conservatori potrebbe presentare un emendamento per criticare la decisione del governo di non anticipare la consultazione.

Sembra quindi che l'obiettivo numero uno del Premier non sia affatto ridefinire il ruolo del Regno Unito nello scacchiere politico ed economico internazionale, quanto cercare di mantenere la coesione dei Conservatori intorno al tema che più di ogni altro ha diviso la destra inglese negli ultimi decenni. L'integrazione continentale, in passato, ha contribuito alla caduta di Margaret Thatcher e di John Major. Già nel 2006 Cameron aveva intimato al suo partito di "smettere di fare casino sull'Europa".

Oggi però la situazione è ancora più difficile da gestire, soprattutto perché negli ultimi tempi è aumentata incredibilmente la popolarità dell'euroscettico Ukip (il Partito per l'Indipendenza del Regno Unito), che secondo alcuni sondaggi potrebbe contare ormai sul 18% dei voti nazionali (al momento non ha alcun rappresentante in Parlamento). Un'ascesa che naturalmente sottrae fiumi di voti ai Conservatori, più che mai angosciati in vista delle elezioni generali del 2015.

Il fenomeno è stato confermato dalle recenti consultazioni locali: l'Ukip è passato da otto a ben 147 consiglieri, ottenendo in media il 25% dei suffragi nelle circoscrizioni in cui ha presentato dei candidati. Al contrario, i Conservatori sono andati peggio del previsto, perdendo 335 seggi e fermandosi a quota 1.116.

Cameron vuole tamponare la ferita per non rischiare di morire dissanguato, ma lo fa in modo quantomeno sospetto. Basta ragionare sulla data scelta per il referendum: prevedere la consultazione nel 2017 significa vincolarla alla vittoria dei Conservatori alle prossime elezioni. "Sarebbe sbagliato chiedere ai cittadini se vogliono restare o uscire - si era giustificato Cameron a gennaio - prima di avere avuto la possibilità di correggere i nostri rapporti con l'Unione europea".

Insomma, l'addio all'Ue viene sbandierato davanti agli occhi degli elettori inglesi un po' come si è fatto in Italia con la cancellazione dell'Imu. E se in Gran Bretagna aumentano gli euroscettici, in Europa sono sempre di più gli "angloperplessi".




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