Il secondo colloquio telefonico tra Putin e Trump nella giornata di martedì segna un nuovo passo avanti verso la possibile soluzione diplomatica della guerra in Ucraina. In termini concreti, le misure concordate per una tregua molto parziale di trenta giorni appaiono per il momento relativamente trascurabili, ma il peso simbolico e le implicazioni dell’accordo preliminare tra i due presidenti potrebbero gettare le basi non solo – e finalmente – della pace, ma anche di cambiamenti epocali negli equilibri strategici e geopolitici in Europa. Per questa ragione, è molto probabile che i leader europei più accanitamente russofobi e lo stesso regime di Kiev possano reagire con nuove iniziative per boicottare un processo diplomatico che dovrebbe registrare la prossima tappa già nel prossimo fine settimana in Arabia Saudita.

C’è innanzitutto un distinguo piuttosto rilevante da evidenziare e che consiste nei diversi toni espressi dai comunicati ufficiali della Casa Bianca e del Cremlino dopo la telefonata di circa due e ore e mezza tra Putin e Trump. Quello russo è apparso più cauto rispetto a quello americano, in linea con la risposta possibilista ma prudente seguita alla proposta di tregua uscita settimana scorsa dalle discussioni tra i delegati ucraini e americani a Jedda. Putin ha accolto la proposta di cessare per trenta giorni gli attacchi contro obiettivi legati alle infrastrutture energetiche dei due paesi belligeranti, ma ha allo stesso tempo vincolato questa tregua limitata a una serie di altre condizioni ritenute fondamentali da Mosca.

La tenuta di questa prima fase e l’apertura di un vero e proprio tavolo negoziale dipenderà cioè dalle questioni ripetute ad nauseam dal capo del Cremlino in dichiarazioni recenti e degli ultimi anni, come il meccanismo per l’implementazione dello stesso cessate il fuoco, lo stop al trasferimento di armi e di informazioni di intelligence all’Ucraina, la fine della mobilitazione forzata di militari di questo paese e le modalità con cui garantire la collaborazione del regime di Zelensky nel trattare la fine del conflitto.

L’aspetto positivo, in questa prospettiva, è l’impressione emersa dalla telefonata di martedì che gli Stati Uniti abbiano riconosciuto le legittime richieste russe che, in definitiva, hanno a che fare con la risoluzione delle cause che hanno portato alla guerra. Vale a dire, in particolare, la trasformazione dell’Ucraina in un avamposto NATO per indebolire la Russia e la repressione della minoranza russofona.

Altra conferma di questa realtà è che Mosca non ha in pratica fatto concessioni significative al presidente americano in cambio della prosecuzione del negoziato, come d’altra parte era inevitabile visto che la Russia sta avanzando su tutti i fronti nel teatro di guerra. Alcuni analisti militari hanno fatto notare come il bombardamento delle installazioni energetiche ucraine non sia un elemento critico della “operazione militare speciale” russa. Inoltre, con la fine dell’inverno questo genere di attacchi avranno un’incidenza minore sulle manovre russe, che potranno comunque procedere lungo la linea di contatto fino a un’eventuale sospensione concordata e generalizzata delle ostilità.

Uno degli elementi di maggiore impatto dell’intesa raggiunta tra Putin e Trump è il chiarissimo messaggio recapitato a Zelensky e agli alleati europei. Questa fase delle trattative sta avvenendo esclusivamente tra Russia e Stati Uniti, mentre le opinioni di Europa e Ucraina risultano quasi del tutto irrilevanti. È chiaro che Trump intende procedere unilateralmente per evitare complicazioni e ostacoli che le altre due parti in guerra, ferme alle posizioni dell’amministrazione Biden, potrebbero creare.

Ciò comporta però anche seri rischi, come emerge da un articolo del tabloid tedesco Bild pubblicato poco prima della telefonata tra Putin e Trump. In esso si citano fonti diplomatiche europee che spiegano come i leader più coinvolti nella guerra contro la Russia stessero letteralmente “tremando” all’idea del nuovo colloquio tra i due presidenti. Questo perché al centro dei negoziati c’è il futuro dell’Ucraina e dell’Europa, “con conseguenze potenzialmente devastanti per la sicurezza” del vecchio continente.

Soprattutto i paesi NATO geograficamente vicini alla Russia, scrive ancora la Bild, temono che si possa arrivare a “un ritiro dei militari americani” dall’Europa e a “un attacco russo tra pochi anni”. La logica distorta dei governi più ferocemente anti-russi in Europa è dunque che le trattative tra Washington e Mosca per arrivare alla pace in Ucraina, ma anche auspicabilmente per (ri)costruire un’impalcatura condivisa della sicurezza nel continente, finisca per risolversi in un’aggressione russa di un qualche paese europeo. Quale potrebbe essere la regione di ciò non è dato conoscere.

È superfluo aggiungere che questa tesi non ha il minimo senso logico. Il problema risiede tuttavia nel fatto che l’isteria europea possa spingere alcuni governi a boicottare il processo diplomatico, di comune accordo con il regime di Zelensky. Trump, intanto, mercoledì ha fatto sapere di avere parlato del contenuto del colloquio con Putin con l’ex comico televisivo ucraino, definendo la telefonata “molto “buona”. Per quest’ultimo in gioco c’è la propria sopravvivenza, mentre per i suoi sostenitori in Europa, assieme alla marginalizzazione della NATO, il rischio di un isolamento strategico e di restare esclusi dai benefici economici, commerciali e geopolitici che un accordo di ampio respiro tra USA e Russia potrebbe implicare.

A quest’ultima possibilità hanno fatto riferimento i comunicati di Mosca e Washington emessi dopo la telefonata tra i due presidenti, così come l’ipotesi avanzata mercoledì dall’inviato speciale del presidente USA, Steve Witkoff, sull’allentamento delle sanzioni anti-russe una volta implementato un cessate il fuoco generalizzato, possibile a suo dire entro le prossime due settimane.

Dalle prese di posizione ufficiali dei leader europei si intravede finora, oltre alla disperazione per avere investito tutto in un progetto destinato a fallire fin dall’inizio, la volontà di insistere con gli aiuti militari all’Ucraina. In altre parole a continuare la guerra. L’Europa non ha evidentemente i mezzi per sostenere uno sforzo di questo genere senza il supporto americano ed è di conseguenza probabile che anche i governi più guerrafondai finiranno per ammorbidire le proprie posizioni. Potrebbe però rimanere il rischio di provocazioni nei confronti di Mosca, che rischiamo seriamente di compromettere un processo diplomatico ancora lontanissimo dall’avere risolto il conflitto in corso.

Per il momento, è previsto un nuovo round di colloqui USA-Russia a partire da domenica a Jedda, in Arabia Saudita. Il prossimo passo, secondo quanto emerso martedì, dovrebbe essere l’allargamento della tregua ai traffici navali nel Mar Nero. In una prospettiva più ampia, i termini di una possibile cessazione definitiva del conflitto saranno invece discussi, sempre in “modalità bilaterale”, da “gruppi di esperti” incaricati di studiare termini accettabili da Mosca e Washington. Inoltre, nelle dichiarazioni ufficiali si cita anche la cooperazione per favorire la stabilità del Medio Oriente, con un riferimento, ritenuto preoccupante da alcuni commentatori, all'impegno per difendere Israele da una potenziale minaccia iraniana. Nell’eventualità che la sintonia tra i due presidenti dovesse ad ogni modo dare i frutti sperati, la palla per decidere se accettare la pace o provare a prolungare la guerra sarà allora esclusivamente nel campo di Kiev e dei governi europei.

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