di Domenico Melidoro

La diffusione da parte del Dipartimento politiche fiscali del ministero dell'Economia dei dati sulle dichiarazioni dei redditi percepiti dai contribuenti italiani nel 2003 ci presenta un quadro davvero sconfortante. Nessuno ignora che in Italia l'evasione fiscale è da sempre uno dei segnali più chiari dell'assenza di qualsiasi elementare etica pubblica, ma venire a conoscenza che solo poco più di 55000 italiani hanno un reddito superiore ai 200000 euro e che addirittura un quarto degli italiani (tra cui un gran numero di lavoratori autonomi) percepisce un reddito inferiore ai 6000 euro, dipinge una situazione che non corrisponde assolutamente alla realtà sociale del nostro Paese. Dovrebbe trattarsi di un Paese povero e arretrato, ma uno sguardo più attento rivela una drammatica evasione fiscale, un'economia sommersa dalle proporzioni spaventose e disuguaglianze distributive crescenti (ovviamente a veder peggiorare la propria condizione sono come sempre i lavoratori dipendenti, che, secondo i dati dell'Eurostat percepiscono i salari più bassi d'Europa). Un Paese che da anni registra un costante incremento delle immatricolazioni di auto e imbarcazioni di lusso e che vede un mercato immobiliare che in breve tempo ha fatto la fortuna di spregiudicati imprenditori venuti (apparentemente) dal nulla non è un Paese povero, piuttosto è un Paese in cui la ricchezza prodotta è mal distribuita (basti pensare, come scrive Stefano Liviadotti, che in Italia "il 10 per cento dei più abbienti controlla il 43 per cento della ricchezza e il 10 per cento dei più poveri si deve dividere l'uno per cento", L'espresso 24 agosto 2006).

I dati dai quali sono partite queste nostre brevi osservazioni si riferiscono ai redditi percepiti nel 2003, dunque in piena era berlusconiana. Non dovrebbe destare stupore il fatto che in quel periodo l'evasione fiscale (che, bisogna riconoscere, sarebbe bene considerare un dato strutturale dell'economia italiana) sia stata di proporzioni così esorbitanti: il Cavaliere ha più volte giustificato coloro che evadono il fisco, parlando perfino di "diritto naturale" all'evasione fiscale nel caso di pressione contributiva eccessiva. Le politiche della Casa delle libertà hanno fatto poco (o nulla) per porre rimedio alla sistematica evasione fiscale di consistenti settori dell'economia: anzi, i controlli sono diminuiti e spesso la pratica del condono è stata preferita a più eque misure di controllo e punizione per i reati fiscali commessi.

Il Governo dell'Unione intende cambiare rotta e, fin dalla campagna elettorale, ha assunto l'impegno di far rispettare le regole ai cittadini. Difatti, in questi giorni le prese di posizione degli esponenti della maggioranza sono coerenti con questa impostazione. Per esempio, in una intervista il Ministro del Lavoro, Cesare Damiano, ha ammesso che negli ultimi anni si è verificato un aumento della "quantità di persone che hanno reali difficoltà di sopravvivenza, perlopiù pensionati al minimo o con pensioni sociali. Così come non si può negare un tendenziale impoverimento del ceto medio, anche di famiglie che percepiscono un reddito stabile. Ci saranno certamente persone in difficoltà anche tra professionisti e commercianti". Tuttavia è evidente che i dati relativi alle dichiarazioni dei redditi evidenziano "una fortissima evasione fiscale" che va contrastata in modo efficace, dal momento che "la lotta all'evasione fiscale e contributiva è alla base dell'equità sociale, tra i primi obiettivi di questo governo" (l'Unità, 14 agosto 2006).

Altrettanto nette sono state le parole di Romano Prodi in una recente intervista. Il Presidente del Consiglio ha detto che "la lotta all'evasione fiscale è uno dei punti cardine del programma dell'Unione. È nel DNA, nelle caratteristiche genetiche di questo governo" (la Repubblica, 17 agosto 2006). Prodi si è spinto fino a definire "incivile" un Paese incapace di far pagare le tasse ai cittadini. Non si tratta di mettere in piedi uno Stato di Polizia (come molti rappresentanti della Casa delle Libertà temono) ma di rendere operative quelle misure di controllo necessarie ad assicurare la giustizia e l'equità. Un elevato tasso di evasione fiscale è, prima di tutto, sintomo di una società malata che non riesce ad assicurare il rispetto delle regole fondamentali della convivenza civile. Inoltre Prodi, con ciò facendo propria una verità elementare dell'economia che stenta a essere accettata da molti di coloro che sbandierano ai quattro venti la propria fede libertaria nella riduzione del carico fiscale che grava sulle spalle dei contribuenti, ha aggiunto che "se riusciremo a far pagare le tasse le aliquote potranno anche diminuire" (la Repubblica, 17 agosto 2006).

Alcuni moderati segnali positivi che vanno in direzione di una maggiore equità fiscale non mancano. Come lo stesso Prodi ha riconosciuto nell'intervista cui sopra ci siamo riferiti, è evidente che, pur in assenza di nuove tasse, le ultime denunce dei redditi lasciano prevedere maggiori introiti per le casse pubbliche. Inoltre, si comincia a parlare concretamente di reintroduzione della tassa di successione, almeno per i patrimoni più alti. Il cammino non sarà certo agevole, soprattutto se pensiamo che gran parte dell'opposizione e (ahinoi!) dell'opinione pubblica, considera la severità fiscale (ma anche le liberalizzazioni che sono, a nostro avviso, un primo passo verso l'ammodernamento del sistema economico del nostro Paese) come il segno rivelatore di una politica punitiva nei confronti di quel ceto medio che alle ultime elezioni non avrebbe votato per l'Unione. È molto probabile che Prodi e il suo governo incontreranno resistenze da parte di coloro che sentono minacciati i propri interessi e privilegi consolidati, ma l'impopolarità spesso è il prezzo richiesto dalla realizzazione di riforme efficaci.

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