di Carlo Musilli

E' un record di cui avremmo volentieri fatto a meno. Ma tant'è, siamo primi. Nella classifica mondiale, l'Italia è il Paese con il debito pubblico su cui sono stati sottoscritti più Cds in assoluto: 388 miliardi di dollari a fine 2012, contro i 158 del 2008. Il dato emerge dal "Global Financial Stability Report" del Fondo Monetario Internazionale, che in verità registra un incremento dei Cds su tutti i Paesi europei. Nella graduatoria complessiva, comunque, noi italiani non temiamo alcun confronto: al secondo posto si piazza la Spagna, lontanissima con i suoi 212 miliardi, mentre la medaglia di bronzo va alla Francia, a quota 117. Appena fuori dal podio troviamo il Brasile (156 miliardi) e la Germania (154).

Ma cosa sono i Cds? Il simpatico acronimo sta per "Credit-default swaps", ovvero titoli derivati che funzionano come una polizza assicurativa sulla vita di altre obbligazioni (i titoli di Stato, in questo caso). Il pagamento dei Cds scatta quando chi ha emesso le obbligazioni si dichiara insolvente: tu fai bancarotta, io incasso. Nati come strumenti per tutelarsi dai rischi, questi derivati sono cresciuti in un mercato deregolamentato che li ha trasformati ben presto in micidiali strumenti speculativi. E' infatti possibile acquistare Cds anche su obbligazioni che non si hanno in portafoglio, e questo non significa proteggersi da un rischio, bensì scommettere sul fallimento altrui. Trarre nutrimento dalle carcasse, come fanno gli avvoltoi.

Il record italiano non vuol dire però che secondo gli investitori il nostro Paese sia il più vicino al fallimento. Sanno tutti benissimo che non è così. L'arcano si può spiegare con una mera questione aritmetica: l'ammontare dei Cds è infatti tendenzialmente proporzionale alle dimensioni del debito pubblico. Il nostro non è il più alto al mondo, ma fra i Paesi con indebitamenti mostruosi siamo certamente quello con l'economia più debole.

Ora però è bene chiarire che acquistare un Cds in ottica speculativa (ossia senza avere le obbligazioni corrispondenti) vuol dire sì scommettere contro qualcuno, ma non in senso tradizionale. Se in una corsa automobilistica puntassimo sull'esplosione di una macchina, poi ci limiteremmo a guardare la gara sperando nella sciagura. Con i Cds, invece, è come se rendessimo quell'esplosione più probabile, mettendo mano al motore dell'auto.

Sempre secondo l'Fmi, infatti, la volatilità dei credit default swap italiani ha l'effetto di incrementare "artificialmente" il costo del finanziamento sovrano del nostro Paese, ovvero i tassi d'interesse sui nostri titoli di Stato. Teoricamente dovrebbe accadere il contrario, ma per l'Italia non è così, perché a pesare è soprattutto la volatilità correlata a fattori di natura "residuale", cioè non legata ai fondamentali dell'economia nazionale, quanto piuttosto a fattori di rischio sistemico e di contagio indotti dalla volatilità di altri Cds sui debiti sovrani.

In particolare, il Fondo monetario stima che la "volatilità residuale" dei Cds sull'Italia dipenda per circa 75% da quella dei Cds sul debito pubblico tedesco e per il 20% da quella sui Cds spagnoli. E' evidente quindi che spesso chi compra questi titoli lo fa in previsione di quel tanto temuto effetto domino nell'Eurozona che dovrebbe portare la moneta unica all'armageddon finale.

Il tipo di strategia è confermata dall'andamento complessivo del mercato dei Cds: a fine giugno 2012, quelli sui debiti sovrani dei vari Paesi ammontavano complessivamente a circa 3 mila miliardi di dollari, mentre il bacino complessivo dei Cds (che comprende anche quelli sulle aziende) era pari a 27 mila miliardi. Il mercato di chi si protegge (o specula) contro l'insolvenza dei titoli di stato valeva quindi poco più del 10% del mercato globale.

Ma dal 2008 - ovvero dall'inizio della crisi - i Cds per coprirsi dal rischio sovrano sono aumentati moltissimo, mentre gli altri segmenti si sono ridimensionati. E, cosa ancor più importante, da allora a oggi nessuno è riuscito a imporre delle regole ferree a chi compra e vende questi titoli. Per dirla con gli economisti, i Cds dovrebbero essere "uno strumento importante nella gestione del rischio". Ma spesso fanno ancora la parte dei derivati-avvoltoi.

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