Le libertà digitali

a cura di Alessandro Iacuelli


di Alessandro Iacuelli

Di recente il Governo USA ha inoltrato nei confronti di Google, il motore di ricerca più usato al mondo, una richiesta alquanto bizzarra: l'accesso, rapido, alle informazioni sulle ricerche compiute dagli utenti che utilizzano Google.
Attimi di gelo nel mondo dell'informatica: Google è usato ogni giorno da oltre un miliardo di persone distribuite su tutta la superficie del pianeta, l'avere accesso a dati del tipo "cosa cerca in Internet ogni utente" sarebbe la più grande violazione della privacy mai pensata nella storia. In pratica sarebbe possibile catalogare e classificare gli interessi di tutti gli utenti.
Google non ha esitato a rifiutarsi di consegnare tali dati al Governo.
In realtà, la cooperazione di un colosso dell'informazione del calibro di Google è considerata dagli USA d'importanza fondamentale per dimostrare la costituzionalità del "Child Online Protection Act", una legge antipornografia abrogata nel 2004 dalla Corte Suprema, ma recentemente "riesumata" dall'amministrazione Bush. Dagli uffici della Casa Bianca affermano di avere bisogno di tali dati per dimostrare che i filtri anti-porno, quelli che servono a non far andare i bambini sui siti vietati ai minori, non funzionano e non sono sufficienti a impedire ai minorenni l'accesso alle pagine a luci rosse presenti in Rete. Questa motivazione, che sa tanto di scusa, in piena epoca di "lotta globale al terrorismo", ha fatto scattare più di un campanello d'allarme.
Il Governo ha più volte confermato che non si tratterebbe di un'operazione di raccolta di dati personali, ma solo di un mezzo per creare una base dati a sostegno della legge per la protezione dei minori. E' invece a repentaglio, con tutta evidenza, la privacy di milioni di utenti, che sarebbero potenzialmente riconoscibili attraverso il loro indirizzo IP e l'ora di collegamento.
Le prime a muoversi sono state le maggiori associazioni americane per la difesa dei diritti civili, le quali - sia sul web che fuori - hanno immediatamente contestato duramente questa iniziativa di violazione della privacy, accusando la Casa Bianca di voler realizzare il più grande "Big Brother" di tutti i tempi.
In prima linea contro il governo USA si trova la American Civil Liberties Union (ACLU), convinta che tutto questo rientri nell'ennesima violazione dei diritti alla privacy.
Ari Schwartz, direttore del Center for Democracy and Technology, non si stanca di sostenere che questa chiamata in causa di Google sia vergognosa e dichiara: "Siamo felici che Google stia resistendo e speriamo che altri nella stessa situazione si comportino ugualmente".
Mentre Google si oppone, non fanno altrettanto altri colossi come Yahoo e Microsoft, quest'ultima già finanziatrice delle campagne elettorali di George W. Bush: interpellate dal ministero della Giustizia statunitense, si sono dimostrate immediatamente più collaborative con il Governo, fornendo liste parziali delle ricerche effettuate in rete dagli utenti e dichiarando che la maggior parte dei dati consegnati, comunque, erano già di pubblico dominio.

Anche in Italia qualcosa si è mosso: il 25 Gennaio scorso la Federazione dei Verdi ha promosso un presidio di protesta chiamato "Free The Net" all'ingresso dell'ambasciata degli Stati Uniti a Roma.
Poi il silenzio mediatico, mentre il braccio di ferro continua.
Da notare che questa azione dell'Amministrazione Bush avviene proprio mentre alle Nazioni Unite si discute sul come andare verso una regolamentazione di Internet che non dipenda dai Governi, anche grazie a numerosi appelli internazionali per una Carta dei Diritti della Rete, primo tra tutti quello promosso dal ministro-musicista brasiliano Gilberto Gil e dal professor Stefano Rodotà.


Senza la "collaborazione attiva" di Google, il Child Online Protection Act potrebbe essere bloccato definitivamente. Per questo motivo l'avvocato della Procura Generale degli Stati Uniti, Alberto Gonzales, ha depositato presso la Corte Federale di San José una richiesta per l'acquisizione dei dati archiviati da Google.
Nello specifico, tali dati, secondo una nota del Dipartimento di Giustizia, "supporterebbero il Governo nel suo tentativo di comprendere i comportamenti degli utenti Web e fornirebbero delle stime su quanti utenti si imbattano - durante le ricerche - nei contenuti vietati ai minori".
Il Governo ha più volte affermato che non si tratta di un'operazione di raccolta di dati personali, di un'operazione di schedatura di massa, ma ciò non è affatto sufficiente per convincere il mondo a fidarsi, sbandierando ancora una volta la lotta, tutta puritana e neoconservatrice, alla pornografia come cavallo di battaglia.

La dirigenza di Google non si discosta da questa linea: "Questa richiesta è non solo gravosa, ma ha anche un sapore tiranneggiante. Si tratta di un'ingiustificata richiesta di dati. Vi è anche il pericolo di spionaggio industriale. Google sarebbe costretta a rivelare quale genere di informazioni normalmente decide di archiviare", ha fatto sapere l'azienda attraverso il suo ufficio legale.
"A tratti", ha commentato Danny Sullivan, fondatore di Search Engine Watch, "questa iniziativa sembra incomprensibile. La mole di dati sarebbe incredibile. E poi, sganciata dalle connessioni con i dati personali a cosa servirebbe? Non sapendo chi ha fatto le ricerche online cosa vorrebbero stimare?"

Anche ammettendo che il governo USA volesse in questa occasione dimostrare soltanto l'importanza del Child Online Protection Act, ci troviamo in ogni caso di fronte ad un caso estremamente delicato. Non solo si darebbe la possibilità al Governo di realizzare per propri scopi, e poi di disporne liberamente, di uno strumento di sorveglianza, ma si creerebbe un pericolosissimo precedente: in futuro, ogni ulteriore nuova richiesta di dati personali, potrebbe trovare piena giustificazione.
E se stavolta tocca ai sospetti consumatori di pornografia, a chi toccherebbe in futuro? Ai dissidenti politici? A chi non è in linea con la politica governativa? Solo la fantasia potrebbe porre limiti.

Non dimentichiamo che negli USA è stato di recente esteso il Patriot Act, che permette al Governo di ottenere più facilmente le informazioni personali. "Gli intenti della National Security Agency, legati al Patrioct Act e la richiesta di informazioni riguardanti le ricerche degli utenti, sono un abuso di potere che entra in conflitto con le libertà civili", ha dichiarato I.M. Destler, docente di giurisprudenza presso l'Università del Maryland.
Forse, dietro la pornografia, è in agguato proprio il Patriot Act. Sospetto che salta all'occhio anche alla luce di certe dichiarazioni del portavoce della Casa Bianca, Scott McClellan: "Gli americani vogliono che sia fatto tutto ciò che è in nostro potere per prevenire attacchi terroristici".
Anche essere spiati?
Anche il trasmettere per conoscenza, al Governo, le proprie ricerche in rete, tra cui magari quelle con il nome di un medico, o riguardanti il proprio stato di salute? O le proprie opinioni politiche?
La battaglia è appena all'inizio.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy