di Ilvio Pannullo

Juergen Stark, membro tedesco del direttivo della Banca Centrale Europea, ha rassegnato le sue dimissioni. Il gesto è stato motivato per il forte contrasto con il nuovo ruolo assunto dalla Eurotower di Francoforte. L’istituto, ancora per poco guidato dal francese Trichet, fu infatti immaginato e costituito dai banchieri europei per assicurare la stabilità dei prezzi e per garantire il sistema dei pagamenti nell’eurozona. Combattere l’inflazione e assicurare, dunque, la solvibilità degli istituti bancari troppo grandi per fallire. La Bce appare oggi, invece, l’unico strumento con cui un’Europa, priva di un’idea e di una guida politica, cerca di proteggersi dai continui terremoti finanziari.

Nella sostanza, da quando la crisi del debito sovrano ha iniziato a coinvolgere anche le realtà economicamente più solide della periferia europea, la Bce, per evitare che Stati come l’Italia e la Spagna - il cui prodotto interno lordo supera di uno o più volte l’intero prodotto di Grecia, Irlanda e Portogallo messi insieme - si trovassero nelle condizioni di non potersi più finanziare sul mercato, si è dimostrata disponibile ad acquistare, per sostenerne il prezzo, i titoli dei loro rispettivi debiti pubblici. Un’operazione dunque economicamente non redditizia, ma politicamente necessaria.

Inutile dire, quindi, che le dimissioni di Juergen Stark, considerato il “falco” tedesco, espressione degli interessi più conservatori della Germania in seno al direttivo della Banca Centrale Europea, da sempre contrario agli interventi a sostegno di Spagna e Italia, espongono i nostri Buoni del Tesoro Pluriennali al rischio di un ulteriore crollo di fiducia, domani sui mercati.

Se la Bce appariva, infatti, un unico blocco compatto dietro la volontà del suo Governatore, da due giorni a questa parte l’alto comando del Sistema Europeo di Banche Centrali appare molto simile al governo nostrano: pieno di fazioni, di cordate, di uomini che prima paventano dimissioni, poi non le propongono, infine le presentano, con l’immediato carosello per individuare il nome del relativo successore. Insomma, non un bello spettacolo e sicuramente non quello che serve per rassicurare i mercati sulla coesione dell’Istituto, in un momento tanto delicato come quello che stiamo vivendo.

Lo stesso premio Nobel per l'economia Paul Krugman, sul suo blog, ha spiegato così il perché quanto successo non potrà non avere conseguenze gravissime, per gli Stati già oggetto ultimamente di un ridimensionamento da parte dei mercati: "Con le sue dimissioni Stark ha dimostrato, volontariamente o no, che non c'è più alcun prestatore di ultima istanza, che nella zona euro non c'è abbastanza coesione politica per tutelare i paesi sotto attacco". E questo, prevede Krugman, si tradurrà in un rapido aumento degli spread sul debito di Italia e Spagna. Poco importa che la Germania abbia già annunciato il sostituto di Stark, Asmussen. Ormai la compattezza della Banca Centrale Europea risulta infatti compromessa, materializzandosi così, nel modo più traumatico possibile, l'ammonimento di Mario Draghi di giovedì scorso: "L'acquisto del debito da parte della Banca Centrale Europea non è scontato".

E davanti a questo cambiamento, come risponde il governo Italiano? Dopo che la Confindustria di Emma Marcegaglia gli ha fatto presente che "il paese è in pericolo" e il Capo dello Stato Giorgio Napolitano ha ricordato l'ovvio dato che "il tema della crescita è drammatico", Tremonti risponde proponendo "un inventario" delle misure adottate "per capire se hanno funzionato e per comunicare che ci sono”. “È uno sforzo da fare tutti insieme. Sono convinto - ha precisato il divino e odiosissimo Giulio - che siano state fatte molte cose giuste, che non sono note". Pare dunque sia solo un problema di comunicazione. Loro lavorano e lavorano bene: è il resto del mondo che non lo comprende a doversi adeguare. Soltanto poche settimane fa il Ministro lamentava che i cronisti non avessero colto nell’ennesima versione della manovra "ben 16 misure per la crescita". Purtroppo, non ha mai avuto la cortesia di elencare quali fossero.

L'ottimismo della volontà tremontiana si scontra però con il pessimismo dei dati, a cominciare dalla previsione del Fondo Monetario Internazionale che fotografa un paese immobile nel 2012, con il Pil che segnerà un misero +0,5%. È passato poco più di un mese da quando Tremonti stesso teorizzava l'impotenza del governo di fronte alla crescita. "Ci sono - diceva il professore - due rilevanti: il Pil, che non si fa per legge, e il bilancio dello Stato, che si fa per legge". E tra qualche mese compirà un anno anche l'annuncio del premier Silvio Berlusconi di una "frustata al cavallo di un'economia finalmente libera", cui fu dedicato persino un apposito Consiglio dei Ministri, imperniato sulla riforma, mai realizzata, dell'articolo 41 della Costituzione sulla libertà di impresa. Le cose, poi, sono andate in un altro modo. Perché riparlarne ora? Le ragioni sono almeno due.

In primo luogo, la crisi interna alla Bce - come detto - contribuirà ad ampliare il discredito dei mercati verso il nostro paese, già reso palese dalle reazioni delle Borse al varo della manovra da 60 miliardi in tre anni, appena approvata dal Senato: la tregua è durata meno di 24 ore, tanto in borsa quanto sul mercato del debito. In secondo luogo, il problema della crescita. La questione è sempre la stessa: quello che ci chiede l’Europa non è la riduzione del debito pubblico, ma la riduzione del rapporto debito pubblico/Prodotto Interno Lordo. Se il paese cresce poco o non cresce, dunque, pur ammettendo che il debito non aumenti, il rapporto peggiora, la fiducia dei mercati crolla, e rifinanziare il nostro debito diventa sempre più costoso. Il punto è che dopo quattro versioni della stessa manovra, ora a quota 60 miliardi, continuare a tagliare rischia di essere addirittura controproducente.

L'unica cosa peggiore di presentarsi al mercato come un paese ad alto debito e bassa crescita, è di presentarsi come un paese con fondamentali economici pessimi e per di più in recessione. Nessuno ci presterà più i soldi. Se ci sarà bisogno di annunciare nuovi tagli, il rigore non potrà quindi essere disgiunto da interventi per la crescita. Oppure l'immagine dell'Italia agli occhi degli investitori, che martedì devono comprare il nostro debito in un'asta molto importante per il Tesoro, peggiorerà ancora. Anche di queste prospettive fosche - più volte denunciate dalla Banca d'Italia - hanno parlato il governatore Mario Draghi e il Capo dello Stato Giorgio Napolitano al Quirinale, nel loro recente colloquio. E dell'adeguatezza della manovra dovrà discutere anche Silvio Berlusconi, martedì a Strasburgo, nel provvidenziale incontro che permette al premier di sfuggire all'interrogatorio della procura di Napoli. L’immagine del nostro paese è questa: cristallizzata dalla figura del nostro Premier, perennemente in fuga da se stesso, ma sempre pronto a regalare sorrisi. Peccato che nel mondo reale questi non paghino.

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