di Ilvio Pannullo 

La notizia è di quelle che non ti aspetti: Standar & Poor's conferma il rating di AAA/A-1+ per il debito sovrano degli Stati Uniti, ma rivede l'outlook sul rating di lungo termine da stabile a negativo. A dirlo in termini tecnici sembra poca cosa, ma la nota che accompagna la decisione di una delle tre più importanti agenzie di rating chiarisce la portata dell’evento: "Crediamo che ci sia un rischio effettivo che la classe politica statunitense non riesca a raggiungere un accordo su come affrontare le sfide di bilancio di medio e lungo termine entro il 2013". "Se entro questa scadenza - si legge nel comunicato dell'agenzia di rating - non sarà raggiunto un compromesso e non ne verrà iniziata l'attuazione, il profilo di bilancio degli Stati Uniti diventerà significativamente più debole degli altri sovrani con rating AAA”.

Spiegando la riduzione dell'outlook, S&P nota che, relativamente agli altri stati con tripla A, "gli Usa hanno un deficit di bilancio molto ampio e un debito pubblico crescente e che il percorso per affrontarli non è chiaro". L'agenzia ha poi cercato di minimizzare lo stupore generale che una simile decisione ha ingenerato in tutti i mercati del mondo, sottolineando che non è sicuro che i rating degli Stati Uniti cambieranno dopo la revisione a negativo dell'outlook. Una timida retromarcia di finto galateo, cui nessuno ha sinceramente creduto.

Trasportandolo dal livello economico a termini più semplici, è come se un cardinale prendesse a ceffoni il Papa in pubblico: una cosa impensabile; di più, quasi impossibile. Eppure è successo: l'agenzia di rating Standard & Poor's abbassa l'outlook (cioè le prospettive) del debito statunitense a "negative", anche se conferma l'assoluta solidità del debito pubblico, la famosa "tripla A". Traducendolo in termini terra-terra, significa che S&P ritiene che le misure per ridurre il debito pubblico americano (che ha ormai raggiunto il 140% del Pil, quindi persino superiore al nostro che è intorno al 120% del Pil) proposte dal governo Obama non siano abbastanza incisive e che si non riesca ad approvarle a causa del mancato accordo con i repubblicani.

Per Standard & Poor’s  l’impasse politica americana sul come e quando affrontare i temi di natura fiscale a medio e lungo termine proseguirà fin oltre le elezioni del 2012. Il giudizio sul debito americano è quindi passato da “stabile” a “negativo” e questo ha messo il pepe alle Borse di tutto il mondo facendole scivolare vertiginosamente in territorio negativo trainate al ribasso in particolare dai titoli bancari. Stizzita la reazione della Casa Bianca, con in testa il consigliere economico Austan Goolsbee che ha posto l’accento sulla certezza dell’amministrazione di riuscire a raggiungere l’intesa sulla riduzione del deficit di bilancio.

Risale, infatti, a qualche settimana fa il progetto presentato da Obama per una riduzione del debito pari a 4.000 miliardi di dollari in 12 anni ma, di contro, il repubblicano Paul Ryan, Presidente della Commissione budget della Camera, ne ha proposto uno alternativo da 4.400 miliardi di dollari in 10 anni. Il timore degli analisti è che il dibattito politico possa impedire di dare concreta attuazione alla riduzione del debito pubblico, ormai non più procrastinabile.

Inoltre è fondamentale che il piano di riduzione sia largamente condiviso, onde evitare che la sua attuazione si riveli inefficace. Già prendere atto che esistono due piani non fa tuttavia pensare ad una rapida e sicura convergenza delle diverse proposte. Le prospettive torneranno ad essere “stabili”, per S&P, solo quando arriveranno concrete misure che comprendano il contenimento del deficit entro il 2013; viceversa, spiegano sempre gli analisti di S&P, la mancanza di accordo sulle misure da adottare o un peggioramento dei conti per qualsiasi causa, porterebbe ad abbassare ancora il rating della prima potenza economica mondiale.

Ad oltre due anni dall’inizio della crisi economica mondiale, anche negli USA della tripla A si pongono dunque seri e pressanti interrogativi su quale exit strategy, e quali provvedimenti fiscali, sia più opportuno adottare sul medio e lungo periodo.

Ma il Presidente americano Barack Obama non ci sta e denuncia una manovra politica alle spalle di questa decisione. Purtroppo per lui i mercati, invece, credono ad un possibile declassamento del debito pubblico Usa; da qui la brusca caduta di Wall Street, il cui indice Dow Jones è sceso dell'1,4%. La verità - che qualsiasi osservatore attento e onesto ben conosce - è tuttavia un’altra: il debito pubblico Usa è sopra una specie di bomba a tempo. Gran parte di esso è stato acquistato dal governo statunitense attraverso la stampa di una gran quantità di banconote - si ricorderà quel famoso esperimento di alchimia finanziaria noto come “alleggerimento quantitativo” - che ora sono custodite dalle banche.

Se queste dovessero trovarsi nella necessità di usarle, rischierebbero di innescare un’inflazione crescente che devasterebbe l'economia Usa. Per questo non solo è necessario ridurre i titoli del Tesoro circolanti, ma è indispensabile farlo rapidamente, in modo da poter ritirare le banconote stampate in eccesso rispetto alla quantità di beni e servizi offerti dall’economia. Ma di questo - anche su questo sito - già si è detto molto.

Il punto da sottolineare rimane purtroppo sempre lo stesso: quando il debito è impagabile, perché a dover pagare è la prima superpotenza nucleare del pianeta, questo sarà necessariamente liquidato, e dovendolo fare si ripartirà il dolore, lo stralcio cioè dei debiti, nel modo che meglio conservi lo status quo, tutto a vantaggio di chi già siede sul ponte di comando di questo pianeta.

Operazioni incomprensibili e scellerate come la socializzazione delle perdite del settore bancario, per salvare il mercato e la tenuta generale della credibilità di Wall Street dopo la crisi finanziaria innescata dal fallimento della Lehman Brothers nel 2008, o ancora come l’alleggerimento quantitativo (che nella sostanza ha significato pagare l’enorme debito di cui sopra) contratto dallo Stato Federale con il Federal Reserve System con l’emissione di altri titoli del debito pubblico per decine di miliardi di dollari, stanno lì a dimostrare che in economia la democrazia non esiste.

Gli uomini non sono tutti uguali, perché chi possiede viene salvato, graziato, suggellato, mentre chi non ha nulla viene offeso, allontanato e disprezzato dal sistema. La verità è che chi ha sempre comandato il gioco non ha alcuna intenzione di pagare per i propri errori ed è proprio attraverso complessi meccanismi tecnici che s’impedisce la comprensione di quanto effettivamente accade. Perché il cambiamento passa inevitabilmente dalla conoscenza: comprendere significa trasformare ciò che c’è.

 

 

 

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