di Emanuela Pessina

BERLINO. Non è ancora quotato in Borsa ma già vale più di titoli come Deutsche Bank e BMW: secondo quanto riferisce il New York Times, alcuni gruppi finanziari hanno investito in Facebook sulla base di una valorizzazione del social network pari a 50 miliardi di dollari statunitensi. L’operazione ha destato innanzitutto le inquietudini del mondo dell’economia, che si trova impreparato di fronte alla svolta tutta “virtuale” della finanza, ma non solo: perché a essere messa in discussione è soprattutto la natura della piattaforma online, alimentata finora dalla filosofia libera del web 2.0.

A far balzare in avanti l’impresa virtuale, fondata nel 2003 da Mark Zuckerberg, é stato l’interesse di due colossi dell’economia mondiale quali Goldman Sachs e Mail.ru, prima conosciuta come Digital Sky Technologies. Secondo il New York Times, le due imprese hanno investito in Facebook oltre 500 milioni di dollari, regalando al social network una notevole credibilità finanziaria. Goldman Sachs, da parte sua, ha investito 450 milioni di dollari, mentre l’agenzia d’investimenti russa, Digital Sky Technologies, ne avrebbe impegnati 50.

In precedenza, il gruppo russo aveva già impegnato in Facebook mezzo miliardo di dollari: una cifra astronomica che lo rende, assieme a Goldman Sachs, uno dei maggiori “azionisti” del social network. Gli investimenti di Goldman Sachs e Digital Sky hanno fatto lievitare il valore percepito dell’impresa virtuale: agli occhi degli analisti, Facebook vale ora ben 50 miliardi di dollari e ha superato nomi già consolidati dell’olimpo web 2.0 come Ebay, Yahoo o Time Warner, oltre che titoli quali BMW e Deutsche Bank.

Nonostante il valore nominale stratosferico, tuttavia, Facebook, così come molte giovani aziende online tra cui Twitter, non è ancora quotata in Borsa e viene trattata in un una sorta di mercato “virtuale” quale Share-Post, il cosiddetto mercato secondario. Nel secondary market, il controllo operato sulle contrattazioni è minore rispetto al mercato azionario vero e proprio: tra le altre cose, qui le imprese non sono obbligate a pubblicare cifre d’affari né fatturato, perché risultano ancora private. Un gruppo è costretto a entrare in Borsa - e a rendere conto dei propri numeri - solo nel momento in cui vi partecipano più di 500 contribuenti.

Secondo il New York Times, Goldman Sachs pensa ora di istituire un fondo per permettere anche a singoli investitori privati di prendere parte alla quotazione di Facebook. Questa operazione permetterebbe alla potente banca americana di raccogliere un altro miliardo e mezzo di dollari e d’incassarne le provvigioni, senza però essere costretta ad annotarsi in Borsa e ovviando in maniera elegante alla regola dei “cinquecento”. Sì ai guadagni, quindi, senza offrire la trasparenza necessaria a operazioni di tale portata. Il progetto crea già inquietudini.

In particolare, l’operazione non è piaciuta alla Securities and Exchange Commission (SEC) statunitense, l’organo che si occupa di garantire la trasparenza basilare delle contrattazioni sul mercato azionario. Se gli esperti stimano il fatturato annuo di Facebook attorno al miliardo di dollari, il suo valore percepito è di 50 volte superiore: il rischio è alto perché non c’è trasparenza. Nessuno sa quanto effettivamente Facebook guadagna.

A quanto pare, SEC ha già cominciato con le indagini del caso: il suo obiettivo è aggiornare le regole del mercato - che risalgono a quasi 50 anni fa - e limitare l’operazione di Goldman Sachs, impedendo che diventi abitudine. Gli investitori più accorti, da parte loro, cominciano a ritirare i capitali da Facebook. Alcuni temono il gonfiarsi di una bolla finanziaria simile a quella degli anni della New Economy, tra il 1999 e il 2000.

Perché Goldman Sachs conta tra gli investitori più abili di Wall Street e la sua scommessa finanziaria su Facebook potrebbe dare credibilità al social network di fronte agli occhi degli investitori, senza però offrire le garanzie necessarie a una tale operazione. Come si diceva Facebook non è appunto ancora iscritto al mercato finanziario. Gli amministratori del social network stanno già pensando a entrare nel mercato nel 2012; il papà di Facebook ha più volte rinnegato l’interesse personale a una quotazione della sua creatura virtuale, che, nel frattempo, è già diventato un mostro.

Il valore di queste giovani aziende virtuali è cresciuto negli ultimi tempi in maniera vertiginosa perché sempre più investitori hanno mostrato interesse per il modello economico proposto e ne hanno voluto approfittare. Il punto forza di Facebook è l’attenzione che suscita in determinate categorie di pubblico: oltre 500 milioni di utenti hanno il proprio profilo Facebook e la piattaforma risulta addirittura più cliccata di Google.

Va da sé che, nell’era dell’abbondanza e dell’economia di mercato, l’attenzione dell’utente è il traguardo fondamentale di ogni pubblicità, risultando il bene più prezioso per ogni marchio. La necessità e l’effettiva qualità dei prodotti viene sottomessa al bisogno di esser visto e scelto. In questo senso, il tentativo dei gruppi finanziari di sfruttare la “propaganda” che Facebook può offrire è quasi scontato.

Gli unici a non essere contenti dell’evoluzione saranno i sostenitori della filosofia del World Wide Web, che vedevano nell’informazione virtuale la possibilità di fuggire all’economia di mercato creando una sorta di memoria comune al di fuori delle regole imposte dalla finanza e dalla politica. Facebook, insieme a tutte le altre piattaforme online, quali youtube o wikipedia, era uno dei cavalli di battaglia della dottrina web 2.0. Resta da vedere ora quanto i social network potranno sacrificare di questa connotazione iniziale di libertà quasi naive senza perdere di fascino e interesse agli occhi degli utenti.

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