di Giuliano Luongo

Tra le tante e costanti critiche che il cittadino comune - spesso chiamato con dispregiativa arroganza “uomo della strada” dalla letteratura economica - sferra alle istituzioni europee ed a tutto il loro entourage, c’è quella della incommensurabile lentezza decisionale, che le fa percepire come una banda di cialtroni bravi solo a rimandare.

Di certo, nonostante i passi avanti, l’ultimo rinvio (stavolta a Dicembre) delle decisioni definitive sulle modifiche al Patto di Stabilità e sulle conseguenti variazioni del Trattato di Lisbona non gioveranno alla reputazione dell’Unione nei confronti del grande pubblico. Ma di certo, anche gli analisti più attenti avranno qualcosa da dire (se non ridire) riguardo gli ultimi avvenimenti del vertice UE del 28 ottobre.

Com’è noto, i lavori iniziavano sotto l’egida dell’intesa franco-tedesca sulle modifiche al Patto ed il pollice verso di Trichet a tali variazioni. Il clima della vigilia sembrava alquanto favorevole solo all’immobilità: non era solo il numero uno della Banca Centrale Europea ad essere foriero di dubbi, ma anche i rappresentanti di Stati di peso come la Gran Bretagna non sembravano avvezzi ad un esito positivo delle trattative. Così stranamente non è stato: l’inguardabile Cancelliera tedesca ha saputo sfoggiare inaspettate doti diplomatiche, riuscendo ad allargare il fronte dei riformatori per portare il vertice ad un esito relativamente positivo riguardo i cambiamenti annunciati.

“Relativamente”, perché le riforme saranno rese note solo nel prossimo vertice di Dicembre, ma “positivo” perché ormai la riforma del Patto è stata accettata dai 27. Le modifiche alle norme contenute nel Patto, discusse una decina di giorni fa durante l’incontro Ecofin, sono state gradite alla coscienza politica dell’Unione, che ha affidato alla task force del Presidente del Consiglio Van Rompuy il compito di elaborarle in dettaglio ed esporle fra poco più di un mese. Come sempre, un rinvio pur nell’accettazione.

Non di poco conto il punto sul quale l’iniziativa tedesca ha dovuto cedere, ossia quello del ritiro del diritto di voto ai paesi che violino le disposizioni sui conti pubblici: il Presidente della Commissione Barroso è arrivato a dire che “una misura del genere è inaccettabile, irrealistica e contraria allo spirito del Trattato”, nonostante la ferma convinzione della Merkel sulla validità di questa disposizione. E’ passata inoltre l’ipotesi di modifiche ai Trattati, seppur in maniera minima (ancora una volta, la Germania voleva di più). Sfuma invece la possibilità di un’intesa sul tipo di fondo anti-crisi da varare: i tedeschi volevano non solo un sistema di salvataggio, ma anche la previsione di un sistema di gestione “ordinata” del default di uno stato. Nessun altro paese ha appoggiato questa posizione.

Riportiamo l’ultima decisione di rilievo per poi avviare alcune riflessioni d’obbligo: è passata l’idea che il fondo anticrisi riguarderà solo i paesi dell’area Euro. E di questo è stata molto felice l’Inghilterra, guarda caso. Non è stata brava diplomaticamente, la Merkel: ha in effetti fatto concessioni molto grandi al sentimento anti europeista britannico. Per avere il loro appoggio, ha fatto passare quest’ultima disposizione, togliendo così l’onere al più grande paese non-Euro dell’Unione di dover collaborare al fondo di soccorso per i Paesi che potrebbero andare in crisi economica. In secondo luogo, il “potente” asse franco-tedesco ha fatto passare la proposta Cameron di non far alzare i contributi nazionali al budget UE al 6% nel 2011, mettendo invece un tetto al 2,91%.

Queste intese costituiscono uno spunto interessante per analizzare i rapporti di forza all’interno dei paesi “di peso” dell’Unione. Ad essere passate, in fondo, sono state solo le modifiche vaghe ed esistenti solo in teoria alle disposizione “tecniche” del Patto di Stabilità, come il criterio numerico da adottare per il taglio del debito e l’impatto del debito privato, mentre i tentativi più rivoluzionari sono rimasti al palo.

L’idea di grande modifica dei Trattati per introdurre riforme economiche (e non) è stata ampiamente ridimensionata perché vista come rischiosa da gran parte dei rappresentanti presenti al meeting. Il concetto di modifica “light”, come definito dal capo dell’eurogruppo Juncker, al fine di introdurre un meccanismo anticrisi permanente, deve passare perché aiuterà la sopravvivenza della UE stessa, ma non si deve andare oltre: aprire la porta ad ulteriori modifiche potrebbe innescare una nuova spirale di divisioni che vanificherebbe la lunga e difficile strada che ci ha portato a Lisbona.

Il vero fiasco della proposta Merkel può essere identificato con il “no” secco dei leader alla sospensione del diritto di voto. Si noti come la Merkel lo abbia giustificato tirando in ballo l’art.7 del Trattato di Lisbona, che prevede la sospensione per i paesi che “violino i principi fondamentali dell’Unione”: cercava di estendere una misura di principio legata prettamente all’ambito politico e sociale e a quello economico, creando un loop che di fatto avrebbe affermato il primato dell’economia sulla politica. Si nota semplicemente come la lettura dello scopo ultimo dell’Unione Europea è ancora quello di una comunità economica, non di una comunità di cittadini europei.

A più di cinquant’anni dalla nascita del primo nucleo dell’Unione, risulta evidente come sia ancora l’economia il motore primario delle sue dinamiche interne: dal punto di vista dell’integrazione, le trattative tra i potenti dimostrano ancora come la via verso un’Europa politica sia ancora molto lunga. E mentre le definitive decisioni più o meno prettamente “contabili” vanno ancora elaborate e discusse, si nota come le spinte euroscettiche - per l’ennesima volta da parte inglese - abbiano peso nella definizione delle strategie comunitarie. Sullo sfondo, rimane una potenza franco-tedesca leggermente sminuita, sia dal rivale britannico sia dal resto dell’Unione stessa.

Non ci resta quindi che rimandare di un mese ulteriori considerazioni prettamente tecniche e di bilancio, non meno importanti per valutare lo stato di salute comunitario. Per ora si può solo constatare che l’Unione Europea politica e sociale nata a Lisbona, quella che dall’anno scorso sostituisce la comunità “solo economica”, non ha mostrato un volto all’altezza del suo ruolo.

 

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