di Carlo Musilli

Devi tornare al diario vecchio stile, quello fatto di carta e chiuso da un lucchetto, per avere ancora dei segreti. Se invece alla penna preferisci la tastiera del computer, non hai scampo. Sua maestà Google raccoglie le informazioni che tu stesso gli hai dato, ti scheda e usa il tuo dossier per vendere "pubblicità personalizzata". Un meccanismo che da anni mette a rischio la privacy di tutti e contro cui finora nessuno è stato in grado d'intervenire.

Questa settimana però l'Unione europea ha provato a scuotersi dal torpore, dando una leggerissima bacchettata sulle mani enormi del gruppo americano. I Garanti della riservatezza dei Paesi membri hanno scritto una lettera a Larry Page, cofondatore e Ceo del gruppo di Mountain View, per chiedergli di adeguare la nuova politica sulla privacy alla Direttiva europea per la protezione dei dati personali. Un invito garbato, forse un po' troppo timido per indurre il più grande gigante di internet a modificare la pratica con cui ogni anno incassa decine di miliardi di dollari.

Nel mirino dell'Ue c'è soprattutto l'innovazione che Google ha scelto d'introdurre lo scorso marzo senza consultare nessuno. In sostanza, da sette mesi i dati personali che l'azienda ottiene tramite i suoi servizi (motore di ricerca, Gmail, Youtube, Google Maps, il social network Google Plus e altri ancora) vengono incrociati liberamente. Questo - dicono da Mountain View - ha consentito di riunire gli oltre settanta testi relativi alle politiche sulla privacy in un unico documento, rendendo più trasparente la gestione dei dati.

Peccato che, allo stesso tempo, l'interscambio d'informazioni fra siti diversi consenta di ricostruire fin nei minimi dettagli la nostra vita digitale, rendendo Google ancor più appetibile agli occhi di tutte le aziende che vogliano fare pubblicità online. Cosa c'è di più redditizio che conoscere i gusti di ogni potenziale consumatore? Un sogno che il marketing ha da tempo trasformato in realtà grazie ai cookies, piccoli file testuali usati, fra l'altro, per tracciare l'attività di chi naviga.

Insomma, altro che trasparenza: "Google usa i dati degli utenti raccogliendoli in maniera massiva e su larghissima scala - scrivono i Garanti europei - in alcuni casi senza il loro consenso, conservandoli a tempo indeterminato, non informando adeguatamente gli utenti su quali dati personali vengono usati e per quali scopi, e non consentendo quindi di capire quali informazioni siano trattate specificamente per il servizio di cui si sta usufruendo".

Mountain View dovrebbe chiarire anche "le finalità e le modalità di combinazione dei dati tratti dai vari servizi forniti e mettere quindi a punto strumenti per consentire agli utenti un più stretto controllo sui propri dati personali". A questo scopo, i Garanti raccomandano alla società di adottare "meccanismi semplificati di 'opt out', sia che l’utente sia iscritto o meno ad un servizio, e di ottenere il consenso espresso degli utenti all’incrocio dei dati".

Con "meccanismi di opt out" si intende il procedimento attraverso il quale gli utenti possono opporsi al trattamento dei propri dati personali. Un modo per evitare di essere tracciati da Google quindi esiste, ma è talmente complesso da essere riservato alla cerchia di eletti con competenze informatiche superiori alla media.

Si pone così un problema normativo di fondo: le Autorità di controllo nazionali, anche se riunite a livello di Unione europea, hanno davvero il potere d'imporre al sovrano di internet il rispetto delle proprie regole? Al di là del (limitato) danno d'immagine che uno scontro del genere può comportare per Google, ciò che più conta è come sempre la ragione del business. Solo nel 2011 Mountain View ha fatturato grazie alla vendita di pubblicità qualcosa come 37 miliardi di dollari.

E questo ancor prima dell'innovazione sui "dati incrociati", che con ogni probabilità farà lievitare ancora oltre i profitti. Ora, di fronte a numeri di questo tipo, quali sanzioni dovrebbe temere Google? E' verosimile che rinunci alla sua gallina dalle uova d'oro per paura di una multa dai Garanti della privacy?

Peter Fleischer, global privacy counsel della società, non sembra poi così intimorito: "Le nostre nuove regole sulla privacy - ha detto - dimostrano il nostro impegno costante nel proteggere le informazioni dei nostri utenti e nel creare prodotti utili. Siamo fiduciosi che le nostra informativa sulla privacy rispetti la legge Europea".

Il rischio è che, fatti due conti, l'azienda accetti eventuali ammende pur di continuare il più possibile a schedare gli utenti come ha sempre fatto. Magari, invece di una lettera, servirebbero provvedimenti un tantino più incisivi.  

 

 

 

 

 

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