di Fabrizio Casari

Quasi quasi viene voglia di crederci, o almeno di sperare. Clemente Mastella, neo nominato Ministro della Giustizia del governo Prodi, si è detto favorevole alla concessione della grazia per Adriano Sofri.
Non avevamo fatto a tempo a constatare che, appena poche ore dopo la vittoria dell'Unione, veniva arrestato Provenzano, condannato Previti, arrestato Ricucci, condannata Wanna Marchi e indagato Moggi, che le dichiarazioni di Mastella ci hanno definitivamente convinti che forse qualcosa si muove, che tira un'aria diversa in questa Italia che ha voglia di ricominciare.
Le parole del neoministro della Giustizia arrivano poche ore dopo il giuramento davanti al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Neanche il tempo di vedere l'effetto che fa un uomo di sinistra al Quirinale (bell'effetto..) che le parole di Mastella su Adriano Sofri ci accarezzano le orecchie. E' la notizia più bella che abbiamo ricevuto, da quando la Cassazione ha ufficializzato che Berlusconi poteva accomodarsi fuori da Palazzo Chigi. Della grazia a Sofri e Bompressi, Castelli, spalleggiato soprattutto dai postfascisti di An, non volle sentirne parlare. Per carità, niente di cui stupirsi. Il ventriloquo di Berlusconi amava solo mettere sotto inchiesta i magistrati che mettevano sotto inchiesta gli imputati eccellenti. La sua linea politica era semplice quanto chiara: con i potenti la massima comprensione, con gli umili la massima fermezza. E se poi un detenuto aveva la sventura di non essere dentro per reati fiscali, bancarotta o corruzione di pubblici funzionari, allora la fermezza diventava definitiva. Nella difficoltà ad assemblare i due concetti, aveva diviso la delega ministeriale in modo netto: per gli amici la Grazia, meglio se rapida; per i nemici la Giustizia, meglio se tombale.

Adriano Sofri è stato vittima di un pentito poco credibile e di un Ministro ancor meno credibile. Quando il Presidente Ciampi si mostrò disponibile ad un provvedimento di grazia, Castelli si disse contrario; non solo si rifiutò di firmare un parere favorevole, nonostante la volontà del Quirinale fosse già di pubblico dominio e nonostante tutti i rapporti favorevoli da parte di chi doveva pronunciarsi. Andò oltre, negando in solido il dispositivo costituzionale che assegna al Presidente, "sentito" il Ministro di Grazia e Giustizia, la possibilità di concedere il provvedimento di clemenza, asserendo invece che il suo parere padano fosse vincolante per l'esito della procedura.

Il dibattito non era tra chi riteneva che Adriano Sofri meritasse la grazia in quanto diverso dal Sofri di Lotta Continua e tra chi invece sosteneva e sostiene che si tratta della stessa persona. Sofri la grazia non l'ha mai voluta chiedere, perchè non si chiede la grazia per un reato che non si è commesso.
La volontà di Ciampi era soprattutto quella di rivendicare la propria autonomia decisionale in merito all'istituto della grazia, nel rigoroso rispetto del dettato costituzionale. A maggior ragione di fronte all'attacco aperto alle funzioni del Capo dello Stato, trasformato dalla controriforma istituzionale in un semplice tagliatore di nastri, tesi tutta insita nella posizione di Castelli. Nell'ex Capo dello Stato c'era poi la volontà di contribuire a chiudere un periodo storico come quello degli anni '70, consentendone una successiva analisi serena, lontana dalle contrapposizioni violente che l'avevano contrassegnata e i cui possibili rigurgiti erano avvertiti come nuovamente possibili senza un intervento definitivo di chiusura. Un discorso, quello di Ciampi, che aveva il respiro della difesa delle Istituzioni e dello Stato e che Castelli, ovviamente, non era in grado di comprendere, figurarsi accettare. D'altra parte, si ricorderà che l'ingegnere padano definiva le nostre carceri come alberghi a cinque stelle.

Pochi giorni or sono la Consulta, presso cui il Quirinale aveva presentato richiesta di parere, ha dato ragione all'ormai ex-Presidente Ciampi, dando quindi torto all'ingegnere padano. Le procedure con vizio di odio privato non rientrano nel dettato costituzionale.
Una maggiore celerità da parte della Suprema Corte sarebbe stata opportuna, viste anche le gravissime condizioni di salute di Adriano Sofri e Bompressi e le altrettanto gravi condizioni della giustizia italiana nelle mani padane.
Oggi quindi, sappiamo che una eventuale domanda di grazia vedrebbe parere favorevole del Ministro e, riteniamo, parere altrettanto favorevole del Quirinale.
Sarebbe necessario agire rapidamente in questo senso, anche per dare un taglio netto alla concezione della Giustizia del quinquennio berlusconiano, che ha battezzato la stagione dei diritti proporzionati all'entità del conto in banca e che, soprattutto, ha strappato il primo, fondamentale diritto di ognuno di noi: quello di essere tutti uguali di fronte alla legge.
O, almeno, di credere di esserlo.

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