di Vincenzo Maddaloni
VARSAVIA. Si potrebbe anche cominciare dalla casetta di cemento, quella che era la sala d'attesa dirimpetto al muro, quasi di fronte al posto di guardia e al portone blindato che si apriva automaticamente scivolando sulle guide quel tanto che bastava per farvi passare le automobili della Miliçia, della polizia, e il cellulare con gli arrestati. Le donne erano arrivate con il seguito dei figli, cariche di borse. Si erano sedute dentro, si guardavano intorno parlando sottovoce, finché era venuto il guardiano, berretto e divisa grigia, grinta di legionario, aveva passato addosso una lunga occhiata di traverso e aveva cominciato a leggere i nomi: uno, due, tre, quattro, cinque nomi polacchi con i loro grumi di consonanti: era il primo turno.
Le persone chiamate si erano alzate avviandosi verso la porta, il muro. Ogni tanto, dai tetti i corvi lanciavano il loro grido, sennò sarebbe stato un silenzio implacabile, da non muoverlo più. Aspettare un'altra ora per il prossimo appello di cinque, e che altro si poteva? Era un mercoledì del gennaio 1982 che, col sabato, era giorno di visita per gli internati del carcere di Bialoleka, uno dei tanti disseminati nel Paese, dove il generale Jaruzelski aveva fatto rinchiudere trenta mila oppositori del regime dopo la proclamazione - il 13 dicembre del 1981 - della legge marziale in Polonia.
Quello di Bialoleka era un blocco di cemento nel grigioverde morbido della campagna varsaviese, a quindici chilometri dalla capitale: il filo spinato, le garitte, il carcere insomma delimitato da una striscia d'asfalto e il marciapiede, poi i pini, le betulle e, di là dalla strada, le case dei guardiani, un negozio di alimentari, le aiuole e gli orti zappati con affetto. La casetta stava in mezzo: una piccola costruzione dipinta di fresco. Dentro l'ambiente era spoglio: la stanzina per i sorveglianti, la sala con le panche verdi appoggiate alle pareti, la vetrata che filtrava un sole smunto e livido e la gente che guardava fuori e dentro si parlava sempre più piano, si sussurrava, si raccontava, si spiegava.
E’ su questi scenari, i quali riportano indietro la Polonia di trent’anni e l’Unione sovietica ai tempi di Breznev, che s’è scatenata una polemica tra il cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cracovia e prima ancora segretario di Giovanni Paolo II, e Michail Gorbaciov. Il merito di questa polemica riguarda proprio il colpo di Stato del generale Wojciech Jaruzelski, che mise fuori legge il sindacato Solidarnosc incarcerando i suoi esponenti di vario rango, a cominciare dal leader storico Lech Wa??sa, e privando l’intera la società polacca dei fondamentali diritti civili.
La legge marziale durò dal 13 dicembre 1981 fino al 22 luglio 1983. Durante quel periodo migliaia di attivisti politici erano stati arrestati e detenuti senza processo. Le strade delle maggiori città erano pattugliate costantemente da militari e carri armati. I collegamenti telefonici con l’estero erano stati staccati; la corrispondenza era sistematicamente controllata e censurata; le lezioni nelle scuole e nelle università erano state sospese. Fabbriche, stazioni, mezzi di comunicazione, ospedali, porti, miniere erano sotto il controllo diretto dei militari. Il cibo era razionato.
Sicché parecchi polacchi tenteranno di scappare: dal Dicembre 1981 al 1983 undici voli partiti dalla Polonia furono dirottati e fatti atterrare all’aeroporto Tempelhof di Berlino. Naturalmente anche in quella circostanza, la Polonia si distinse dai Paesi “fratelli”, applicando lo stato d'assedio in modo contraddittorio: genti nelle carceri e dibattiti in Parlamento; censura e critica (limitatissima) sui giornali; lavoro obbligatorio e disoccupati; veto di espatrio come si è visto, ma permessi concessi a migliaia per poter assistere a Roma alla santificazione (10 ottobre 1982) di padre Kolbe. Tuttavia, quando nel 1983 Lech Walesa vinse il premio Nobel per la Pace, non gli fu permesso di andare a ritirarlo. Pochi mesi dopo (22 luglio) la legge marziale sarà revocata, ma i prigionieri politici saranno liberati soltanto con l’amnistia del 1986.
A trent’anni di distanza da quei fatti la Polonia è ancora divisa. Da una parte ci sono coloro che considerano il generale Jaruzelski un patriota che guidò il Paese in una transizione difficile salvandolo dall’invasione sovietica. E dall’altra parte coloro che lo considerano un despota e un traditore. Entrambe le parti in tutti questi anni hanno raccolto centinaia di documenti e altrettante testimonianze per supportare le rispettive tesi. Alcune clamorose come quella del generale Jurij Dubinin, ex comandante della guarnigione sovietica in Polonia, il quale aveva dichiarato ufficialmente che il Cremlino di Leonid Breznev era pronto a invadere la Polonia, anche a costo di affrontare una sanguinosa guerra contro la resistenza popolare e di combattere contro lo stesso esercito polacco pur di fermare la rivolta dei cattolici in Polonia.
Mosca era dunque decisa ad applicare anche in Polonia la "dottrina Breznev della sovranità limitata", che l'allora numero uno sovietico invocò nell'Agosto 1968 per difendere l'impero e stroncare con un atto di guerra le riforme lanciate in Cecoslovacchia da Alexandr Dubcek. In un'intervista (Marzo 1992) a Gazeta Wyborcza, il quotidiano liberal diretto a quel tempo dal capo storico del dissenso, Adam Michnik, il generale Dubinin aveva rivelato che «le divisioni sovietiche avrebbero dovuto invadere la Polonia il 14 dicembre. I piani operativi erano stati approntati in base all'esperienza che avevamo maturato in Cecoslovacchia. Solo all'ultimo momento, poche ore prima che l'invasione scattasse, l'operazione fu bloccata. Fu il colpo di Stato del generale Jaruzelski che - al prezzo di migliaia di arresti e di alcuni morti - stroncando l'opposizione, esautorando in parte lo stesso Partito comunista e affidando il controllo e di fatto l' amministrazione quotidiana della Polonia alle forze armate nazionali, convinse Breznev a fermare i suoi carri armati».
Naturalmente i generali del "Wron" (Consiglio militare di salvezza nazionale, la giunta che con a capo Jaruzelski assunse il potere), continuarono a dichiarare senza mezzi termini che «l'unico metodo di governo attuabile oggi in Polonia è una forma di assolutismo illuminato», tuttavia era difficile dire quanti all'interno del Partito erano disposti a sottoscrivere quella soluzione. C'era tra gli operai - ricordo in quei giorni a Varsavia - una rabbiosa frustrazione, uno spirito di rivincita, il timore che la vicenda potesse esplodere, ma tutti, proprio tutti - militari e popolazione civile, partito e sindacato - erano propensi a trovare una soluzione interna, a togliere spazio e pretesti per «l’aiuto fraterno» dei sovietici.
«lo non credo nell'assolutismo - mi diceva Zdzislaw Morawski, direttore di Zycie Warszawy, il più importante quotidiano della capitale - penso che questa situazione potrà andare avanti uno, due, tre anni, ma si dovrà trovare un'intesa con la società. Purtroppo il tempo gioca a sfavore, perché il nostro maggior nemico oggi non è la crisi economica, è l'odio. In Polonia, in passato, c'erano state discussioni, dissidi, rivolte, mai odio. Oggi c'è, e cresce ogni giorno di più. lo ho vissuto per molti anni in Italia, nel vostro Paese: se la polizia ammazza un operaio fate dimostrazioni, cortei, scioperi per due, tre giorni, poi ve ne dimenticate. In Polonia no: se lo ricordano per decenni. Questo è terribile». http://biblioinrete.comperio.it/index.php?page=View.DocDetail&id=954870.
Infatti, trent’anni dopo riescono ancora a sollevare polemiche le rivelazioni di Michail Gorbaciov alla TVN24, l’emittente privata col più alto numero di ascolti in Polonia. Nell’intervista che è andata in onda nel giorno di Natale e ritrasmessa il giorno dopo, l’ex presidente sovietico ricordando la sua visita in Vaticano (1 Dicembre 1989) ha raccontato che alla sua domanda su cosa pensasse dell'iniziativa di Jaruzelski, Giovanni Paolo II aveva risposto: «E’ stata una decisione giusta».
La mattina dopo - puntuale - è arrivata la smentita del cardinale Stanislaw Dziwisz l'ex segretario di Giovanni Paolo II, e ora arcivescovo di Cracovia, il quale in un comunicato ha espresso “tutto il suo stupore” per quanto aveva dichiarato Gorbaciov alla televisione. «Devo decisamente affermare - ha scritto il porporato - che il Santo Padre non aveva parlato con il signor Gorbaciov della legge marziale, poiché il suo giudizio su questa iniziativa era inequivocabilmente negativo».
Del resto, nel suo libro “La mia vita con Karol” don Stanislaw aveva già scritto che «l'introduzione della legge marziale era stata per il Pontefice un autentico “shock” e che egli ne era sorpreso e addolorato». E a suggello aveva riportato pure le parole pronunciate dal Papa durante un’udienza: «Cosa avete fatto a questa nazione? Essa non meritava siffatto trattamento!».
Fin qui la cronaca. Vi potrei aggiungere che per quel poco che ho conosciuto di Gorbaciov, (essendo con Giulietto Chiesa e Andrei Graciov tra i fondatori del “World political forum” del quale Gorbaciov è il presidente), non mi sembra un personaggio che s’inventi fole pur di ravvivare la sua fama. Naturalmente, va pure ricordata la situazione politica in Polonia, che fino a quattro anni fa è stata governato dai gemelli Kaczynski fortemente critici nei confronti dell'Europa occidentale e pericolosamente anti-semiti ed omofobi.
Donald Tusk (che è succeduto, nel Novembre 2007, al premier uscente Jaroslaw Kaczynski) è tra i fondatori di Platforma Obywatelska (“Piattaforma Civica”). Esso è il maggior partito politico nel Parlamento polacco: un partito di centrodestra, liberista nelle politiche economiche e che governa in coalizione con il Partito Popolare Polacco, un partito agrario e centrista.
Se si tiene a mente lo scenario politico tutto schierato sul centrodestra meglio si comprende la prudenza del cardinale. Va pure aggiunto, per completare il quadro, che in Polonia divampa la discussione sull’Islam. A scatenarla è stata appunto la costruzione nella capitale del centro di cultura musulmana, in cui oltre ad una biblioteca con una sala multimediale, una galleria d’arte, ristoranti e negozi, sarà allestita anche una sala di preghiera.
Quel che soprattutto non piace, nella cattolicissima Polonia, è sapere che il Centro ha ricevuto dai sauditi i finanziamenti per costruire una moschea nel quartiere Ochota a Varsavia. Lo riprova anche la protesta organizzata l’anno scorso dall’associazione Przysztoc Europy (Il Futuro dell’Europa), nel giorno dell’inaugurazione del cantiere. Insomma, come ha scritto la Deutsche Welle, in Polonia la comunità musulmana è fiorente ed è composta «soprattutto da immigrati provenienti dalla Siria, dall’Iraq e dalla Libia perché», spiega l'emittente internazionale tedesca, «essi sono attratti dalla presenza della Polonia all’interno dell’Unione Europea».
Insomma, ce n’è abbastanza per non scatenare nuove polemiche che potrebbero insinuare dubbi tra i credenti della cattolicissima Polonia. Come appunto il sospetto che tra la Chiesa e il potere comunista rappresentato dal generale Jaruzelski fosse potuto esistere una qualche intesa, espressa con gli autorevoli silenzi, convalidata da un’ancora più autorevole considerazione nel corso di un incontro che rimane di una valenza epocale. E così, poteva essere questa intervista di Gorbaciov alla televisione lo spunto per porre fine alla controversia che ancora affligge la nazione, e per il cardinale il pretesto per rilanciare la nobile arte del cattolico perdono e placare gli animi. Insomma s’è persa un’occasione.
Wojciech Jaruzelski ha 88 anni e dal 15 Settembre è ricoverato in ospedale per una polmonite, conseguenza della chemioterapia a cui si sottopone da tempo per via di un linfangioma. Verso la fine di settembre era andato a trovarlo Lech Walesa, che ha vent’anni meno di lui e che è stato il suo maggior rivale. E’ per questa ragione che la notizia dell’incontro e le relative foto, nonché il racconto del suo tono affettuoso e cordiale, erano circolate molto in Polonia.
Era un incontro atteso da moltissimo tempo. Infatti, l’arrivo di Mikhail Gorbaciov al vertice del partito comunista sovietico, nel 1985, le complicatissime condizioni dell’economia del paese e la crescente popolarità dei sindacati, portarono il regime polacco a tentare di ricostruire un dialogo con Walesa e Solidarnosc. Nel 1989 si tennero dei negoziati e si stabilì infine l’istituzione di un parlamento bicamerale aperto alle forze della società civile polacca.
Alle elezioni del 1989, le prime elezioni libere del Paese, i comunisti ottennero la maggioranza relativa alla Camera - non quella assoluta - e conquistarono un solo seggio al Senato, mentre Solidarno?? prese tutti gli altri 99; tuttavia Jaruzelski venne eletto presidente del Paese. L’alleanza tra Solidarno?? e alcuni partiti ex alleati dei comunisti costrinse Jaruzelski a nominare Tadeusz Mazowiecki Premier, il primo Premier non comunista della Polonia dal 1948. Jaruzelski si dimise dopo pochi mesi, nel 1990, e gli succedette proprio Lech Walesa.
I due storici rivali finirono per essere quindi i primi due presidenti della Polonia libera. Oggi Jaruzelski si definisce un socialdemocratico. La Polonia - si è detto - è ancora divisa tra chi lo considera un patriota e chi lo considera un despota e un traditore. La visita di Walesa era stata letta unanimemente come un tentativo di riconciliare il Paese, ma di lasciare alla Storia un giudizio finale sul suo vecchio e malato rivale. Altrettanto hanno fatto Gorbaciov e il Cardinale.