Il terrorismo contro Cuba

a cura di Fabrizio Casari


La guerra al terrorismo è ormai una coperta corta per l'Amministrazione Bush. In suo nome continuano massacri, torture, guerre e occupazioni militari con annessi controlli dei pozzi del greggio; ma, a ben vedere, basta spostarsi di emisfero e la crociata assume tutt'altro significato e nasconde ben altre magagne. Perché il terrorismo, per la Casa Bianca, risulta essere sempre più chiaramente un involucro ideologico al cui interno vengono collocate le politiche, gli uomini ed i paesi che non obbediscono a Washington, mentre al di fuori restano tutti i protagonisti che risultano utili, quando non friendly.

 

 

Succede così che il terrorismo ha una doppia veste: quella di nemico dell'umanità in alcuni casi, quella di aiuto per la "democrazia" in altri. Uno degli esempi più lampanti di questo doppiopesismo è l'aiuto spudorato al terrorismo contro Cuba.

 

Per gli Usa, va detto, Cuba non è un paese, non è nemmeno un sistema sociopolitico: è una ossessione, un incubo, è il fantasma della sua incapacità a governare la sua area strategica mentre pretende di governare il mondo. Cuba è anche la sfida che gli Usa hanno sempre perso dal 1959 ad oggi; la rappresentazione della loro impotenza, pur se accompagnata da tutta la prepotenza di cui l'impero è capace.

 

Contro Cuba, la sua leadership, il suo sistema, gli Stati Uniti non hanno lesinato sforzi; hanno costruito politiche ad hoc, azioni diplomatiche e militari, attività di spionaggio e covert action, senza badare tanto per il sottile. E dove non potevano o non riuscivano ad arrivare direttamente, hanno delegato - con discreta autonomia - ai gruppi terroristici dei cubanoamericani stanziati in Florida.

 

Decine di organizzazioni politico-economico-militari, in qualche modo accentratesi nella Fondazione Nazionale Cubano Americana (FNCA), hanno ricevuto dal governo di Washington aiuto economico, appoggi politici e addestramento militare, oltre ad un comodo e sicuro rifugio in Florida, nella patria della "lotta al terrorismo".

 

Non sempre è stato facile: i cubani non stanno con le mani in mano, sanno difendersi e non attendono a bocca aperta le azioni terroristiche che dalla Florida nascono e che verso Cuba sono dirette. Per giunta, negli ultimi mesi, a risollevare la questione dell'appoggio statunitense al terrorismo cubanoamericano e a complicare le cose per Washington, è arrivata la lingua troppo lunga del leader riconosciuto del terrorismo cubanoamericano: Luis Posada Carriles.

 

Uomo completamente privo di decenza, il "Bin Ladin delle Americhe", come lo definisce il National Security Archive, non è riuscito a rientrare nel silenzio semiclandestino della sua attività. Graziato dalla presidente panamense Mireya Moscoso mentre ancora era in corso a Panama il giudizio per tentata strage, episodio ultimo delle sue gesta bombarole, appena rientrato a Miami è stato arrestato per immigrazione clandestina, giacché era tornato a casa rientrando clandestinamente via Messico ed El Salvador, dove si era rifugiato immediatamente dopo la sua scarcerazione. Il Governo del Venezuela ne ha chiesto immediatamente l'estradizione, visti i crimini di cui deve rispondere alle autorità di Caracas.

 

Gli Stati Uniti non possono permettersi Posada davanti ad un giudice degno di tale titolo: messo davanti alla prospettiva del carcere il boia, vanitoso come una starlette, potrebbe parlare e gli Stati Uniti vedrebbero raccontare segreti delle loro attività terroristiche poco consone al ruolo di "baluardo contro il terrorismo" che si sono autonomamente assegnati. Hanno quindi rifiutato l'estradizione in Venezuela adducendo come motivazione il timore che a Caracas "potrebbe essere torturato".

 

Ovviamente Caracas non è Abu Ghraib, il governo bolivariano non tortura e Chavez non è Bush, quindi la motivazione è priva di senso. Ma per sgombrare il campo da ipotesi che vorrebbero la richiesta di estradizione come un gesto politico di Chavez, basterebbe ricordare che su Posada pende un mandato di cattura internazionale emesso dal Venezuela dell'allora presidente democristiano Carlos Andrès Perez, che fu uno dei migliori amici di Washington nel Cono Sud.

 

Dalle carceri venezuelane, infatti, dove si trovava per un attentato nel 1976, dopo aver lavorato per i suoi Servizi (Disip), era fuggito nel 1985 grazie ad una operazione finanziata dalla Fnca. Storie non recentissime, dunque, che però si sommano ad altre più recenti. Proprio a Caracas, secondo un rapporto del FBI del 1976, recentemente declassificato, Posada - che allora lavorava appunto per la Direzione dei Servizi di Sicurezza e Prevenzione (DISIP) del Venezuela - partecipò insieme al suo compare Orlando Bosh a due riunioni, dove si pianificò l'attentato che nel 1976 fece esplodere in volo sui cieli delle Barbados l'aereo della Cubana de Aviacìòn, con un saldo di 73 morti .

 

In ogni caso, Washington è obbligata a procedere contro Posada dagli accordi internazionali firmati con il Venezuela, particolarmente con il Trattato di Montreal del 1976, che obbliga al giudizio o all'estradizione verso il paese vittima di ogni imputato per crimini ai danni delle rispettive aviazioni civili. Non consegnare Posada alle autorità venezuelane significherebbe violare il Trattato e costituirebbe un precedente al quale tutti potrebbero adeguarsi. Significa cioè che un qualunque terrorista accusato dagli Stati Uniti per crimini contro la sua aviazione civile, se riparasse in Venezuela o in qualunque altro paese, potrebbe non essere estradabile negli Usa, visto che essi stessi hanno deciso di non rispettare il Trattato.

 

UN SOLDATO DI WASHINGTON

Certo, Bush immediatamente dopo l'undici settembre disse che gli Usa avrebbero "considerato alla stessa stregua i terroristi e quelli che li ospitano"; ma si sa, quello che per gli altri è reato, per gli Usa diventa "sicurezza nazionale". La verità è che il debito che gli Stati Uniti hanno nei confronti dell'ex agente Cia, che ha cosparso di morti ed attentati tutto il continente americano, non è di quelli che si può scegliere di non pagare. Bisognerebbe intanto chiedersi perché un uomo accusato di crimini terroristici e reo confesso di attentati ed assassinii trova naturale vivere a Miami.

Sì, perché la presenza a Miami di Luis Posada Carriles, detto "Bambi", bombarolo cubanoamericano di 76 anni, di professione chimico, di mestiere terrorista, non è certo una novità: i suoi legami con la Fnca, s'intrecciano con quelli del suo padrone, la Cia. Da Miami a San Salvador, da Tegucigalpa a Città del Guatemala, alle altre capitali dell'istmo, il terrorista viaggiatore è stato utile a tutti: in primo luogo però alla Cia, dalla quale venne addestrato a Fort Benning, in Georgia e a Tampa, in Florida, dove apprese tecniche di intelligence e di uso di esplosivi.

 

Coinvolto nelle operazioni Cia in Nicaragua, Posada fu anche l'organizzatore dell'assassinio dell'ex ministro degli Esteri cileno Orlando Letelier, saltato in aria a Washington grazie ad una bomba sistemata sotto la sua auto. Per raccontare al mondo le sue gesta, il vanitoso bombarolo decise di scrivere un libro, "Il cammino del guerriero", destinato ad accrescere il suo ruolo, nell'ambizione di diventare il numero uno della comunità cubanoamericana.

 

Ma tra i tanti suoi crimini Posada ha sulla coscienza anche l'uccisione del turista italiano Fabio Di Celmo, vittima di una bomba collocata nell'hotel Copacabana a La Habana nel 1997. Dell'assassinio del giovane imprenditore italiano Posada è reo confesso, avendo riconosciuto la sua responsabilità nell'atto terroristico eseguito dal salvadoregno Cruz in una intervista al New York Times. In proposito, con cinismo degno di lui, disse che Fabio Di Celmo era solo "l'uomo sbagliato nel posto sbagliato" e che dunque la sua morte non lo angosciava, anzi, dormiva "sereno come un bambino".

 

Ora però, la situazione si presenta diversa perché Posada, fuggito dal processo di Panama, ha chiesto asilo politico negli Usa. A Panama era sotto processo perché, tanto per cambiare, Posada aveva organizzato un attentato contro Fidel Castro. Il piano era semplice quanto criminale: 15 kg di C-4 da piazzare nell'auditorio universitario dove Fidel avrebbe tenuto un incontro con gli studenti universitari. Se fosse riuscito, l'attentato avrebbe procurato centinaia di vittime. I servizi di sicurezza cubani avevano avvertito le autorità panamensi che avevano arrestato Posada ed i suoi tre complici.

 

Ma quando ancora il processo per il possesso di esplosivi e attività terroristica era in corso, la ex presidente Mireya Moscoso decise di amnistiarli e li fece fuggire alla volta di Miami, dove poi li ha seguiti una volta cacciata dal voto popolare. La Moscoso, stabilendosi a Miami, ha anche evitato il suo possibile arresto, in seguito alle accuse della procura di Panama City di appropriazione indebita, malversazioni e fondi neri, per un importo di 400 milioni di dollari, tra i quali certamente figurano quelli pagati dalla Fnca di Miami per liberare Posada ed i suoi soci. Se da una parte gli Usa non possono quindi dire no ad un loro fedele alleato, dall'altro é chiaro che la concessione dello status di rifugiato al terrorista cubano creerebbe non pochi problemi all'Amministrazione Bush: difficile davvero proporre Posada come perseguitato in cerca d'asilo.

 

Certo, se la questione fosse solo di ordine etico-giuridico, Washington non ci penserebbe due volte a concedere la libertà a Posada Carriles, come fece Bush padre per Orlando Bosh, l'altro terrorista cubanoamericano che con Posada organizzò l'esplosione in volo di un aereo cubano nei cieli delle Barbados nel 1976. Comunque gli amici della Fnca si sono premuniti di fornire la migliore assistenza legale possibile al loro killer. Il Miami Herald del 29 Aprile 2005, informava che, di fronte alla reiterata richiesta di estradizione venezuelana, nella schiera di avvocati di Posada figurava anche Kendall Coffey, ex procuratore di Miami e capo dello staff di avvocati che cercò di mantenere sequestrato Elian Gonzalez, il bambino cubano poi restituito a suo padre dagli Usa per volontà dell'allora Ministro della Giustizia dell'Amministrazione Clinton, Janet Reno. L'Herald affermava che la richiesta di asilo era stata inoltrata al Dipartimento per l'immigrazione e che dai circoli più vicini a Bush era stata accolta con grande imbarazzo.

 

GLI SFORZI DELLA FAMIGLIA BUSH

Per spiegare l'imbarazzo dell'attuale inquilino della Casa Bianca nel caso di Posada Carriles si deve fare riferimento ai vincoli solidissimi che suo padre, George Bush, ebbe con la mafia cubana arruolata dalla Cia. Se si torna con la memoria indietro di trenta anni, si scopre che l'allora direttore generale della Cia, George Bush, in seguito vicepresidente con Reagan e quindi presidente Usa dal 1990, intratteneva rapporti strettissimi proprio con Posada, Bosh ed altri figuri della stessa risma. Va ricordato che era stata la Cia a fornire il C-4, l'esplosivo utilizzato negli attentati in Portogallo, Messico, Canada, Giamaica, Venezuela, Spagna o alla sede diplomatica cubana presso l'Onu a New York, colpita il 6 giugno del 1986.

 

E' bene quindi che non parlino Posada Carriles e Bosch, visto che conoscono molti dettagli sull'assassinio di Orlando Letelier a Washington. Essi, come pure Dionisio Suárez e Virgilio Paz, potrebbero per esempio raccontare da dove Michael Townley, l'agente della CIA reclutato per l'operazione, tirò fuori il C-4 che venne collocato sotto l'auto dell'ex ministro degli Esteri cileno. Forse è per questo che, solo 18 giorni prima del mostruoso attentato alle Torri gemelle, l'11 settembre del 2001, George W. Bush decretó un indulto presidenziale grazie al quale furono liberati proprio José Dionisio Suárez e Virgilio Paz, i due terroristi cubanoamericani coinvolti nell'attentato che costò la vita a Orlando Letelier e alla cittadina americana Ronni Moffit.

 

Come del resto aveva fatto suo padre nel 1990 con Orlando Bosch, George W. Bush ha ignorato la sentenza emessa da un tribunale statunitense, che aveva condannato all'ergastolo i due terroristi legati alla Fnca. Si tenga conto che per oltre undici anni il FBI li aveva ricercati in tutto il mondo. Ad istruire la pratica per il perdono presidenziale, collaborò attivamente il figlio minore di Bush, Jeb, oggi governatore della Florida, ma all'epoca coordinatore della campagna elettorale della congressista di origine cubana Ileana Ross-Lehtinen, prodotto della Fnca e tra i parlamentari più fanatici nella campagna anticubana.

 

La famiglia Bush deve molto alla comunità cubana della Florida. Grazie ad essa vennero montate le frodi elettorali che permisero all'attuale presidente di battere Al Gore. Proprio in Florida il candidato dei democratici perse le elezioni, quando nell'arco di una notte, circa 600.000 voti di Al Gore scomparvero per poi riapparire sotto forma di consensi per George Bush. Ed è alla stessa comunità cubana che Jeb deve la sua vittoria elettorale nelle elezioni a governatore dello Stato. Insomma, gli amici si vedono nel momento del bisogno.

 

GLI SVILUPPI POSSIBILI DELL'AFFAIRE POSADA

Ora però, l'operazione con Posada presenta qualche difficoltà maggiore, dal momento che il terrorista chiacchierone ama rivendicare, anche nell'era della comunicazione rapida e globale, le sue infamie in lungo e largo. Questo atteggiamento produce quindi una maggiore difficoltà per l'operazione di rilascio di Posada, che andrebbe organizzata nella discrezione più assoluta. Peraltro, buona parte dei media e dell'establishment politico si è già pronunciata al riguardo e, in una America con l'ossessione del terrorismo, nessuno, neanche Bush può permettersi di dimostrarsi clemente con un terrorista reoconfesso.

 

Quindi, l'amministrazione Bush, nella quale lavorano antichi amici e colleghi di Posada - da Otto Reich a Eliot Abrams, solo per citare due - è in cerca di una via d'uscita. Già a suo tempo cercò di passare la patata bollente a qualche paese amico. Il tentativo più serio venne fatto con El Salvador, che malgrado abbia dimostrato una robusta riluttanza a prendere nelle mani il cerino acceso, vede al governo un partito come Arena che, per ragioni di antico sodalizio con Posada, avrebbe difficoltà nel rifiutargli l'asilo. L'ex Ministro degli Interni Mario Acosta, imprenditore del caffè legatissimo a Posada e alla Fnca, (la cui moglie è cugina di un altro terrorista amico di Posada, Otto René Rodriguez, detenuto a Cuba) era stato incaricato di seguire la gestione del caso, ma fino ad ora non c'è stato nessun risultato.

 

Oggi, gli Usa cercano disperatamente un qualunque paese dell'Istmo che li tolga dall'impaccio accogliendo Posada: difficile però che a questo punto ci riescano. Posada, da parte sua, in un carcere comodissimo alla periferia di Miami, "legge, ascolta le notizie e dipinge" e resta in attesa di una decisione del Dipartimento per l'Immigrazione Usa. Alcuni senatori statunitensi, tra cui il repubblicano Norm Coleman, già al tempo del suo arresto avevano fatto sapere che Carriles "potrebbe affrontare una deportazione immediata dagli Usa per le attività terroristiche passate di cui è imputato".

 

In un recente articolo pubblicato sul The New York Times, si sostiene che "concedere l'asilo politico potrebbe generare l'accusa che l'Amministrazione USA non è coerente col principio che nessuna nazione deve ospitare persone sospettate di terrorismo. "Ma rifiutarlo", segnala l'articolista, "provocherebbe l'ira politica dell'estrema destra cubano-americana del Sud della Florida, che ha versato denaro ed ha sostenuto in vari modi le campagne elettorali del Presidente e di suo fratello Jeb Bush, governatore di questo Stato".

 

La situazione per Posada si preannuncia quindi delicata, ma piena di speranze. Conscio del pericolo che rappresenta per l'immagine degli Stati Uniti e dell'imbarazzo che provocherebbe anche solo la presa in esame della sua domanda di asilo, fa leva sull'impegno della Fnca e sui legami con una parte dell'Amministrazione Usa. Ma forse conta di più sull'assicurazione sulla vita di cui dispone, che consiste nella conoscenza approfondita e diretta dell'attività terroristica nel continente coperta o diretta da Langley.

 

Proprio per questo alla Casa Bianca si sta valutando una opzione possibile per salvare Posada e la faccia. Il Presidente Bush, nel rispetto delle sue prerogative, potrebbe firmare un decreto ad hoc che assegna la nazionalità statunitense al terrorista cubanoamericano. Non avrebbe la possibilità di giustificarlo con la formula vera, quella dei "servigi resi alla Patria" per una ovvia considerazione di opportunità politica; ma potrebbe invece argomentare il provvedimento con superiori ragioni di "sicurezza nazionale".

 

In questo caso, Posada sarebbe cittadino statunitense e, per ciò stesso, non sottoponibile a richieste di estradizione dall'estero. In fondo, come per l'aggressione all'Iraq, Bush figlio seguirebbe le orme di Bush padre, che amnistiò il complice di Posada, Orlando Bosh, con il quale - forse memore dei tempi in cui entrambi lavoravano per la Cia, Bush da direttore e Bosh da agente operativo - decise di farsi ritrarre con lui in fotografia, abbracciati e pieni di sentimento. Un nuovo perdono presidenziale per Posada sarebbe scandaloso, ma coerente con la storia della famiglia Bush. La comunità cubana e Langley tirerebbero un grosso sospiro di sollievo e anche Jeb Bush, Governatore della Florida, se ne gioverebbe.

 

I voti della comunità cubana della Florida continuerebbero a garantirgli la poltrona di Governatore o, meglio ancora, aiutarlo a raccogliere quelli necessari per il futuro candidato dei repubblicani alla Casa Bianca, da dove potrebbe rinverdire i fasti della lotta al terrorismo.

 

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