di Ilvio Pannullo

L’intervento di Giulio Tremonti al Meeting di Rimini ha lanciato una sottile provocazione che è utile raccogliere, per comprendere meglio quello che sta accadendo in questo periodo dove crisi finanziaria, crisi economica, crisi sociale, crisi energetica, crisi ambientale e crisi alimentare stanno scuotendo le fondamenta della casa comune, all’interno della quale vivono i popoli di tutto il mondo. “Molti errori - ha affermato il ministro italiano nel commentare l’attuale situazione dell’economia mondiale - sono stati finora commessi: non é stato ristrutturato il sistema bancario, anzi il denaro pubblico è stato usato per salvare le banche; non sono state scritte, se non per finta, le regole sulla finanza che, essendo materia complicata, dovevano essere proposte dai banchieri e non dovevano farle i governi”.

Le banche, dunque, nonostante siano state il centro propulsivo e d’incubazione dell’attuale crisi, sono state prima salvate grazie a fiumi di denaro pubblico, poi rafforzate con nuovi e truffaldini criteri di contabilità e, infine, premiate con la richiesta, da parte del mondo politico, di nuove regole per evitare che il piccolo incidente di percorso (dal quale dobbiamo e speriamo ancora di uscire) non si possa più ripresentare. Insomma, un vero affare. Roba da impero del male, altro che Stati canaglia!

Quello che deve essere a tutti i costi impedito è che la tesi di personaggi come George Soros diventi la soluzione, masticata e predigerita, che la classe politica propini al popolo europeo come panacea di tutti i mali.  Queste idee, infatti, sono abbastanza radicali da avere qualche probabilità di convincere i mercati, frenetici al limite dell’isteria, perché consapevoli dell’esistenza di problemi molto seri e spettatori dell’impotenza e dell’incapacità della classe dirigente europea d’immaginare un modo, una via da seguire per uscire dalla crisi del debito sovrano. Vista la profondità di questa crisi, tuttavia, vale la pena di provare a guardare un pochino più lontano (e forse anche più lontano di quanto non si faccia proponendo - come hanno fatto recentemente Francia e Germania - il blocco dei fondi europei per chi non abbia i conti in ordine).

Se le idee di Soros fossero tradotte in pratica, l’Unione Europea finirebbe per essere uno stranissimo animale, una specie di mostro mitologico dal corpo enorme e dalla testa microscopica. Con l’emissione di Euro Bond su larga scala, ad esempio, l’Unione Europea diventerebbe un’entità priva di una qualsivoglia funzione di governo al di fuori della sfera economica: un’entità politica, cioè, senza un Tesoro e con un bilancio minuscolo (pari all’1% del Pil dell’intera Europa) speso tutto in sussidi di dubbia utilità, ma con una moneta rivale del dollaro su scala globale, una Banca Centrale, una Corte di Giustizia, un Parlamento a elezione diretta e sul groppone un debito sovrano pari a minimo il 60% del Pil dell’eurozona, ma probabilmente anche di più, molto di più.

Sarebbe insomma la più grande tecno-struttura della storia, ma in quanto tale radicalmente incomprensibile ai cittadini europei. Tra l’altro, come sarebbe amministrata l’agenzia del debito, presumibile erede del fondo salva-Stati, istituito per fronteggiare la crisi greca? All’unanimità, a maggioranza, con voti pesati secondo il differente peso economico degli stati membri? Forse è arrivato il momento di provare quantomeno a rimettere il processo d’integrazione europea sui piedi, invece che sulla testa com’è ora, smettendo di consentire alla politica economica e finanziaria di guidare il processo politico europeo.

Gli Eurobond sono uno strumento fondamentale per la sopravvivenza dell’Unione Europea, ma per avere un’idea di quello che qui si vuole sostenere, basti pensare all’atteggiamento - degno del peggiore strozzino - tenuto dalla Finlandia in occasione della crisi Greca: per assicurare la quota finlandese al fondo Efsf la Grecia dovrà aprire un conto nella banca centrale finlandese, pagando la stessa somma dovuta dalla Finlandia all'EFSF come pegno. La Finlandia chiese anche, all'inizio delle contrattazioni, qualche immobile greco in pegno. Da qui ad ipotecare il Partenone la via è breve.

Non sarà tempo di provare a ragionare diversamente? Sempre e ovunque i cittadini pagano le tasse per avere in cambio alcune basilari funzioni di governo: legge e ordine, giustizia, sicurezza; e poi sanità, educazione, sicurezza sociale, una moneta come mezzo neutrale di scambio. Tassare e spendere per offrire alcuni o tutti (dipende, in ultima istanza, dalla sensibilità e dalle radici culturali di ogni popolo) quei beni pubblici, percepiti cioè dai cittadini come espressione di interessi collettivi, comuni, valori unitari superiori ai singoli interessi privati, consente a un governo di avere, anche e in seconda battuta, i mezzi per contrastare le crisi con la stabilizzazione macroeconomica anticiclica e la redistribuzione del reddito. Non si chiama comunismo, si chiama socialdemocrazia: una visione al tempo stesso democratica e socialista dello Stato. Niente di rivoluzionario, insomma.

Non si può, infatti, andare avanti all’infinito a fare le cose al rovescio, a confinare cioè l’Unione Europea a una missione di pura stabilità finanziaria e macroeconomica e far seguire da qui tutto il resto. Succede poi che la stabilità finanziaria viene meno e che a ciò segua il nulla. Occorre provare a guardare un po’ più avanti, a un assetto in cui la politica economico-fiscale derivi, come una logica conseguenza, dalle funzioni di governo tipiche di una forma statale, espressione di un dato contratto sociale - e non sia quella a guidare queste come accade invece nell’Unione Europea di oggi.

Alla fine, anche l’Unione Europea dovrà pure funzionare nell’unico modo logico e comprovato dalla storia: tassare e spendere per fornire alcune importanti funzioni di governo ai propri cittadini e su queste basi avere un Tesoro che accompagni l’azione della sua Banca Centrale, magari dopo averle cambiato Statuto, con qualche ampliamento degli obiettivi della sua azione. Qualcosa come un ministero europeo delle finanze che abbia legittimità finanziaria e politica.

Sono sessant’anni che se parla, si scrivono articoli e s’indicono convegni sul tema, ma non si scappa: bisogna realizzare gli Stati Uniti d’Europa. Per farlo ora sull’onda della più grande crisi economico-finanziaria dagli anni trenta, occorre - come sostenuto con forza anche recentemente da Emma Bonino sul Sole 24 Ore - vincere due grandi paure. La prima è quella di creare un super-stato europeo che soffochi gli stati nazionali. La seconda è quella che hanno tutti gli stati membri, chi più chi meno, di perdere sovranità proprie a favore di un centro federale.

Quanto alla prima, c’è da dire che la federazione che sarebbe realisticamente giusto fare oggi, lungi dall’essere un super-stato europeo sarebbe al contrario una “federazione leggera” che assorbirebbe e spenderebbe attorno al 5% del Pil europeo, mentre la spesa pubblica dei maggiori stati nazionali europei si aggira, oggi, attorno alla metà dei rispettivi Pil. Un bilancio da 600-700 miliardi di euro consentirebbe all’Unione di svolgere - anche e all’occorrenza - funzioni di stabilizzazione macroeconomica e di redistribuzione. Insomma, mettere in piedi una struttura istituzionale che abbia la legittimità a emanare atti di ordinaria politica fiscale, magari tassando di più gli Stati in espansione e meno quelli in recessione. Senza creare meccanismi ad hoc o peggio, dar luogo a tutta la pubblicità che circonda ogni vertice chiamato a decidere il prossimo pacchetto di aiuti ai paesi in difficoltà.

Le funzioni di governo che sarebbe logico spostare a livello europeo sono, in primo luogo, la difesa vista l’esistenza di ben 27 eserciti nazionali, 2 milioni di persone in divisa, per un costo complessivo di  230 miliardi di euro l’anno ed un’efficienza vicina allo zero; in secondo luogo, la diplomazia, compresi gli aiuti allo sviluppo e quelli umanitari; in terzo luogo, il controllo delle frontiere e dell’immigrazione, problema di carattere storico e non scaricabile sui singoli stati di confine; in quarto luogo, la creazione delle grandi reti infrastrutturali europee unitamente ad alcuni programmi di ricerca scientifica di grande respiro; il tutto senza smettere di fare quello che il bilancio dell’Unione fa già, ovvero gli aiuti alle regioni più povere e in ritardo di sviluppo.

Quanto alla perdita di sovranità questa c’è già ed è così evidente che è inutile avere remore o rimpianti. Mario Monti - il tecnico (o sarebbe meglio dire tecnocratico?) che potrebbe guidare un eventuale governo di transizione dopo la caduta del biscione - ha recentemente adombrato il concetto di un commissariamento del governo italiano da parte di “un governo tecnico sopranazionale…con sedi sparse tra Bruxelles, Francoforte, Berlino, Londra, New York” a proposito della decisione, annunciata venerdì 5 agosto, di anticipare il pareggio di bilancio. In altre parole un golpe tecnocratico. Roba da Cile 2.0.

Ma per lo stesso commissariamento, va ricordato, sono già passati greci, portoghesi, irlandesi e spagnoli. E attenzione: anche la sovranità tedesca è, nei fatti, limitata dalle responsabilità che la Germania ha verso il resto dell’eurozona, nonostante giochi spesso pericolosamente a fare la parte dell’irresponsabile individualista. Indietro non è infatti possibile tornare, perché i debiti nazionali sono ormai quotati in euro, una moneta forte, ed un’eventuale fuoriuscita di una qualche nazione periferica dall’Unione Economica e Monetaria significherebbe esporre il paese de quo ad attacchi speculativi insostenibili.

Invece di avere un governo tecnico con sedi sparse in tutto il mondo, tanto vale allora avere un governo politico a livello federale a Bruxelles, con un mandato e dei poteri definiti e circoscritti per legge. Un governo cui tutti hanno già ceduto un pezzo della propria sovranità, e a cui tutti, in una logica di piena parità, dovrebbero riconoscere la possibilità di tassare e spendere cifre non enormi - una federazione leggera appunto - ma comunque significative. Sono ormai sessant’anni che l’Europa elude la soluzione del suo problema politico. Oggi, non fosse altro che per uscire da questa crisi e salvare l’euro, sembra a tutti arrivato il momento di rompere questo tabù e fare i conti la storia.

 

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