di Mario Braconi

Un recente scritto dello scrittore premio Nobel Gunther Grass, ospitato la scorsa settimana sul quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, ha provocato un putiferio in Israele: si tratta di un insolito componimento poetico, che in effetti suona più come un breve pamphlet politico, nel quale l’intellettuale ottantacinquenne, partendo dal senso di colpa tedesco legato al disastro nazista, si esercita su quella che egli sente come un’urgenza (politica, ma anche umana, esistenziale): fornire un contributo alla sterilizzazione di quello che egli correttamente identifica come il più pericoloso focolaio di infezione bellica globale, ovvero la recente escalation della tensione nucleare tra Israele e Iran.

Le parole di Grass sono state ricevute nello stato ebraico come il sale su una ferita: non poteva essere diversamente, in un paese, che pur essendo l’unica democrazia del Medio Oriente, sembra al momento ostaggio di un manipolo di politici destrorsi irresponsabili e imbevuti di retorica belligerante, sostenitori del “tanto peggio, tanto meglio”.

Ad aprire le danze, inevitabilmente, il commento del Ministro degli Esteri Avigor Lieberman, che, commentando le scomode esternazioni di Grass, non si è fatto sfuggire la ghiotta occasione per sputacchiare in giro un po’ di paranoia: oggetto della sua esecrazione “l’egoismo dei cosiddetti intellettuali occidentali, che ancora una volta desiderano sacrificare il popolo ebraico sull’altare di pazzi anti-semiti, solo per vendere qualche libro in più ed accreditarsi [come filoarabi doc]”.

Di certo Liberman parla per esperienza personale ed attingendo al suo repertorio politico, quando conclude la sua tirata condannando i “piccoli semi di odio, che accendono grandi incendi”. A nulla sono servite le parole di Grass, che domenica, in un’intervista “riparatrice” ad un giornale tedesco, ha ribadito che obiettivo polemico della sua poesia “Ciò che deve essere detto” non è il popolo ebraico, ma il governo israeliano. Il quale, per tutta risposta lo ha dichiarato “persona non grata”, vietandogli l’ingresso nel Paese.

Tra gli argomenti impiegati senza risparmio da chi intende crocifiggere Grass c’è quello secondo cui una critica al governo israeliano equivarrebbe ad un appoggio incondizionato al governo iraniano. Ad esempio, sulle parole di Grass si è così espresso il ministro degli interni israeliano Yishai: “se Gunther desidera continuare a pubblicare i suoi lavoro falsi e distorsivi, gli consiglio di andare a farlo in Iran, dove troverà un pubblico che lo accoglierà con calore”.

A lui, come a tutti gli altri politici israeliani che gareggiano tra loro a chi è il più oltraggiato deve essere sfuggito il passaggio della poesia di Grass nella quale egli scrive: “Ho rotto il mio silenzio / perché sono disgustato dall’ipocrisia dell’Occidente / e spero pure che molti vengano liberati / dal loro silenzio, e possano chiedere che / i responsabili di questo chiaro pericolo / che stiamo affrontando rinuncino all’uso della forza, / ed insistano a pretendere che tanto il governo / israeliano che quello  iraniano autorizzino una autorità internazionale / ad effettuare ispezioni libere ed aperte del potenziale e delle capacità belliche di entrambi i paesi.”

Ciò che però brucia particolarmente ai politici israeliani e a tutti quelli che vogliono apparire campioni dell’amicizia con il governo israeliano indipendentemente dalle misure che esso pone in essere, è ovviamente considerare la democrazia israeliana e la dittatura teocratica iraniana alla stessa stregua. Un’argomentazione in teoria anche sottoscrivibile, se non fosse per un piccolo dettaglio: ovvero che una democrazia si dovrebbe valutare non tanto in base al  punteggio ottenuto al club del Primo mondo, quanto piuttosto sulla valenza democratica dei suoi atti politici.

Ecco, pur riconoscendo la positiva peculiarità della presenza di un parlamento in Israele, non si possono passare sotto silenzio i risultati pratici che tale democrazia al momento sta dimostrando di produrre: l'assedio ai palestinesi, sempre al limite di trasformarsi in guerra totale, il sostegno agli insediamenti a dispetto di qualsiasi legalità, e, per finire, la minaccia dell’uso di armi nucleari contro uno stato islamico nemico vicino per... impedirgli di accedere alle medesime tecnologie belliche.

Tutto questo solo per ribadire l'ovvia considerazione che la democrazia è un metodo ideale, che però non garantisce, anzi talora cospira attivamente contro, la pace. Senza contare che, per tornare alla querelle sorta attorno al caso Grass, un paese realmente democratico non dovrebbe temere le idee, anche e soprattutto quelle non confortanti. Non dovrebbe abbassarsi al rango di un qualsiasi regime dittatoriale vietando ad un intellettuale di attraversare i suoi confini per incontrare i suoi cittadini, per dibattere, anche vivacemente se necessario, le sue idee, non importa quanto controverse e/o non gradite esse possano risultare.

Ad esempio, in un altro passo della sua accalorata omelia, Grass chiama a responsabilità i  tedeschi, mettendoli in guardia contro i danni che potrebbero provocare rendendosi complici, con le loro esportazioni di materiale bellico in Israele, di un crimine che è già visibile, e la connivenza con il quale non potrà essere respinta in futuro con “le solite scuse”. Non risulta che tali parole abbiano destato particolari reazioni in Germania, né che Grass sia stato sottoposto a qualche forma di censura formale o meno per le sue parole, non meno urticanti rispetto a quelle destinate a Israele e all’Iran.

Fermo restando il pieno appoggio allo scrittore tedesco, e la denuncia di ogni forma di censura (di stato o non), resta però un dato: Gunter Grass, la cui biogafia è obiettivamente macchiata dalla militanza giovanile in un corpo nazista, avrebbe certamente reso un miglior servizio alla sua condivisibile causa pacifista se avesse lasciato ad altri intellettuali, ugualmente “visibili” dal punto di vista mediatico, ma meno compromessi storicamente, il suo sfogo appassionato e sincero.

Israele ha infatti avuto gioco facile a ridurre la portata dei ragionamenti di Grass alle esternazioni antisemite di un ex nazista: non a caso, per impedirgli l’accesso al paese, si è fatto leva proprio non sul contenuto delle sue recenti esternazioni, ma su una legge israeliana che prevede questa misura nei confronti di chiunque si sia in qualche modo compromesso con il regime nazionalsocialista tedesco.

 

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