di Emanuela Pessina

BERLINO. Debutta allo Yaam di Berlino, in Germania, il nuovo tour europeo degli Africa Unite, il gruppo più rappresentativo del panorama reggae italiano, tornato al successo nel 2010 con l’album Rootz e attualmente impegnato a festeggiare trent’anni di carriera. A creare gli Africa Unite sono Bunna e Madaski nel 1981, in occasione della prematura scomparsa di Bob Marley, come in una sorta di dedica costruttiva e perenne alla memoria: il nome del gruppo, “Africa Unite”, viene dall’omonima canzone di Marley.

Da allora il gruppo ha mantenuto una produzione musicale costante negli anni e in continua evoluzione, fino a diventare un’icona anche nel contesto reggae internazionale. Dopo Berlino, il tour europeo 2011 passerà per Den Haag, Bruxelles, Londra, Dublino, Parigi, Madrid, Barcellona, Valencia e Lugano.  Ed è a Berlino che li abbiamo incontrati e abbiamo avuto Bunna ai nostri microfoni.

Gli Africa Unite sono un’icona del reggae made in Italy e non solo; una band che, in trent’anni di carriera, ha sempre cercato uno stile proprio. Nel 2000 avete cominciato con Vibra un percorso elettronico, per arrivare all’elettro dub di Controlli nel 2006. E ora, dopo quattro anni, arriva il nuovo disco Rootz, che significa “radici”.

Rootz è uscito a marzo dell’anno scorso e l’abbiamo chiamato così per due motivi. Uno, perché raccoglie tutte le ispirazioni che hanno originato la passione degli Africa per il reggae negli anni, da Bob Marley agli Steel Pulse, che sono gruppi che ci piacevano allora e ci piacciono tuttora molto, così come un certo tipo di reggae legato alla dub poetry, vedi Linton Kwesi Johnson e via dicendo. E in Rootz ci sono proprio tutte le sfaccettature che ci hanno fatto amare il reggae e ci hanno fatto cominciare a suonare. Due, Rootz recupera tutti quelli che sono i canoni del genere, della musica jamaicana, quindi è un disco assolutamente di reggae classico, ortodosso e quindi fedele a quelle che sono le regole del genere stesso, soprattutto rispetto al disco precedente del 2006, Controlli, che ha un suono tra virgolette più europeo, più elettronico. Quindi Rootz, radici in questo senso.

Al di là dell’evoluzion musicale, il filo conduttore della musica degli Africa negli anni rimane comunque l’impegno sociale, la denuncia delle ngiustizie. Con i testi cercate sempre di dire qualcosa d’importante.

Si, in effetti abbiamo sempre cercato di dire delle cose con la nostra musica. La musica è sicuramente un mezzo per divertirsi, per socializzare e stare insieme, però i musicisti dovrebbero allo stesso tempo cercare di far passare dei messaggi. Così come Bob Marley all’inizio, il reggae è sempre stato una musica dall’attitudine un po’ rivoluzionaria e, comunque, portatrice di messaggi. Gli Africa vengono proprio da una scuola di questo tipo. Certo, noi abbiamo sempre cercato di farlo a modo nostro, raccontando di situazioni che ci circondano, magari proprio italiane, perché non ci piace andare a scimmiottare situazioni che non ci appartengono. Non siamo giamaicani, non siamo nati né vissuti a Kingston, quindi scegliamo di non raccontare quelle tematiche che i gruppi reggae solitamente trattano, ma che sono lontane dal nostro modo di vedere le cose. Sarebbe poco credibile che un gruppo italiano si lanciasse in questi temi. Nel nostro piccolo, abbiamo sempre cercato di denunciare quello che ci sembra il caso di denunciare e, allo stesso tempo, di allontanare un po’ dall’immaginario solito i luoghi comuni legati al reggae, come l’uso della marijuana e il rastafarianesimo, due cose che noi non pratichiamo.

Mi sembra molto interessante. Soprattutto ora, in assenza di grandi movimenti sociali o d'opinione, è interessante vedere come la musica impegnata possa comunque ritagliarsi una cornice di centralità culturale…

Sicuramente, chiaro che non è facile, soprattutto in Italia, dove c’è una situazione molto triste, preoccupante. L’ideologia comune è che sembra sempre che è tutto a posto, che non c’è niente di cui preoccuparsi, niente per cui sia il caso di lottare. Giorno per giorno ci tolgono sempre più libertà senza che quasi ce ne accorgiamo e ci sono tutti presupposti per sollevarsi, per fare una rivoluzione. Noi non abbiamo la presunzione di voler cambiare il mondo, però almeno suggerire degli spunti di riflessione, il fatto di pensare è già un’ottima cosa, il fatto di porsi delle domande e di andare un po’ a fondo nelle questioni e crearsi un’opinione personale. Se ti affidi agli strumenti di comunicazione di massa, l’indirizzo che ti danno è sempre teso a creare un’opinione di un certo tipo.

A questo proposito avete scritto “Cosa resta”, l’ultimo brano di Rootz, un pezzo che denuncia la farsa mediatica, “lo strumento di distrazione dell’attenzione”…

Certo, in un sistema sociale e politico come l’Italia siamo veramente in balia di quello che ci viene propinato. Bisognerebbe rendersi conto che c’è un modo per trovare l’informazione reale, c’è modo di informarsi, e la rete è una cosa importantissima e, per fortuna, è ancora una fonte libera ed è abbastanza anarchica. Si possono andare a cercare le cose e, con un minimo di approfondimento, si può capire veramente come stanno le cose. Chiaro che affidarsi alle televisioni, alle radio… purtroppo in Italia siamo ibernati in un sistema che punta molto sui media per creare il consenso e per accrescere il proprio potere. E proprio da questo bisogna prendere le distanze… sarebbe importante pensarci.

E soprattutto pensare…

Esatto, è proprio la cosa che non vogliono farci fare. Sembra sempre che, finché c’è “Il grande fratello” e “L’isola dei famosi”, finché hai 20 euro per fare la benzina o la ricarica al cellulare,  è tutto a posto. Purtroppo il retroscena è molto più grave e pesante. Gli operai perdono il lavoro, gli studenti non sanno cosa faranno, ci sono problemi che magari non ci toccano direttamente ma che fanno sì che la società italiana viva una situazione molto triste.

Abbiamo parlato della rete e della sua importanza per l’informazione. E per la vostra musica, la rete è stata un aiuto?

Chiaramente anche noi ne abbiamo avuto bisogno. Certo, la vendita dei dischi in questi ultimi anni è scesa molto, un problema forse legato ai pochi soldi che la gente ha, o alla facilità con cui si possono scaricare i pezzi. Eppure il fatto che la musica possa circolare in modo gratuito può fare bene alla musica e anche al gruppo stesso, ne siamo convinti. C’è molta gente che ti conosce, c’è più gente che può venire a vedere i concerti, e quindi ben venga il download, il file sharing e così via. La rete è veramente una risorsa assolutamente da sfruttare…

Che può forse limitare forse lo strapotere delle major…

Assolutamente sì. Un’unica cosa, bisognerebbe trovare un minimo di regolamentazione perché vengano tutelati anche gli autori. È importante che anche chi crea la musica abbia un minimo di ritorno economico. Però va bene così, la musica che circola crea popolarità. Nel nostro caso funziona: abbiamo sempre avuto un pubblico di gente che si copia le cose, che le passa, ma va bene così.

E ora sta partendo il tour europeo. Den Haag, Londra, Dublino, Barcellona…

Si, 8 date in 9 giorni, una cosa abbastanza impegnativa ma bella. È la prima volta che facciamo un tour così strutturato fuori dall’Italia. Abbiamo partecipato a degli eventi occasionali, tipo l’anno scorso siamo stati al Chiemsee Reggae Summer, sempre in Germania, in Spagna al Sunsplash, festival che purtroppo è stato esiliato. Abbiamo sempre fatto cose negli anni, siamo stati in Iraq, in Palestina (1993, n.d.r.), piuttosto che diverse volte in Olanda, però mai una cosa così strutturata: stavolta vogliamo provare in modo più articolato. E speriamo che la gente apprezzi, che ci sia del pubblico anche non italiano.

Progetti futuri?

Dopo questo tour europeo, a giugno partirà quello italiano estivo, un classico, che si concluderà a settembre. Nel mese di maggio uscirà un libro, la biografia degli Africa Unite, che racconta questi trent’anni di Africa, che sono veramente tanti. Noi abbiamo cominciato nel 1981 e, a celebrazione del trentennale, raccontiamo la nostra storia con foto, aneddoti e così via in un libro. Una cosa molto interessante.

Grazie. Allora aspettiamo il libro per saperne di più.

Grazie a voi. 
 

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