di Mario Braconi

Sembra proprio che non si arrestino le clamorose azioni di Anonymous, il gruppo anarchico contraddistinto dalla maschera di Guy Fawkes resa celebre dal fumetto e dal film V for Vendetta. I cosiddetti Anonimi sono famosi per imbarcarsi in operazioni la cui totale illegalità è bilanciata dai principi morali che le animano. Pur riconoscendo, infatti, che il metodo è illegale, si fa davvero fatica a non parteggiare per gli hacker del collettivo senza nome quando, ad esempio, svergognano lo zelo maniacale con cui Tom Cruise parla di Scientology (nemico dichiarato di Anonymous), diffondendo un filmato, destinato ad uso interno, che ritrae l’attore in una accalorata apologia della sua setta.

O quando hanno prodotto danni consistenti a Mastercard e PayPal, attaccando e mettendo fuori uso i loro siti quando i loro dirigenti abbandonano Julian Assange al suo destino, per il timore di incorrere nelle ire del governo americano. O quando hanno messo ko un provider underground noto per il suo atteggiamento per così dire molto aperto nei confronti dei suoi utenti pedofili, che ha sostenuto in modo inequivocabile fornendo loro banda e anonimato.

Uno dei casi più interessanti è quello che ha avuto ad oggetto la HBGary, società di sicurezza informatica (si noti l’ironia!) che lo scorso febbraio stava per vendere alla FBI, con la quale collaborava, un organigramma di Anonymous, completo dei dati personali dei suoi membri coinvolti nel cyber-attacco a Mastercard e PayPal. Non l’avesse mai fatto: il 5 febbraio gli Anon, così si fanno anche chiamare i membri del gruppo anarchico, si sono impossessati del sito della società, rubando tra l’altro oltre 60.000 email aziendali, e forse perfino distruggendo i suoi file di back-up. Un tassello chiave dell’operazione è stato il furto delle credenziali della posta elettronica privata di Aaron Barr, amministratore delegato della società: in questo modo uno degli anonimi, fingendosi Barr, ha scritto all’amministratore di sistema sostenendo di trovarsi in Europa e di aver bisogno di resettare le password del rootkit (ovvero del profilo più elevato nella gerarchia del sistema).

L’ignaro (e vien da dire alquanto superficiale) amministratore del server, lo ha fatto senza indugio, di fatto consegnando agli hacktivisti le chiavi del regno della HBGary. E dire che l’administrator gabbato dagli Anon non è proprio un pivellino, visto che è Jussi Jaakonahosu, capo della sicurezza informatica della filiale USA della Nokia. Altre azioni di Anonymous, comunque, sono meno condivisibili, come la pubblicazione di una grandissima mole di dati personali di membri delle polizie di diversi stati americani pescati da oltre settantacinque siti di uffici di sceriffi, tutti clienti della stessa società di web hosting: anche perché si tratta di un vero atto di ritorsione per l’arresto, da parte delle polizie americane e britanniche, di una cinquantina di membri del collettivo, probabilmente coinvolti nei “denial of service” ai gestori di carte di credito.

Una libera aggregazione di persone che, per sua stessa ammissione, non ha leader e non si riconosce nemmeno nella definizione di “gruppo”, quanto piuttosto in quella di “idea” incarnata, non può dimostrare solidità granitica. Qualche prima avvisaglia di una certa diversità di intenti all’interno del collettivo si era già vista in occasione della cosiddetta operazione Facebook, con la quale si minacciava di attaccare il social network il 5 novembre (Guy Fawkes’ night, anniversario della Congiura delle Polveri, 1605). La notizia, annunciata con sospetto anticipo, il 16 giugno, era stata in generale accolta con molto scetticismo, anche perché, secondo gli esperti che seguono le gesta degli Anon, pur essendo il trattamento dei dati personali da parte del social network altamente discutibile, non sembra esistere al momento nel collettivo un atteggiamento maggioritario favorevole all’affondamento di Facebook.

Ma a Natale è accaduto qualcosa di ancora più grave: un nuovo attacco devastante informatico che ufficialmente porta la firma di Anonymous, il cui obiettivo è la società di consulenza Stratfor (Strategic Forecast) autore di un briefing quotidiano di intelligence. E due comunicati stampa, uno che celebra le gesta degli Anonimi, e uno che prende le distanze dall’operazione. I clienti della Stratfor non sono proprio cittadini qualunque, se è vero che, come risulta da una fonte (anonima!) su pastebin, tra i 500 nominativi pubblicati (fino alla notte del 24 dicembre una lista riservata) figurano, oltre all’Aviazione Militare americana, il Dipartimento di Polizia di Miami e l’immancabile Apple, Goldman Sachs (per ben dieci volte: dieci dipendenti?), la Rockefeller Foundation ed il colosso dei derivati MF Global, attualmente in bancarotta.

I burloni della Anonymous sostengono inoltre di aver saccheggiato circa 4.000 numeri di carta di credito dei clienti di quella che è stata definita una specie di CIA - ombra, che dovrebbero essere utilizzati per fare un milione di dollari in donazioni ad enti benefici, primo tra tutti quello che sostiene Bradley Manning, il militare che rischia l’ergastolo per altro tradimento, in quanto sospettato di essere “La” fonte confidenziale di Wikileaks. Al di là del drammatico danno di immagine, causato alla società di consulenza (si sa che la segretezza è un elemento essenziale per fare buoni affari) ciò che preoccupa veramente la Stratfor e suoi clienti sono le informazioni, presumibilmente riservate e potenzialmente imbarazzanti, nascoste in quei 200 gigabytes di corrispondenza che Anonymous sostiene di aver rubato dai server della società.

Tutto chiaro, dunque? Neanche un po’. Come ricorda PC Magazine USA, esiste un secondo comunicato stampa di Anonymous, anche esso “postato” su Pastebin (un repository online dove si può salvare testo per un certo periodo di tempo) di segno totalmente opposto.

Firmato dalla cosiddetta “fazione ufficiale” di Anonymous, esso attacca frontalmente l’Anonimo che fa capo all’account Twitter The Real Sabu (probabilmente un britannico): “Stratfor è stata volutamente rappresentata in modo distorto da questi cosiddetti Anon e ritratto sotto una luce negativa come una realtà che svolge attività simili a quelle di HBGary. Sabu e i suoi sono solo gente vogliosa di attenzione se non proprio agenti provocatori. Poiché Stratfor è un media, il suo lavoro è protetto dal principio della libertà di stampa, un valore che Anonymous tiene nella massima considerazione. E, per giustificare la sua posizione, l’Anonimo cita un pezzo apparentemente pubblicato sul Time e basato su due newsletter di Stratfor (Global Intelligence Report, Red Alert) del 5 e del 6 gennaio 1999, secondo cui gli attacchi USA all’Iraq sarebbero stati un modo per mascherare il fallimento di un colpo di stato ordito dagli Stati Uniti ai danni del regime di Saddam Hussein".

A dire il vero, anche questo comunicato stampa non sembra del tutto credibile e, francamente, suona quanto meno curioso vedere come un sedicente rappresentante di Anonymous prendere le difese di un soggetto che, pur realizzando un tipo di informazione “assolutamente imparziale”, sembra in ottimi rapporti con grandi banche e istituzioni che rappresentano in modo quasi paradigmatico lo status quo cui Anonymous si oppone. Purtroppo, questa incertezza è il prezzo da pagare quando si bazzica il mondo underground di Anonymous, dove la segretezza è strumento del mestiere. E poi, si sa, gli anarchici rispondono solo a se stessi: è questo il loro bello, ma è sempre stato anche il loro limite. Viene quasi la nostalgia perfino di quello sporcaccione di Assange.

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