di Carlo Musilli

Da Bruxelles continuano a ripetere che la Slovenia non è Cipro, ma a Lubiana sanno benissimo di non avere tempo da perdere. "Prepareremo il nostro programma di riforme per stabilizzare l'economia entro il 9 maggio e lo spediremo immediatamente alla Commissione europea - ha spiegato venerdì il premier Alenka Bratusek -. Siamo consapevoli che non abbiamo settimane o mesi, ma soltanto giorni".

Entro fine aprile il governo sloveno presenterà al Parlamento proposte per privatizzare "una o due grandi aziende di stato", fra le quali probabilmente una banca: "Sarebbe un buon messaggio per i mercati internazionali", ha spiegato ancora il Premier. Se il piano fallirà, entro il 2013 la Slovenia diventerà il sesto Paese dell'Eurozona a chiedere aiuti internazionali, finendo sotto il controllo della Troika (Ue, Bce e Fmi).

Mercoledì scorso la Commissione europea ha ammesso che la crisi economica e finanziaria slovena, insieme a quella spagnola, rappresenta il rischio più grave per l'area della moneta unica: "Finora i livelli di indebitamento pubblico e privato sono al di sotto della soglia di allerta - si legge nel rapporto di Bruxelles sugli squilibri macroeconomici -. Anche il debito esterno netto è relativamente contenuto", ma "molte aziende sono ancora eccessivamente indebitate e questo conduce a un ulteriore aumento dei prestiti di cattiva qualità".

E' proprio questo il problema numero uno: le banche slovene (quasi tutte a maggioranza pubblica) hanno erogato negli ultimi anni una quantità esagerata di prestiti e mutui, molti dei quali con il tempo si sono deteriorati, il che significa che i debitori non riescono a restituire le somme dovute. In questo modo sono aumentate le sofferenze degli istituti (ovvero i crediti inesigibili, che hanno raggiunto i 7 miliardi, pari al 14,4% degli impieghi e al 20% del Pil), mentre le riserve di capitale continuano ad assottigliarsi.

Ma come si è arrivati a questo punto? Il settore finanziario sloveno è cresciuto in modo esponenziale dopo l'indipendenza dalla Jugoslavia (raggiunta nel 1991). I nuovi gruppi si sono finanziati con risorse delle banche pubbliche, che così hanno accumulato in portafoglio moltissime azioni di queste mega-società a titolo di garanzia. Con l'esplodere della crisi internazionale, i grandi gruppi si sono ritrovati insolventi e le azioni in mano alle banche hanno perso rapidamente valore, aprendo un buco nei bilanci degli istituti. La situazione rischia di creare il panico sui mercati nonostante le dimensioni del sistema bancario sloveno siano relativamente piccole (meno della metà rispetto alla media dell'Eurozona).

Oltre a Bruxelles, anche l'Ocse ha avvertito Lubiana di mettere rapidamente in sicurezza i suoi istituti di credito: "La Slovenia deve fare fronte al rischio di una prolungata recessione della sua economia e di un accesso ridotto ai mercati finanziari - si legge nello studio dell'Organizzazione -. Sono necessarie nuove e radicali misure appena possibile per evitare tale scenario".

Secondo l'Ocse, le iniziative varate fin qui sono positive ma insufficienti: è necessario risanare i bilanci delle banche e assicurare la patrimonializzazione delle più "vitali" attraverso aumenti di capitale. Oltre alle privatizzazioni, lo strumento fondamentale per riequilibrare la situazione dovrebbe essere una bad bank, ossia un'unica cassa in cui far confluire tutti i crediti inesigibili. La legge per la sua creazione è stata approvata dal precedente governo conservatore - caduto alcune settimane fa in seguito ad alcuni scandali e a diffuse proteste popolari -, ma Bratusek ha avvertito che "non è stata preparata come avrebbe dovuto essere". In effetti, sempre secondo l'Ocse, il funzionamento della bad bank non è sufficientemente trasparente e rischia di essere viziato da ingerenze politiche.

Intanto, la settimana scorsa Lubiana ha deluso i mercati con una pessima asta di bond pubblici. Il Tesoro sloveno ha venduto titoli di Stato a varia scadenza per un ammontare complessivo di 56 milioni di euro, mancando clamorosamente l'obiettivo prefissato, che era quasi il doppio. I tassi d'interesse, ovviamente, sono saliti. Non un buon viatico in vista dell'appuntamento decisivo per le casse del Paese, ovvero l'asta da circa un miliardo in calendario a giugno.

Stando ai calcoli dell'Institute for International Finance (Iif), l'associazione delle principali banche mondiali che ha fatto da regista alla ristrutturazione del debito greco, "la Slovenia ha bisogno di un intervento immediato della Ue per mettere in sicurezza le sue finanze. Più si rinviano le decisioni, più salirà la pressione sul credito e più alto sarà il rischio di dover scendere in campo più avanti con un piano di salvataggio". Anche perché il Paese ha bisogno di raccogliere sul mercato 3,5 miliardi nel 2013 e se la situazione precipitasse si ritroverebbe tra il 2014 e il 2015 con scadenze per 5,8 miliardi. Un peso troppo grande per le spalle di Lubiana.

Venerdì scorso il rendimento sui titoli di Stato sloveni a 10 anni era al 6,65%, pari a uno spread con il Bund tedesco di 539 punti base. Bratusek si è detta sorpresa dal fatto che il precedente governo non abbia cercato di raccogliere capitali sui mercati a gennaio, quando i rendimenti erano molto più bassi di oggi. Sono bastati tre mesi per finire sull'orlo del baratro. Ora rimangono 20 giorni per fare un passo indietro.

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