di Mariavittoria Orsolato

Chi non conosce il programma X factor? Quel talent show canoro in cui baldi giovani con velleità artistiche, si sfidano all’ultima cover per vincere l’ambito premio in denaro ed una folgorante carriera musicale? Lo show, un clone del seguitissimo American Idol, è stato creato dal talent scout inglese Simon Cowell nel 2004 e da allora spopola sia in termini di ascolti televisivi che di vendite discografiche. Negli anni il format si è espanso a macchia d’olio in tutto il globo e se noi, magari nostro malgrado, ne siamo a conoscenza, è perché assieme alle versioni dell’Arabia Saudita, dell’India e della Colombia, c’è rientrata pure quella italiana, condotta dal figlio dei Pooh Francesco Facchinetti.

 Ebbene, in Inghilterra - dove da 6 anni il format va in onda - un gruppo di utenti Facebook ha lanciato una provocazione proprio contro Simon Cowell e il suo X Factor: dal momento che puntualmente, ogni Natale, la hit in vetta alle classifiche (oramai esclusivamente digitali) appartiene all’artista vincitore del programma, l’obiettivo è quello di boicottare X Factor tentando di portare al numero uno, un brano che non appartenga alla folta schiera degli adepti di Cowell.

La mission del gruppo non a caso recita provocatoriamente: “Stanco che l’ultima versione karaoke di X Factor sia il singolone di Natale?” Era già successo l’anno scorso, quando “Halleluja” il celeberrimo brano di Leonard Cohen è stato oggetto di una guerra di cover tra l’indimenticabile versione del 1994 di Jeff Buckley - compianto cantautore indie, figlio di un altro mostro sacro, Tim - e quella di Alexandra Burke, vincitrice dell’edizione Uk. Inutile dire che “la versione karaoke” di X Factor si sia aggiudicata la sfida.

Probabilmente convinti che quest’anno la musica sarà un’altra, gli anti-X Factor ci provano ancora e stavolta scelgono il brano di un gruppo che nella storia del rock ha sicuramente il primato per quanto riguarda l’attivismo politico e sociale. Stiamo parlando dei Rage Against The Machine e della loro ormai classica “Killing in the name”, tratta dall’album omonimo del 1992. La scelta non è casuale: gli statunitensi RATM sono da sempre conosciuti e apprezzati per il loro impegno politico a sinistra e per le battaglie in favore delle minoranze etniche.

Rappresentano infatti l’emblema di quel tipo di musica che non vuole solo essere intrattenimento fine a sé stesso, ma ambisce a creare nel suo pubblico una consapevolezza maggiore delle tensioni socio-culturali cui è inevitabilmente sottoposto. Certo, il singolo in questione, sebbene tratti delle connivenze tra Ku Klux Klan e polizia americana, non è uno dei loro testi più rappresentativi, ma la canzone è una delle più famose e il gruppo Facebook “Rage Against The Machine For Christmas Number 1” al momento ha già sfondato la quota dei 655.000 membri. Proprio oggi cominceranno le operazioni di download (ovviamente legale) per contrastare lo strapotere di Cowell e della sua SyCo, l’entertaining network che ruota attorno al programma televisivo e ai suoi sottoprodotti, e tra i sostenitori del gruppo c’è quasi un’ansia spasmodica.

L’iniziativa in sé sembra essere una buona cosa. Quale amante della musica non vorrebbe che in vetta alle classifiche, al posto dei ragazzi di Amici, ci fossero artisti validi e talentuosi che producono in modo autonomo la loro musica e soprattutto non sono costretti a fare piroette con Garrison o pietose litigate con la Maionchi? La realtà è però molto più dura e potrebbe scoraggiare chi, colto dall’incontrastabile buonismo natalizio o inebriato dai risultati del popolo viola, decida di aderire all’iniziativa promossa su Facebook.

Quello che i tabloid inglesi hanno sottolineato è che, comunque vada l’operazione di contrasto, per Simon Cowell sarà un successo, soprattutto in termini economici. Simon Cowell è infatti il fondatore e il proprietario della SyCo, una divisione della major discografica Sony Music Entertainment la quale ha l’esclusiva su tutti gli artisti di Cowell. La canzone “Killing in the name”, apparentemente perfetta per il nobile scopo, è invece tratta da un album prodotto sotto l’etichetta Epic Records che è però anch’essa una sottobranca della Sony, la quale inevitabilmente si accaparra anche i proventi di questo “acquisto etico/politico”.

Insomma, alla fine vincono sempre loro e la “rage against Simon Cowell” si trasforma in decine di migliaia di download extra per la Sony e, immaginiamo, in premi aziendali per lo stesso Cowell. A Natale, anche a provare a fare i buoni, si finisce sempre per agevolare i cattivi.


 

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