di Rosa Ana De Santis

E’ morta in poche ore nella sua casa di Roma, nel pomeriggio di quest’ultima domenica  agli sgoccioli del 2012. Scienziata insignita del premio Nobel, donna di passioni civili e di forte impegno politico per la libertà e la democrazia: tutto questo erano i 103 anni di Rita Levi Montalcini,  la cui mancanza sembra già un torto irreparabile al patrimonio delle eccellenze culturali e scientifiche del Paese.

Commossa la reazione del Presidente Napolitano che incoraggia la Fondazione scientifica, fondata dalla stessa scienziata, ad andare avanti nel mantenere alto quell’orgoglio e quel prestigio che la Montalcini aveva conferito all’Italia grazie alla sua scoperta, avvenuta fin dagli inizi degli anni 50, del fattore di crescita delle cellule nervose, ancora oggi foriero di nuovi sviluppi e applicazioni nell’ambito delle scienze neuronali e non solo.

Considerava il suo autentico merito l’impegno, l’ottimismo e lo studio - e non la sua intelligenza,  a suo dire mediocre - tutto ciò che l’ha accompagnata, come ricorda la nipote Piera,  durante la sua vita fino agli ultimi giorni. Del resto tutta la sua esistenza ne è stata una continua prova. Rita si iscrive all’università contro il volere del padre, inizia gli studi in cattività e allestisce un laboratorio in casa per sfuggire alle leggi razziali, una volta espulsa dall’ateneo, fino a dover lasciare l’Italia per proseguire la ricerca negli Stati Uniti.

E’ una donna che ama la scienza ed è ebrea, doppiamente scomoda per i tempi cupi che la vedono giovane, impegnata notte e giorno davanti al microscopio. E’ la forza della sua volontà e tenacia a consentirle non solo di arrivare alla scoperta del celebre fattore Ngf, ma di tracciare un esempio politico e civile che parla di emancipazione, di eguaglianza di genere, di quel potere immenso di libertà che è intrinseco allo studio e all’istruzione.

Nel 2001 viene nominata senatrice a vita e l’incontro con il Parlamento Italiano non le risparmia gli insulti di chi come l’onorevole Bossi dichiarò di preferire a quella scienziata Scilipoti, o di Castelli che definì uno spreco i finanziamenti all’European Brain Research Institute, meglio darli al Ponte sullo Stretto secondo lui. Ed infine di Storace che nei giorni delle votazioni per approvare la Finanziaria del governo Prodi si domandava se dovesse portare le “stampelle a casa” alla senatrice. Magari quelle del regime, come gli rispose la stessa Montalcini.

Leghisti e fascisti, la solita accozzaglia immonda; tutti personaggi che la senatrice del Nobel, come dichiarò alla rivista Science, “non stava nemmeno a sentire”, ma tutti quelli che sarà bene tenere a mente perché i consueti riti del cordoglio non cancellino la memoria delle differenze e di certe bassezze,  tipiche delle nostre aule istituzionali.

Accanto al rigore della ricerca scientifica, quello che dal caos delle cellule le aveva permesso di individuare un potenziale miracoloso di accrescimento, c’erano anche fantasia ed estro. Quello con cui amava accompagnare i suoi lavori scientifici con eleganti illustrazioni o disegnare i suoi stessi vestiti, traendo spunti dall’eredità di una madre pittrice ed artista. Scienza e umanità in questa minuta e sottile donna camminavano insieme.

A chi, negli ultimi anni, la invitava a dare un commento sulle recenti derive della politica e del costume morale del paese, la Montalcini rispondeva con pungenti frasi diventate ormai celebri. Di quelle che finiscono sempre,  prima o poi, sulle t- shirt di qualche studente. Quelle sulle donne e la loro vera emancipazione (“Io credo nelle donne, ma non nei movimenti femministi”), sulla democrazia (“Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella "zona grigia" in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva,  bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi”) e sul valore della laicità.

Ed infine, proprio nel giorno della sua morte sembra più attuale e vera che mai quella che la consacrò davanti a tutti, nonostante quel corpo magrissimo e fragile, come un gigante. Un gigante che non ha conosciuto stanchezza, senilità, veti frutto della malvagità ed ignoranza umana, né limiti della fisica e della morte. Perché, come disse lei stessa,  “Il corpo faccia ciò che vuole, io sono la mente”. E questa mente, per nostra fortuna, sopravviverà.

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