di Giuliano Luongo

Cos’hanno in comune dei tentativi di suicidio - dalle modalità oscillanti tra il brutale ed il ributtante - l’India ed un network di prestatori microcreditizi? Il caso è alquanto serio: per la sconcerto dei supporters e per l’esaltazione dei detrattori, anche il microcredito ha svelato il suo “lato oscuro”, in assenza di un sistema di regolamentazione precisa ed ovviamente dopo essere finito in mano ad operatori cordiali e disponibili quasi quanto uno squalo di Wall Street.

Una serie di pressioni particolarmente forzose effettuata dai “manager” di un istituto di microcredito ai danni di alcune clienti ha portato le stesse ben oltre l’orlo del suicidio, aprendo nuove frontiere di dibattito su di uno strumento accertato - non per tutti, sia chiaro - per l’uscita dalla povertà di molti singoli.

Gli episodi sono racchiusi temporalmente nel quarto trimestre del 2010. Il 28 ottobre di tale anno, la signora Shobha Srinivas, leader di un gruppo di lavoratrici donne legate da un’attività avviata con microprestiti, usciva da casa sua gridando in preda alle fiamme. Si era data fuoco. Il marito ha cercato di soffocare le fiamme, perdendo la vita, assieme alla stessa moglie. Nota a margine: avevano due figli.

Alla base di questo atto estremo, la vergogna di non aver potuto ripagare un debito di ben 12mila rupie - ossia la miseria di 256 dollari americani - ai microcreditori. I microcravattari le avevano chiesto di coprire i debiti delle altre donne della cooperativa avviata proprio con questo denaro: trovandosi nell’impossibilità di adempiere e di fronte al rischio di perdere tutto, ha optato per l’estremo gesto.

Stando alla Società per l’Eliminazione della Povertà Rurale, dal 1° marzo al 19 novembre 2010 sono stati segnalati più di 70 casi di suicidio di persone vincolate tramite prestiti di microcredito, nel solo stato indiano dell’Andhra Pradesh. Inversamente alle dinamiche italiane, la questura dà numeri ben più significativi, alzando a 14.364 il numero di “suicidi da microcredito” nei primi nove mesi del 2010.

Ma facciamo un attimo il punto della situazione: come può un atto quasi “umanitario” come il prestito microcreditizio mietere delle vittime? Sappiamo che nell’idea originaria del dott. Yunus, questi prestiti (che potevano ammontare al massimo ad una decina di dollari) avevano il solo scopo di far avviare - in primis alle donne residenti nelle aree rurali - piccole attività artigianali o commerciali. Interessi bassini, poco lucro in cambio di un progressivo riavviamento dell’economia partendo dal basso: una mini-iniezione di capitalismo per chi anche con le capacità non dispone dei mezzi. Ma tranquilli, si può rovinare anche un’idea simile.

Ma è tutto oro quello che luccica? Grameen Bank (quelli di Yunus) prestano al 5% o all’8% (a seconda che si tratti di prestiti per l’istruzione o per la casa, rispettivamente) e no garanzie, e ai mendicanti l’interesse è assente. La SKS Microfinance, invece, violenta i borrowers con il 24,52%. Con un cap massimo del 20% - già prossimo allo strozzinaggio - si è comunque a conoscenza di prestatori che chiedono appena il 36%. Le altre compagnie di microcredito hanno fatto uno step interessante dal lato dell’aiuto alla popolazione a quello del sabotaggio della stessa, in favore dell’ingrossamento dei portafogli.

Spieghiamo lo schema: a partire dalla metà degli anni ’90 il microcredito veniva offerto dalle ONG di settore, che usavano fondi propri, donazioni private e Reserve Bank. Già, la banca centrale indiana. Per potenziare il progetto, l’ente di Stato fece in modo di legare le ONG agli istituti di credito privati, in modo da assicurare iniezioni di capitale continue. Avere delle banche “vere” alle spalle, in teoria, doveva proteggere gli utenti da eventuali fallimenti - o fughe con la cassa - delle ONG.

Peccato che a lungo andare (nemmeno tanto, visto che già ai primi anni del 2000 la frittata era fatta) le banche iniziarono ad alzare i tassi d’interesse alle ONG per aumentare i profitti. Reazioni dei cari amici umanitari: alzare di conseguenza i tassi ai poveri, migliorando il compartimento di persuasione dei clienti per allargare a macchia d’olio il bacino clientela, ovviamente anche a persone non in grado di sostenere nemmeno un prestito di 10 centesimi di qualsiasi valuta in corso nell’universo conosciuto.

La parte comica è che questo irritante rondò si è rivelato molto proficuo, attirando investitori e facendo trasformare le ONG in vere e proprie compagnie private e quotate. Il giro d’affari era divenuto talmente largo da attrarre anche investitori stranieri di un certo livello, tra cui ricordiamo la Infosys Technologies e la Sun Micorsystems, famosa per i software solidali anti-Microsoft ed altre amenità.

La società di ricerca Venture Intelligence riferisce che sino al 2006 sono entrati nel settore “no-profit” - le virgolette sono d’obbligo - del microcredito indiano appena 515 milioni di dollari. Circa il 66% dei microprestatori indiani sono pro-profit (perdonate il bisticcio di parole): il report statale sul caso riferisce che al 2010, su 260 prestatori, ci sono circa 26,7 milioni di borrowers per un giro di 183 milioni di rupie di prestiti pendenti, con un trend che non accenna a diminuire.

Una tipica storia di microcredito, come riportano testimonianze reali, vede un artigiano prendere un prestito per costruire una casa, e magari non da solo. Le ONG e dintorni mirano i neo-debitori, proponendo prestiti a catena dove ogni debito viene ripagato con la contrazione di altro debito. Finiti i soldi e soprattutto finiti gli altri prestatori, restano gli strozzini locali oppure il suicidio. Spesso sono proprio le abitazioni ad innescare tali spirali del debito, in una sorta di caso subprime dei poveri. Ancora più poveri. Nota a margine: la SKS ammette candidamente che il 17% dei suoi clienti si suicida. Ergo, non osiamo immaginare cosa succeda nelle altre ditte, magari al customer care hanno dei becchini.

Vengono da fare dunque altre riflessioni: se è scontato il mancato rispetto per le condizioni della popolazione davanti al profitto, ci si interroga anche sulla fallacità del ruolo dello Stato in tutto questo. La Reserve Bank ha in effetti, volontariamente o meno, innescato tale reazione a catena, e soprattutto non ha posto i limiti regolamentari a questo trasformismo di funzioni e al puro strozzinaggio. Un sistema che opera ad iniezione di capitale privato, non importa l’ingenza delle cifre, ha bisogno di poche regole ferree e di un attento enforcement delle stesse. Senza, si crolla. Si creano bolle, si creano speculazioni, la popolazione soffre e si crea insoddisfazione ed instabilità sociale.

Come sempre, le reazioni sono state lente: lo Stato dell’Andhra Pradesh ha iniziato a limitare le attività di microcredito, ma in ogni caso l’azione si rivela inefficace, almeno a breve-medio periodo, ed inoltre l’iniziativa dovrebbe essere coordinata ed a livello nazionale, onde evitare la nascita di zone franche per i truffatori. Il discorso è lo stesso fatto in altri mercati più ampli: anche il prezzo è il medesimo, quello della vita dei singoli e della loro dignità.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy