di Sara Seganti

Lo sanno tutti e non si parla d’altro. Dominique Strauss-Kahn, presidente dimissionario del Fondo Monetario Internazionale, socialista francese, è in attesa di giudizio negli Stati Uniti, in seguito all’arresto con l’accusa di violenza sessuale ai danni di una donna impiegata come cameriera in un grande albergo. Lo sciacallaggio mediatico sulla vicenda è della peggior specie: ipocrisie e svelamenti si susseguono da giorni sui media di tutto il mondo. Confidenti e scavafango, riflettori accesi, manette, dirette e editoriali, il copione si ripete e le acque si confondono.

Colpevole o innocente che sia, Strauss-Kahn finisce qui la sua carriera politica, e non sarà il candidato dei socialisti francesi per il dopo Sarkozy. Del resto, fuori dall’Italia, accuse simili non sono compatibili con un ruolo pubblico di primo piano.Sul piano processuale, spetterà alla giustizia americana stabilire se ci sia stata violenza o no, ma politicamente la sentenza è stata già scritta scandagliando nei dettagli l’acclarata disinvoltura sessuale di Strauss-Kahn. Tralasciando i destini dell’uomo, è possibile che uno scandalo sessuale metta in discussione l’orientamento del Fondo Monetario Internazionale e gli equilibri di potere all’interno di uno dei baluardi del neoliberismo nord-americano? Che ricadute possono avere le gesta erotiche di DSK sulla gestione economica del mondo globale?

Il Fondo, in teoria istituzione sovranazionale, è in pratica da sempre uno strumento della gestione autoritaria del mondo da parte degli Stati Uniti: nel corso degli anni ha, infatti, spesso usato la gestione del debito come forma di ricatto politico verso i paesi in via di sviluppo. Sotto la direzione di Strauss-Kahn ha dato qualche segnale di redenzione, ma solo qualche. Strauss-Kahn, infatti, in seguito alla crisi del 2008, ha giocato un ruolo di primissimo piano nel superamento dell’estremismo neo-liberista, mediando tra Stati-Uniti, Ue e paesi emergenti per imporre a livello internazionale una minima forma di regolamentazione dei mercati finanziari e un maggiore impegno degli stati nell’economia.

Strauss-Kahn è anche uno dei più autorevoli sostenitori dell’euro in un momento particolarmente difficile per l’idea politica europea, nonché uno dei principali gestori dei pacchetti di salvataggio dei paesi dell’euro in difficoltà. Grecia, Irlanda e Portogallo devono ringraziare anche il suo intervento se, tutto sommato, la gestione del loro debito finora è rimasta sopportabile.

Uomo politico autorevole, Strauss-Kahn è un esponente socialista, e questo ha la sua importanza, perché il debito dei paesi europei insolventi è già da un pezzo diventato un problema politico. Se, ad esempio, si seguisse l’idea di Angela Merkel di ristrutturare il debito greco, in pratica dichiarando il paese in bancarotta, quali sarebbero poi i rischi per l’ordine sociale, e per la stessa giovane democrazia ellenica? Queste non sono questioni che si affrontano solo a suon di punti percentuali. E per un’Europa di fronte al bivio più importante della sua storia comunitaria, Strauss-Kahn era un interlocutore politico importante.

Il Fondo Monetario Internazionale è oggi teatro di una lotta di potere, segno dei tempi cambiati: l’indebolimento economico europeo e nord-americano ha favorito le ambizioni dei paesi detti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud-Africa). Con la fine indecorosa di Strauss-Khan, i BRICS hanno pensato fosse finalmente arrivato il momento di assumere la Presidenza del Fondo Monetario, storicamente appannaggio dell’Europa. I BRICS rappresentano, infatti, più del 40% della popolazione mondiale e del 16% del Pil globale, e sono in aperto disaccordo sulla gestione della crisi europea da parte del FMI.

Del resto, avendo subito trattamenti molto più duri in passato dallo stesso organismo internazionale, e fanno fatica ad accettare l’imponenza degli strumenti messi in campo per soccorrere questo o quel paese europeo. In questo contesto, per la prima volta, i BRICS richiedono a gran voce di vedere riconosciuto il loro peso in seno al Fondo Monetario, presentando candidati più che autorevoli turchi, indiani, messicani e altri. Queste pressioni arrivano in un momento particolarmente delicato: siamo infatti di fronte al primo cambio di vertice in un’istituzione finanziaria internazionale da quando la Cina detiene buona parte del debito pubblico americano.

Ma quello che era sembrato possibile fino a qualche giorno fa, dalla lettura dei giornali internazionali sembra un’ipotesi già superata. Il riequilibrio - parziale - sarà riscontrabile solo ai piani medio alti. I BRICS aumenteranno la loro influenza nelle sedi internazionali, avranno diritto a un numero maggiore di vice-direttori, ma il presidente del Fondo Monetario Internazionale, per questa volta, sembra proprio che resterà europeo.

La selezione, contrariamente al passato, sarà per titoli di merito e non solamente per influenze politiche, ci tengono a ribadire dal FMI, ma la posta in gioco è troppo alta perché l’Europa possa rinunciare alla  presidenza. La questione greca deve ancora trovare una soluzione convincente e, con essa, anche quella di Portogallo e Irlanda.

Nonostante tutto, quindi, l’Ue sembra avere ad oggi l’influenza necessaria per imporre il suo candidato, Christine Lagarde, attuale ministro dell’Economia francese, stimata economista e, soprattutto, donna. Lo scandalo sessuale di Strauss-Kahn ha contribuito a rendere evidente il processo inarrestabile di riequilibrio nelle istituzioni internazionali che i paesi emergenti richiedono a gran voce. Ma la strada, come si evince dalla scelta della Lagarde, è ancora lunga..

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