Tra le iniziative che la nuova amministrazione repubblicana aveva promesso per ripulire l’apparato di potere burocratico dentro il governo americano, altrimenti noto come “Deep State”, c’era e sembra esserci ancora l’impegno a rendere pubblici tutti i documenti ancora riservati del caso Jeffrey Epstein. Il primo tentativo, annunciato dal ministro della Giustizia (“Attorney General”), Pam Bondi, si è risolto però nei giorni scorsi in un completo fallimento. Il materiale pubblicato non ha aggiunto nulla di nuovo a quanto già si sapeva sui contatti ad altissimo livello del defunto finanziere di New York. Da allora, ci sono stati ulteriori sviluppi che, secondo il dipartimento di Giustizia, dovrebbero finalmente avvicinare la rivelazione dei “segreti” di Epstein.

Ci sono tuttavia solidissime ragioni per dubitare di questa promessa e ciò, tra l’altro, per via degli stretti rapporti di quest’ultimo con gli ambienti dell’intelligence di Israele e non solo. Quella pianificata dalla Bondi potrebbe essere quindi un’operazione di depistaggio da propagandare come una vittoria per la Casa Bianca, regolando al contempo una serie di conti con i settori anti-trumpiani del “Deep State” ma garantendo che i particolari relativi a ricatti, influenza politica e intrighi di intelligence che caratterizzano l’intera vicenda continuino a rimanere segreti.

Il ministro della Giustizia di Trump, meno di due settimane fa, aveva dunque anticipato rivelazioni esplosive sul caso Epstein, per poi cambiare tono subito dopo la diffusione dei documenti e la comprensibile delusione generata nel pubblico americano. Il giorno successivo – giovedì 27 febbraio – la stessa Bondi aveva sostenuto pubblicamente di essere stata ingannata dall’ufficio di New York dell’FBI. Un informatore della polizia federale americana le aveva rivelato in sostanza che i vertici newyorchesi del “bureau” avevano consegnato solo una parte dei documenti in questione, quelli contenenti informazioni già note, mentre il materiale segreto era rimasto al suo posto nonostante l’ordine emesso dal ministro.

Settimana scorsa, poi, la Bondi è tornata sulla questione per annunciare in maniera quasi trionfale che il suo ufficio aveva ricevuto un “carico” di migliaia di documenti legati al “file” Epstein, provenienti dalla procura del distretto meridionale di New York, dove il finanziere era stato incriminato nel luglio del 2019, quasi esattamente un mese prima della sua morte, con l’accusa di traffico sessuale di minori. I nuovi documenti sono stati subito presi in carico da funzionari dell’FBI che li starebbero vagliando al fine della pubblicazione, visto che, come ha fatto sapere la stessa Bondi, “l’America ha il diritto di sapere” tutti i dettagli della sordida vicenda Epstein.

In parallelo, il neo-direttore dell’FBI, Kash Patel, produrrà un rapporto sui motivi per cui il materiale non era stato inizialmente consegnato al dipartimento di Giustizia. Nello stesso giorno dell’annuncio di Pam Bondi, il numero uno della sezione di New York dell’FBI, James Dennehy, aveva rassegnato le proprie dimissioni. Praticamente tutta la stampa americana ha collegato i due fatti, ma la lettera di dimissioni di Dennehy non conteneva alcun riferimento né alla controversia sui documenti di Epstein né a possibili pressioni che lo avrebbero costretto a lasciare il suo incarico.

Jeffrey Epstein, nella versione ufficiale delle autorità americane, si era tolto la vita impiccandosi nella sua cella del Metropolitan Correctional Center di New York il 10 agosto 2019. I particolari del presunto suicidio avevano da subito suscitato parecchi sospetti, spingendo molti a ipotizzare un omicidio e l’esistenza di un complotto per confondere le tracce. Epstein, com’era da tempo di pubblico dominio e come avrebbero poi evidenziato successive indagini giornalistiche e documenti processuali, intratteneva rapporti amichevoli con moltissime celebrità e personalità politiche in tutto il mondo. I nomi di alcuni tra quelli che avevano viaggiato sul suo jet personale, ribattezzato “Lolita Express” perché era solito trasportare ragazze minorenni da e per la sua isola privata ai Caraibi, includevano il noto avvocato Alan Dershowitz, il principe Andrea, l’ex senatore americano George Mitchell, l’ex premier israeliano Ehud Barak, Bill Clinton e lo stesso Donald Trump.

Nessuno di loro né altre celebrità è mai stato incriminato in relazione al caso Epstein. L’unica persona ad avere subito una condanna è la sua partner, Ghislaine Maxwell, la quale sta scontando una pena di venti anni per traffico di minori a scopo di sfruttamento sessuale. Epstein aveva già avuto in precedenza problemi con la giustizia. Nel 2008 era riuscito a ottenere un patteggiamento estremamente favorevole in un caso che lo vedeva sotto accusa per favoreggiamento della prostituzione di una ragazza di 14 anni. L’allora procuratore di Miami dove il finanziere era alla sbarra, Alexander Acosta, gli aveva concesso una condanna di appena 13 mesi, da scontare in un carcere con tutti i confort e da cui poteva uscire durante il giorno per lavorare. Lo stesso Acosta, anni dopo nominato a ministro del Lavoro da Trump nel suo primo mandato, durante l’udienza al Senato per la conferma del nuovo incarico avrebbe ammesso che, all’epoca del patteggiamento, gli era stato detto di “lasciare stare” Epstein perché “apparteneva ai servizi segreti”.

I legami di Epstein con gli ambienti dell’intelligence negli USA e in Israele sono stati documentati da numerosi giornalisti. Il sito di informazione indipendente Consortiumnews ha scritto più volte sulla questione negli ultimi anni, citando ad esempio l’ex ufficiale dei servizi segreti israeliani, Ari Ben-Menashe, secondo il quale Epstein lavorava non per il Mossad, ma per l’organizzazione di cui egli stesso faceva parte. Dell’intelligence militare israeliana era parte anche Robert Maxwell, padre di Ghislaine, la compagna di Epstein, grazie al quale i due erano stati introdotti in questo ambiente. Sempre secondo Ben-Menashe, la coppia si occupava di operazioni ricattatorie per i servizi israeliani, tra l’altro “fotografando politici mentre avevano rapporti sessuali con ragazze quattordicenni”.

Un altro associato di Epstein era il mercante di armi saudita, Adnan Khashoggi, per questioni di affari legato ai servizi segreti del suo paese, ma anche a libro paga del Mossad. Il già citato ex premier israeliano Barak era anch’egli molto vicino a Epstein, di cui era partner in affari e ospite decine di volte del finanziere americano. In definitiva, Epstein faceva parte di una rete di contatti che includeva moltissime importanti personalità politiche, così come del business e degli ambienti criminali, facendo leva sui suoi legami con i servizi segreti per ottenere favori ed esercitare ricatti.

Questa realtà rende molto sospetta la mancata consegna al ministro della Giustizia USA dei documenti sul caso Epstein da parte dell’ufficio di New York dell’FBI. A complicare il caso c’è il fatto che praticamente tutti i membri dell’amministrazione Trump sono irriducibili sostenitori di Israele e il presidente attinge finanziamenti elettorali ingentissimi dalla galassia sionista. La più generosa finanziatrice di Trump è Miriam Adelson, vedova del super falco sionista Sheldon Adelson, che nell’ultima tornata elettorale ha donato al candidato repubblicano qualcosa come 100 milioni di dollari.

Per queste ragioni, è altamente improbabile che il dipartimento di Giustizia abbia davvero intenzione di rivelare i “segreti” di Epstein, essendo essi connessi appunto alla sua relazione con l’intelligence israeliana, per cui lavorava nell’ambito del traffico sessuale di minori con politici di profilo internazionale, a loro volta esposti al ricatto del finanziare-pedofilo e, per suo tramite, dei servizi (e del governo) di Israele. Tanto più che il nome dello stesso Trump, che sta gestendo in queste settimane la crisi di Gaza e il possibile sabotaggio della tregua con Hamas da parte di Netanyahu, è anch’esso emerso nella vicenda Epstein, tra l’altro con svariati voli al suo attivo sul famigerato “Lolita Express”.

Rimane quindi aperto l’interrogativo circa le ragioni della promessa pubblica della “Attorney General” Pam Bondi di rendere pubbliche tutte le carte segrete della vicenda Epstein. Una sua recente intervista a Fox News può dare forse qualche indicazione. Durante la discussione con il giornalista Sean Hannity era stato toccato l’argomento della protezione delle vittime di Epstein e, soprattutto, di possibili interventi di censura sui documenti da pubblicare per questioni legate alla “sicurezza nazionale”. La Bondi aveva ammesso che interventi di questo genere sono del tutto possibili, senza però fornire ulteriori spiegazioni.

È facile immaginare che la soppressione di nomi e informazioni dal materiale del caso Epstein che dovrebbe essere reso pubblico, se ciò effettivamente fosse deciso dall’amministrazione Trump, servirà a proteggere da un lato personalità della politica e della finanza coinvolti nel traffico di minori e, dall’altro, a occultare il ruolo dei servizi segreti nella rete del defunto finanziere. In particolare, in cima alla lista dei soggetti da proteggere da queste “rivelazioni” c’è lo stato ebraico.

Secondo il veterano giornalista americano Patrick Lawrence, l’intervista di Hannity a Pam Bondi ha affrontato l’argomento della probabile censura dei documenti da desecretare per preparare il pubblico a questa possibilità, ovvero anticipando, dietro gli annunci ufficiali sulla pubblicazione della verità su Epstein, l’ennesima delusione viste le presunte implicazioni per la “sicurezza nazionale” USA. Sempre secondo Lawrence, allora, tutta la manovra del dipartimento di Giustizia potrebbe nascondere altri fini, come i piani di Trump per epurare il “Deep State”, ma solo degli elementi ostili al presidente repubblicano, come dimostrerebbe l’episodio dei documenti di Epstein negati a Pam Bondi e le dimissioni del capo dell’ufficio dell’FBI di New York.

Oppure, in maniera ancora più subdola, per seppellire una volta per tutte la verità e le responsabilità di coloro che furono coinvolti nella rete di Jeffrey Epstein, generando l’illusione nell’opinione pubblica di avere fatto tutto quanto era possibile per rivelarne i segreti. Salvo poi insabbiare gli elementi più esplosivi in nome della “sicurezza nazionale”.

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