di Alessandro Iacuelli

Nei giorni scorsi, è passata la notizia, un po' al volo e senza molti approfondimenti, di un sequestro avvenuto nel porto di Napoli l'11 aprile: cinque container pieni di rifiuti speciali, pronti ad essere imbarcati per un porto della Repubblica Popolare Cinese. Qualcuno ha precisato che si tratta di rifiuti “speciali non pericolosi”, altri che si tratta di una semplice esportazione illecita. In realtà l'argomento è delicato, non si tratta di un caso isolato, e va approfondito con la dovuta attenzione.

I cinque container sono stati scoperti e sequestrati nel Porto di Napoli dagli uomini del Comando provinciale della guardia di finanza partenopea, in collaborazione con i funzionari dell'Agenzia delle Dogane, attraverso l'attività di analisi dei rischi sulla documentazione presentata all'ingresso degli spazi doganali. All'interno è stato trovato un carico costituito da cascami, ritagli e avanzi di altre materie plastiche, classificabili come rifiuti speciali non pericolosi ai sensi del Testo Unico delle norme in materia ambientale.

Dai successivi accertamenti sulla documentazione è emerso che il destinatario finale dei rifiuti era, contrariamente a quanto dichiarato dall'esportatore, un'attività commerciale e non di recupero. Quindi il materiale a cosa era destinato? Non al recupero, ma neanche allo smaltimento, attività peraltro vietata dalla normativa comunitaria. Se il destinatario è un commerciante, è plausibile che li avrebbe rivenduti ad altri soggetti, magari a loro volta commerciali e quindi in grado di rivenderli. Di conseguenza, quei rifiuti sarebbero stati trasportati e trasferiti in altre città della Cina, fino a perderne le tracce. E poi? E' questo l'interrogativo inquietante.

I cinesi non buttano niente. E' questa la risposta, ancora più inquietante. Quel che è certo è che oramai da anni in Cina gli scarti, soprattutto plastici, finiscono nuovamente nel ciclo produttivo. A sostenere questa tesi, che pure è ormai confermata da anni di indagini, è Alessio Iannone, capitano della Guardia di Finanza di Napoli, che proprio a proposito di questo sequestro dichiara: "Non è la prima volta che operiamo sequestri di questo tipo; è difficile, però, riuscire a capire la loro destinazione finale perché, non essendo paese comunitario, è complesso estendere la nostra giurisdizione. Certamente i rifiuti che nel corso del tempo abbiamo rinvenuto nel porto partenopeo vengono reimpiegati e trasformati in altro che poi, a sua volta, viene rimesso sul mercato o sotto forma di giocattoli, o di articoli elettronici oppure in fibre sintetiche per abiti e maglieria".

Quindi, in definitiva, ci tornano indietro, sotto forma diversa, celati dietro l'infinità di prodotti "made in PRC" che quotidianamente usiamo. Dai giocattoli per i nostri bambini, ai vestiti, passando anche per l'elettronica. Quella plastica viene fusa, triturata, e plagiata di nuovo. Poco importa se in Italia era classificata come "non recuperabile", magari perché inquinata e contaminata da sostanze chimiche velenose, magari perché proveniente da cicli industriali in cui quel materiale va a contatto con cose che non ne permettono il riuso. Per questa volta non sono arrivati a Tsingtao, città sub-provinciale nell'est della provincia di Shandong, sede di un importante porto, base navale e centro industriale, ma chissà quanti container passano quotidianamente i controlli.

Sempre restando al caso di pochi giorni fa, racconta il colonnello Pietro Venutolo delle fiamme gialle: "E' un mercato molto florido perché, nonostante il prezzo di ogni singolo quintale di rifiuti non sia molto alto, queste aziende si arricchiscono sulle grosse quantità e sul fatto che, violando le normative vigenti in materia, evitano di pagare tasse specifiche violando, di fatto, le regole della concorrenza. Nel caso del sequestro specifico dei cinque container, il carico era privo di autorizzazioni e la merce destinata a impianti inesistenti o non impiegati per il trattamento dei rifiuti". Il titolare della ditta esportatrice, operante nell'hinterland napoletano, è stato denunciato a piede libero, mentre i rifiuti, per un totale di 86.070 chilogrammi, sono stati sequestrati.

Per quel materiale, la legge prevede ed impone lo smaltimento, non la reimmissione in commercio. Nonostante questo, il destinatario commerciale cinese è una società esercente un'attività legata alla realizzazione di giocattoli, casalinghi per la casa e articoli elettronici.

Tanto per chiarire la dimensione del fenomeno, solo nel porto di Napoli, che si conferma da decenni come snodo nevralgico per questo tipo di traffici, di casi del genere ce ne sono mediamente una decina all'anno. Di casi portati alla luce, s'intende. Il porto ha una movimentazione containers talmente elevata che, se si fa una media su un anno, i container che transitano per la dogana sono più di uno al secondo, oltre 3600 all'ora.

L'Agenzia delle Dogane, con le poche forze a disposizione, non può naturalmente controllare ogni container in movimento. Vengono usati dei particolari algoritmi, basati sui modelli matematici della Teoria dei Giochi, per calcolare quali container, a campione, andare qua e là a controllare. In molti casi si riesce a controllare quelli giusti, ma si tratta plausibilmente di una punta d'iceberg: poche decine di container sequestrati a fronte di chissà quanti che ne passano.

Casi simili sono avvenuti e avvengono anche in altri porti italiani: Taranto, Trieste, Ancona. Proprio ad Ancona, negli scorsi mesi, è avvenuto un caso simile. I Carabinieri del NOE hanno sequestrato sei container contenenti rifiuti speciali non trattati, destinati a Cina, Hong Kong ed India, e spacciati per materia prima da lavorare.

Quei rifiuti provenivano da un'azienda friulana con sede a San Quirino (PN), che dal 2006 opera nel settore della gestione e del trasporto di rifiuti speciali non pericolosi di materiale plastico. L'azienda raccoglieva tali rifiuti, in grandi quantità, dai rispettivi produttori e, successivamente, li scaricava in impianti di destinazione finale senza farli passare dal proprio impianto di recupero.

Si tratta di casi molto diversi rispetto a quelli dei trasporti di rifiuti verso il Golfo di Guinea, o verso l'Africa in generale. In quel caso, infatti, per risparmiare, reputando che trattare i rifiuti speciali sia troppo dispendioso di fondi ed energie, le industrie italiane che vogliono tagliare i costi, usando la "crisi economica" come paravento, trovano la soluzione più semplice: spedirli altrove dove nessuno andrà a controllare, andare ad inquinare altri luoghi, lontani da occhi indiscreti, dove spesso la fame compra tutto.

Con la Cina ed il sud-est asiatico, invece, viene interrotto il ciclo dei rifiuti e prolungato il ciclo delle merci, senza che avvenga un reale riciclaggio, un reale trattamento disinquinante, spesso inesistente, dei materiali da smaltire: i cinesi triturano il tutto, fondono, costruiscono nuovi oggetti, e poi li rivendono di nuovo a noi.

Succede ogni anno, in Italia, troppe decine di volte. Inutili gli allarmi, deboli i richiami all'attenzione fatti ai consumatori, che quasi mai hanno la possibilità di capire se stanno comprando una plastica ancora pura o se contaminata da sostanze tossiche.

E' la nuova frontiera nell'ascesa delle ecomafie al potere economico mondiale: la globalizzazione. Lo sostiene anche Michele Buonomo, presidente di Legambiente Campania: "Enormi guadagni per la nuova Eldorado dell'ecomafia dei rifiuti globalizzata con il container come elemento cardine del traffico. Una sorta di riciclo criminale che alimenta lavoro nero e mala-economia. Siamo davanti a un nuovo capitolo della storia noir dell'ecomafia dove i rifiuti speciali partono dalla Campania arrivano in Oriente, ritornano in Italia sotto forma di prodotti di ogni tipo, dai giochi in plastica per bambini a materiale informatico per uffici, ma con una marchio di qualità: alto livello di tossicità".

Nel 2009, 7.400 le tonnellate di rifiuti speciali sequestrate nel corso di controlli doganali in Italia, quasi il doppio dell'anno precedente. Per il 2010 non esistono ancora dati ufficiali. E per quanto riguarda quell'alto livello di tossicità, i prodotti finali, a volte sequestrati in Italia quando erano già sui banchi di vendita al dettaglio, includono cosmetici, giocattoli, pitture e vernici, prodotti di carrozzeria ed apparecchiature elettriche e elettroniche.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy