di Alessandro Iacuelli

Lo studio dell'Organizzazione Mondiale della Sanità è impietoso con la Val Padana: ogni anno 7 mila morti per cause legate all'inquinamento atmosferico, allo smog. Settemila morti premature. E' come se ogni anno sparisse dalla carta geografica un piccolo paese. Di questo argomento ci eravamo già occupati, su Altrenotizie, quando gli strumenti degli scienziati del Cnr situati a 2.165 metri d’altezza sul Monte Cimone osservarono per la prima volta una grande macchia bruna che incombe sulla Valle del Po. Al CNR studiarono anche la composizione di quella che è stata chiamata la "Po Valley Brown Cloud", la nuvola bruna della Valle del Po.

Si tratta di molte sostanze pericolose come nitrati, solfati, ozono, anidride carbonica e black carbon. Quest’ultimo è il residuo dei processi di combustione, contiene particelle molto fini, della grandezza media di un micron, che sono pericolose per la salute da un lato, e per l'ambiente dall'altro. Tre anni dopo quella osservazione scientifica, arrivano i dati riguardanti gli effetti sulla salute, e non sono confortanti: "Ogni cittadino perde in media 9 mesi di vita per l'esposizione alle polveri sottili", spiega Marco Martuzzi, uno dei responsabili del Centro europeo ambiente e salute dell'Organizzazione mondiale della sanità.

L'ultimo e più approfondito studio sui danni da smog nel nostro Paese risaliva al 2006. Rispetto ai dati analizzati cinque anni fa, sono molte le cose che sono cambiate: da un lato, molte città e Regioni hanno adottato nuove politiche antismog e ora è possibile valutarne l'efficacia; dall'altro l'aggiornamento dei calcoli dell'Oms porta ad una conclusione da brivido: "Considerando i soli 30 capoluoghi di provincia della Pianura Padana, il numero di morti dovuti alle polveri potrebbe superare i 7 mila l'anno".

È una situazione confermata anche dal dossier "Mal'Aria" di Legambiente, che dimostra come tra le 48 città italiane che nel 2010 hanno sballato i limiti antismog fissati dalla legge europea ben 30 sono proprio nelle regioni del Nord. Un quadro certificato anche da una delle ultime ricerche dell'Agenzia europea per l'ambiente, che colloca 17 città italiane tra le prime 30 più inquinate del continente (Plovdiv, in Bulgaria, è quella nella situazione peggiore, seguita nell'ordine da Torino, Brescia, Milano e Sofia).

Così, se guardiamo le città più inquinate d'Europa, stavolta in Italia ci posizioniamo bene in classifica, con Torino al secondo posto che si guadagna così la medaglia d'argento per lo smog assassino, Brescia medaglia di bronzo e Milano onorevolmente quarta. I medici e i ricercatori dell'Organizzazione mondiale della sanità non si sono però fermati alla descrizione degli effetti negativi. Danno anche indicazioni su come condurre la lotta contro l'inquinamento: favorire migliori tecnologie di veicoli e carburanti, ispezioni obbligatorie per auto e furgoni, incentivi fiscali per aumentare la mobilità pubblica, aiuti ai pendolari.

Nelle condizioni della Pianura Padana, sono poi necessarie "iniziative politiche armonizzate a livello regionale e interregionale, altrimenti le azioni intraprese da un singolo Comune porteranno a modesti risultati". Per stimolare azioni più incisive, l'Oms fa anche una stima economica: "La riduzione delle polveri sottili fino all'anno 2020 condurrebbe a un risparmio fino a 28 miliardi di euro l'anno in Italia, in termini di costi della mortalità, delle malattie e degli anni di vita persi".

Resta il dato di fatto che riguarda non solo torinesi, bresciani e milanesi, ma un po' tutti quelli che abitano nelle città della pianura padana: si muore nove mesi prima che in città poco inquinate, nove mesi prima della data che il destino avrebbe scelto per noi se l'aria fosse stata pulita. Il risultato è impietoso per Brescia, che rispetto a Milano e Torino non é certo una metropoli. Nonostante sia un piccolo centro, è terza in Europa intera per medie di Pm10, ozono e biossido di carbonio, particolato fine. Per certi versi, nulla di nuovo: che Brescia fosse nell'èlite dell'inquinamento continentale lo si sapeva; la media giornaliera di polveri fini nell'aria bresciana è stata nel 2010 di 39,4 microgrammi al metro cubo, quasi il doppio della media europea che è di 24,6 microgrammi.

E' proprio quest'ultimo ad essere sul banco degli imputati. Il particolato fine, sul quale in Italia accusiamo un notevole ritardo sia legislativo sia tecnico, provoca patologie cardiocircolatorie e respiratorie, cancro al polmone; patologie che interessano in particolare le persone che ne sono già sofferenti e gli anziani. L'impatto è importante anche sul fronte delle malattie, con bronchiti, asma, sintomi respiratori in bambini e adulti, ricoveri ospedalieri per malattie cardiache e respiratorie.

Qualche politico locale bresciano, nelle scorse settimane, a proposito delle polveri radioattive dell'Alfa Acciai spedite in Sardegna, ebbe occasione per dichiarare che queste cose sono "il prezzo del progresso". Espressione certamente poco felice. Chi cerca di minimizzare questi effetti della civiltà industriale afferma che il problema della val padana è complesso, perché gli effetti del traffico e delle attività industriali vanno fatalmente a combinarsi con le condizioni climatiche che limitano la dispersione degli inquinanti. Quindi, questo sarebbe il prezzo da pagare.

Peccato che nella stessa Europa ci sono luoghi come il Belgio ed i Paesi Bassi (che spesso e volentieri hanno anche più nebbia ferma rispetto alla bassa bresciana) dove hanno saputo fare molto meglio, ed oggi hanno livelli di industrializzazione elevata ed un'aria più pulita. A confermarlo, è lo stesso studio dell'Oms.

In definitiva, non è "il prezzo del progresso". E' il prezzo di non avere abbastanza buone regole. E' il prezzo dell'eludere le poche buone regole che ci sono. E' il prezzo dell'uso selvaggio e smodato delle risorse ambientali, di cui il Nord Italia ha già dimostrato di essere un campione.

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