di Massimiliano Ferraro

Mentre la Russia continua a costruire nuovi sottomarini atomici, l'incubo della pericolosa eredità sovietica abbandonata in fondo al Mare di Kara torna a riproporre molti interrogativi sulla stoccaggio del combustibile nucleare esausto e degli altri rifiuti radioattivi. Enormi quantità di materiale nucleare giacciono sui fondali poco profondi del Mare di Kara, una porzione del Mare Glaciale Artico a nord della Siberia. La notizia, rilanciata dal quotidiano norvegese Aftenposten tramite la pubblicazione di alcuni documenti forniti dalle autorità russe, sta causando grande preoccupazione nei paesi che si affacciano sulla costa artica.

Diciassettemila fusti di rifiuti radioattivi, diciannove navi contenenti rifiuti tossici, quattordici reattori nucleari (di cui cinque contenenti combustibile nucleare esausto), settecento pezzi di armamenti contaminati e addirittura un sottomarino nucleare con i suoi due reattori, sono il pesante lascito imposto alle gelide acque glaciali dalla corsa agli armamenti portata avanti dall'Unione Sovietica durante la Guerra Fredda.

Voci circa i pericoli per la salute pubblica e l'ambiente nell'area del Mare di Kara erano circolate fin dal 1992. Nel marzo del 1993 la conferma che l'URSS avesse utilizzato per trent'anni questi fondali come discarica nucleare, in palese violazione della Convenzione di Londra del 1972 (firmata anche da Mosca), era stata data direttamente dal governo russo attraverso un dossier contenente dettagliate informazioni sulle pratiche di dumping nei mari artici.

Facevano parte di questa prima lista ben tredici reattori nucleari rimossi dai sottomarini della Flotta del Nord e affondati da Mosca tra il 1965 e il 1988 nei fiordi dell'arcipelago di Novaja Zemlja, ed il sommergibile K-27, con i suoi due reattori carichi di combustibile nucleare fatto colare a picco nel 1981. Successivamente una valutazione dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) inserì tra le cause di allarme anche altri tre reattori del rompighiaccio nucleare Lenin, nave ammiraglia della flotta sovietica di base a Murmansk, smaltiti nella zona occidentale del Mare di Kara.

Tuttavia la recente documentazione pubblicata dall'Afternposten fotografa una situazione di gran lunga peggiore di quanto si fosse pensato finora. Secondo il giornale norvegese «nessuno può garantire che le informazioni sul materiale smaltito dai sovietici siano complete» ed è impossibile stabilire con precisione quanta spazzatura radioattiva sia stata effettivamente scaricata in mare. «Ora è compito della Russia procedere alla bonifica dei fondali,è soprattutto loro interesse procedere in questo senso».

Un ostacolo alla conquista dell'Artico - La preoccupazione per la contaminazione radioattiva del Mare di Kola rischia di fungere da paravento per nascondere mastodontici interessi economici. Uno dei futuri progetti ritenuti primari della Russia è infatti l'esplorazione delle riserve di gas e petrolio nei territori artici.

Un obiettivo che Mosca è pronta a difendere con le armi, ma che oggi si scontra con il problema irrisolto dei rifiuti nucleari sommersi. Alle scoperte significative di gas e petrolio in questo territorio non sono ancora seguite infatti le trivellazioni, anche se già nel 2010 il colosso russo dell'energia Gazprom ha annunciato la sua intenzione di procedere all'estrazione dei circa 38.000 metri cubi di gas e petrolio che si trovano al di sotto del Mare di Kara.

Nasce dunque da qui la necessità di mappare i materiali pericolosi in fondo al mare prima dell'avvio dell'attività estrattiva. In caso contrario, a detta degli esperti, c'è il pericolo che le perforazioni dissotterrino la spazzatura nucleare che i sovietici hanno cercato di isolare in speciali contenitori soggetti oggi a corrosione, con conseguenze disastrose lungo tutta la costa artica.

Nell'ipotesi migliore il rilascio delle sostanze radioattive avverrebbe gradualmente, ma la possibilità di un evento improvviso e catastrofico non lascia dormire sogni tranquilli. È questo uno dei punti salienti della documentazione pubblicata dall'Aftenposten e che riguarda il rischio di un'esplosione dei reattori del sommergibile K-27, finora sottovalutato dalle autorità russe.

Sul fronte norvegese, dopo aver dichiarato di aver ignorato fino ad oggi l'inquietante incognita rappresentata dal vecchio relitto, il ministro dell'Ambiente Bård Vegar Solhjell ha tentato di minimizzare i pericoli connessi alla presenza nel Mare di Kara di materiale: «La gente non deve essere turbata da questi documenti, almeno finché non sapremo se c'è seriamente qualcosa per cui allarmarsi».

Intanto la Russia ha già istituito una commissione speciale che avrà il compito di localizzare e mappare i rifiuti nucleari presenti nelle proprie acque territoriali con una missione in cui lavoreranno fianco a fianco esperti russi e norvegesi. Uno sforzo diplomatico notevole e pressoché inedito per il governo di Mosca, solitamente allergico a far mettere naso nei propri affari agli stranieri. Dunque un grande passo avanti nelle relazioni tra Federazione Russa e Norvegia che secondo altre interpretazioni non sarebbe nient'altro che una velata richiesta d'aiuto dei russi per risolvere un problema troppo grande.

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