di Carlo Musilli

Prima hanno negato l'esistenza del problema. Poi hanno assicurato di poterlo risolvere da soli. Alla fine si sono arresi e hanno invocato aiuto. Come da copione, la Spagna ha annunciato che chiederà fondi internazionali per rianimare il proprio settore bancario, soffocato da miliardi di titoli tossici legati alla bolla immobiliare del 2008. Il governo di Madrid cede così alle pressioni dell'Europa, terrorizzata dal rischio contagio.

L'attenzione si sposta ora sul nostro Paese: quanto costerà all'Italia il salvataggio della Spagna? E dopo quest'ennesimo esborso, in caso di necessità, nella zona euro rimarranno abbastanza soldi per sostenere anche Roma? Domande a cui per ora non esiste una risposta certa e che nei prossimi giorni metteranno in allarme i mercati.

Intanto, secondo il Fondo monetario internazionale, per salvare gli istituti di credito iberici servono "almeno 40 miliardi di euro". Ma la stima è al ribasso. I consulenti nominati dall'esecutivo spagnolo devono ancora finire di calcolare le dimensioni reali della voragine che si è spalancata nel settore creditizio (il responso è atteso entro il 21 giugno).

L'Eurogruppo però si è già detto disponibile a mettere sul piatto "fino a 100 miliardi di euro". Un annuncio arrivato a meno di 48 ore dall'ultimo colpo di falce sul rating: solo giovedì scorso, Fitch ha tagliato addirittura di tre livelli il giudizio sul debito sovrano spagnolo, portandolo da "A" a "BBB". Appena tre gradini sopra i cosiddetti "junk bonds", la spazzatura.

Si completa a questo punto il simpatico acronimo "PIGS" (maiali) partorito dai britannici: dopo Portogallo, Irlanda e Grecia, la Spagna sta per diventare il quarto paese europeo a ricevere aiuti internazionali. Le differenze con i tre precedenti però ci sono, e pesano molto. Innanzitutto, non si prevede di imporre a Madrid ulteriori strette sul piano d'austerità già avviato. L'unica condizione posta dall'Europa è una riforma del sistema bancario, visto che fin qui la contaminazione delle disgraziate "cajas" con la politica ha prodotto solo un circolo vizioso di corruzione e malgoverno.

In secondo luogo, un vantaggio importante per la Spagna rispetto agli altri Paesi dissestati (Grecia in primis) è il ruolo tutto sommato marginale che sarà affidato al Fmi. L'istituzione di Washington non è chiamata a sborsare un solo centesimo in favore di Madrid, ma solo a monitorare dall'esterno l'attuazione delle riforme. Un creditore in meno da cui dipendere, e non è poco.

L'aspetto decisivo è però un altro ancora. A differenza degli aiuti stanziati fin qui, quello che dovrebbe salvare la Spagna si presenta con un'innovazione fondamentale: è rivolto solo alle banche, non anche allo Stato. Ed è proprio questo l'alibi con cui si evita d'imporre al Paese nuove misure a garanzia dei conti.

Il trucco è semplice e rappresenta un grande successo diplomatico per il primo ministro Mariano Rajoy. In sostanza, i fondi europei non saranno girati direttamente al governo di Madrid, ma al Forb, il Fondo pubblico per la ristrutturazione ordinata del settore bancario nato nel 2009. Di qui i finanziamenti saranno canalizzati negli istituti di credito. Sembra un dettaglio, ma non lo è: tramite questa mediazione, i soldi formalmente non saranno gestiti dall'esecutivo,che quindi eviterà di cedere una buona fetta della propria sovranità a Bruxelles (almeno in via ufficiale).

Ma da dove arriveranno questi 100 miliardi? Messo da parte l'Fmi, l'intera copertura dell'operazione sarà affidata ai fondi salva-Stati europei: l'Efsf (temporaneo, ma già attivo) e l'Esm (permanente, ma operativo solo dal mese prossimo). Insieme i due strumenti hanno a disposizione circa 500 miliardi di euro.

Ci sono però dei problemi da superare. L'Esm è legalmente un "creditore privilegiato", quindi in teoria ha diritto ad essere rimborsato prima degli altri creditori. Una consapevolezza che potrebbe rendere la Spagna ancor meno attraente agli occhi degli investitori privati.

Quanto all'Efsf, la situazione è ancora più complicata. A dispetto del nome, non si tratta di un fondo tradizionale, perché non ha a disposizione risorse proprie. Funziona così: gli stati membri forniscono delle garanzie che consentono all'Efsf di emettere obbligazioni. I fondi per gli aiuti arrivano proprio dalla vendita sul mercato di questi bond. La Spagna fino a oggi era uno dei Paesi che garantiva i prestiti, ma adesso che diventa destinatario dei finanziamenti non può più svolgere questa funzione. Le garanzie venute meno devono essere quindi ridistribuite fra gli altri membri, appesantendo i singoli debiti pubblici.

La quota di garanzie che fa riferimento all'Italia sale dal 19,2 al 24,7%, cioè 39 miliardi di euro in più. Soldi che speriamo di non dover spendere mai, ma che saranno comunque contabilizzati da Eurostat nel nostro debito. Con tanti saluti alle preoccupazioni ragionieristiche che ci hanno assillato negli ultimi mesi. Eppure il premier Mario Monti non ha dubbi e assicura "pieno sostegno" all'operazione. Nella speranza che basti questo a salvare la Spagna.

 

 

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