di Ilvio Pannullo

Il 2009 sarà ricordato come l'anno dell'inflazione più bassa degli ultimi cinquant'anni. Stando a quanto calcola l'Istat, nell'anno appena concluso i prezzi al consumo sono aumentati solo dello 0,8%: un record imbattuto dal 1959, quando l'inflazione fu pari a -0.4%. Allora il dato segnava l’inizio di una fase di espansione economica che sarebbe stata successivamente ricordata come uno dei periodi più felici nel dopoguerra italiano.

Dalla fine degli anni ’50, infatti, s’innescò in Italia una fase di rapida trasformazione delle strutture economiche e sociali. Fu un processo che in dieci anni trasformò la penisola da paese prevalentemente agricolo - sostanzialmente sottosviluppato - in un moderno paese industrializzato. Oggi la situazione appare decisamente diversa, nonostante il partito dell’amore, saldamente al governo, dispensi ottimismo per il presente e speranza per il futuro.

Stando ai dati rilasciati dall’Istituto nazionale di statistica nel mese di dicembre 2009, l'inflazione è aumentata di pochissimo: appena un + 0,2% su base congiunturale (rispetto a novembre 2009) mentre su base annua, l'aumento registrato è stato dell'1%. Sempre secondo l'Istat, nel 2008 l'inflazione era salita al 3,3%. Anche l'indice Ipca - quello utilizzato in sede europea ed ora utilizzato anche come base di riferimento per i rinnovi contrattuali (depurato però dei prezzi dei carburanti) - ha registrato un aumento dello 0,8% rispetto al 3,5% del 2008. Pare insomma che i dati descrivano una situazione più che positiva, con i prezzi al consumo stabili e le famiglie italiane pronte a cogliere l’opportunità fornita dall’aumento del loro potere di acquisto.

Peccato che nessuno sembra averlo notato. La statistica è, infatti, una materia molto delicata, una scienza non esatta i cui dati rappresentano più una tendenza che una precisa fotografia della realtà. Basti pensare che, in un'ipotetica società formata da due sole persone, di cui una è proprietaria di due telefoni mentre l'altra è nullatenente, secondo la statistica entrambe avrebbero un telefono a testa. Nell’ipotetica società, dunque, non si registrerebbe - questo almeno secondo i numeri - alcuna anomalia.

Quanto appena detto è necessario per comprendere come sia possibile che, dietro a un costo della vita basso come quello accertato dall'Istat per il 2009, si celi una riduzione del potere d’acquisto e del reddito per milioni di famiglie. Se nel dopoguerra l’inflazione zero segnava infatti l’inizio del boom economico, oggi lo stesso dato statistico descrive tuttavia una realtà completamente diversa. Allora il maggior impulso all’espansione economica venne proprio da quei settori che avevano raggiunto un livello di sviluppo tecnologico e una diversificazione produttiva tali da consentir loro di reggere l’ingresso dell'Italia nel Mercato Comune Europeo, in quegli anni ancora in costruzione. Il settore industriale, nel solo triennio 1957-1960, registrò un incremento medio della produzione del 31,4%. Assai rilevante fu anche l’aumento produttivo nei settori in cui erano presenti le grandi realtà industriali: le autovetture segnarono un più 89%; la meccanica di precisione un più 83%; le fibre tessili artificiali un più 66,8%. Oggi la realtà dell'economia italiana è purtroppo assai diversa.

La recessione che ha investito l'intera economia internazionale ha colpito gli italiani in modo eterogeneo: chi ha perso il lavoro ha avuto un tracollo del reddito e ha dovuto adattare il proprio stile di vita di conseguenza; i redditi fissi, invece, hanno beneficiato dei prezzi bassi guadagnando addirittura potere d'acquisto, un'occasione preziosa per recuperare gli effetti mai smaltiti dell'introduzione dell'euro. Dal 2001 a oggi, centinaia di prodotti - secondo quanto riportato su Milano finanza del 12 gennaio - hanno subito enormi rincari: si va dal 5% per 250 g di burro, il rincaro più basso, al 290% per un cono gelato, il rincaro più alto. Almeno questa è la teoria.

Nella pratica si osserva infatti che nonostante l'inflazione sia prossima allo zero il potere di acquisto delle famiglie italiane ha continuato a ridursi, come peraltro certificato dallo stesso Istituto nazionale per la statistica: nel periodo ottobre 2008-settembre 2009, il reddito disponibile in termini reali è diminuito dell'1,6% rispetto a un anno prima. La domanda dunque si pone spontanea: come si spiega questo mistero? Come’é possibile che a prezzi bassi corrisponda un potere d'acquisto in calo?

La risposta si trova guardando quelli che sono gli unici prezzi a salire in tempo di recessione. Per esempio tariffe e pedaggi, come nel caso delle Ferrovie dello Stato che a dicembre hanno rivisto al rialzo i prezzi dei biglietti, con punte del 20%. Similmente nel 2010 Autostrade per l'Italia, il gruppo acquistato a debito dalla famiglia Benetton, ha deciso un aumento dei pedaggi del 2,4%. E questi sono aumenti che colpiscono tutti e contribuiscono ad innescarne altri: "In un paese dove l'80% dei trasporti avviene su gomma - afferma la Coldiretti - l'aumento dei pedaggi pesa sui costi della logistica che incidono per quasi un terzo sui prezzi di frutta e verdura". E, per restare in tema di logistica, da marzo anche gli scali aeroportuali potranno applicare rincari compresi fra 1 e 3 euro, in base al volume degli investimenti e al numero di passeggeri di ogni scalo.

Ma non finisce qui: dopo un anno di ribassi sono salite le tariffe del gas (€ 26 in più all'anno); si è adeguato il canone Rai aumentato di € 1,5 in più rispetto al 2009; l'assicurazione auto obbligatoria costerà in media ad ogni famiglia € 130 in più all'anno; il ricorso al giudice di pace € 55; la bolletta dell'acqua € 18; la Tarsu (la tassa sui rifiuti solidi urbani) € 35; i servizi bancari € 30 e le rate dei mutui per l'aumento dello spread applicato dalle banche € 80, annullando o quasi il beneficio derivante dai bassi tassi di interesse a livello europeo. Insomma, un'apocalisse di rincari che secondo l’Adusbef e Federconsumatori ammonterà a € 660 annui. Aumenti - è bene ricordarlo - che non dipendono dall'andamento della domanda ma da decisioni quasi sempre di tipo amministrativo, come le tasse, o da rigide condizioni di mercato (come la Rca) o da quello del credito.

La conseguenza di tutto ciò sarà che chi ha un reddito fisso non riuscirà sostenere l'economia approfittando dei prezzi bassi, perché il suo "bonus da inflazione zero" finirà divorato dai vari aumenti delle tariffe, mentre chi avrebbe bisogno di un po' di respiro riceverà il colpo finale. Secondo Federconsumatori "ogni famiglia sarà colpita nel suo potere d'acquisto per mancati introiti dovuti a cassa integrazione, minori guadagni e disoccupazione, per un ammontare complessivo pari a € 565". Mancate entrate che, se sommate ai 660 euro di rincari significano, più o meno, 1000 Euro in meno all'anno. E, se riparte l'inflazione, sarà ancora peggio.

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