di Sara Seganti

Nuovo colpo di scena nel contenzioso che da quasi due decenni vede opporsi lo Stato dell’Ecuador e Texaco Petroleum, l’azienda statunitense che ha sfruttato concessioni per l’estrazione di petrolio nell’amazzonia ecuadoriana dagli anni ’60 agli anni ‘90, e dal 2001 di proprietà dalla multinazionale del petrolio Chevron.

Il governo ecuadoriano ha appena dichiarato che chiederà l’annullamento della sentenza della Corte permanente di arbitrato dell’Aja che ha calcolato in 96 milioni di dollari la cifra da risarcire alla Chevron, ritenendo la giustizia ecuadoriana eccessivamente lenta nel giudicare di alcune dispute commerciali tra Texaco e Petroecuador, la compagnia estrattiva nazionale, risalenti al 1991.

Ciò avviene dopo che, nello scorso mese di febbraio, il tribunale ecuadoriano di Lago Agrio aveva stabilito nella cifra record di 9,5 miliardi di dollari l’indennizzo che la Chevron avrebbe dovuto pagare all’Ecuador per i danni all’ambiente e alla salute causati dalla sconsiderata gestione dei rifiuti tossici da parte della Texaco. Indennizzo che sembra, tra l’altro, destinato a raddoppiare - come previsto dalla sentenza - fino a raggiungere l’inedita cifra di 19 miliardi di dollari, visto il dichiarato rifiuto da parte della Chevron di porgere le sue scuse per i crimini commessi.

Questi processi trattano ufficialmente di argomenti distinti, ma legati tra di loro a doppio filo. A riprova, la Chevron ha sfruttato il procedimento aperto presso la Corte Internazionale per rimandare l’adempimento degli obblighi pecuniari imposti dalla sentenza di febbraio e tentare di screditare la giustizia ecuadoriana.

La disputa decisa all’Aja in questi giorni ha a che fare con la prima parte della storia, quando il governo ecuadoriano filo-americano e liberista degli anni sessanta accorda la concessione per lo sfruttamento dei primi grossi giacimenti di petrolio trovati nella foresta amazzonica alla Texaco, in joint venture con la nazionale Petroecuador. Corruzione e assenza di leggi a tutela delle popolazioni locali e dell’ambiente producono negli anni un disastro di proporzioni uniche: miliardi di litri di rifiuti tossici e milioni di litri di petrolio riversati nei fiumi e nei laghi inquinano le falde acquifere e si disperdono nel territorio, causando gravissimi problemi alla salute alle popolazioni indigene e distruggendo un intero territorio. Aumentano esponenzialmente i casi di cancro, di leucemia nei bambini, di aborti spontanei e di tutte le altre malattie tipiche conseguenze dell’inquinamento tossico.

La Texaco aveva una concessione per lo sfruttamento del petrolio, ma aveva anche l’obbligo di garantire all’Ecuador la quantità di petrolio necessaria al mercato interno. Quantità che l’Ecuador ha sistematicamente gonfiato, secondo la Chevron, per poi rivendere l’eccesso danneggiando economicamente la Texaco. Il tribunale dell’Aja ha deciso di dare ragione alla Texaco in questi procedimenti, ma solo per l’aspetto che riguarda la lentezza nell’amministrazione della giustizia, individuando in questo una violazione da parte dell’Ecuador del Trattato Bilaterale di Promozione e Protezione Reciproca degli Investimenti sottoscritto con gli Stati Uniti. Trattato che l’Ecuador sostiene sia entrato in vigore solo nel 1997 e che non abbia valore retroattivo.

Comunque sia, il governo di Correa chiederà l’annullamento di questi 96 milioni di risarcimento, che non sono che una piccola parte della somma richiesta in origine dalla Chevron (superiore a 1.500 milioni di dollari) perché i giudici hanno tenuto conto delle imposte pari all’87%  previste per questo tipo di risarcimenti dal governo ecuadoriano.

Tornando, invece, ai danni causati dalla Texaco nella foresta amazzonica, è con l’arrivo al potere di Rafael Correa che l’Ecuador intenta un processo contro la Texaco per rinegoziare l’entità del risarcimento ambientale. Negli anni ’90, infatti, all’epoca della chiusura delle operazioni Texaco in Ecuador, il governo ecuadoriano aveva accettato un inadeguato accordo da 40 milioni di dollari per ripristinare l’aerea danneggiata dall’estrazione, offrendo in cambio alla Texaco una sorta di condono tombale per i danni causati.

Rafael Correa, in carica dal 2006, ha fatto sua la battaglia contro le oligarchie dello sfruttamento del sud del mondo, deciso a rinegoziare gli accordi con le aziende estere e a limitare l’influenza politica nord americana, atteggiamento che gli è già costato un colpo di stato respinto l’anno scorso. Sono queste le circostanze nelle quali il tribunale ecuadoriano decide per la sentenza storica di Lago Agrio, una delle più alte indennizzazioni mai comminate per crimini ambientali, che la Chevron ha rifiutato di pagare.

La vicenda processuale è molto complessa e lontana dall’essere chiusa; fatto sta che la decisione della Chevron di appellarsi alla Corte permanente di arbitrato, anche se per altri contenziosi, ha comunque sortito i suoi effetti. La Corte dell’Aja si è, infatti, dimostrata particolarmente zelante e ha colto l’occasione, all’inizio del procedimento per le dispute commerciali contro la Petroecuador, per chiedere all’Ecuador la sospensione di un’eventuale sentenza risarcitoria a carico di Chevron, proprio qualche giorno prima che il tribunale decidesse per l’indennizzo miliardario. La Chevron ha tratto un notevole vantaggio da questo richiamo, dato che rischiava di vedersi confiscare le piattaforme e le strutture per l’estrazione. Per il momento, dunque, è tutto da vedere che questa sentenza trovi mai applicazione.

Multe da milioni di dollari, avvocati, corti e intrighi internazionali, malattie, minacce e multinazionali del petrolio sullo sfondo di un Sud America in pieno risveglio economico e politico. La battaglia legale tra l’Ecuador e la multinazionale Chevron potrebbe quasi assomigliare a un buon thriller carico di colpi di scena se non fossero così tanti i malati e i morti rimasti sul campo in Ecuador, in quel pezzo di Amazzonia oggi distrutto, dove negli anni sessanta è iniziata la corsa al petrolio. Sarebbe un buon film, se qualcuno alla fine pagasse i danni.

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