In Iran, la vecchiaia può essere particolarmente dura per una vedova. Mahin (Lily Farhadpour) vive in una casa spaziosa a Teheran, ma la solitudine scandisce le sue giornate. I figli, emigrati da tempo, le dedicano a malapena una videochiamata, mentre le sue piante restano la compagnia più costante. Tra una chiacchierata nostalgica con le amiche e il desiderio di un nuovo amore, cerca di risvegliare una giovinezza assopita. In una società conservatrice, l’idea che una donna anziana possa scegliere il proprio destino – e addirittura cercare un compagno – è quasi rivoluzionaria.

Con l’età arrivano anche problemi di salute e un sottile umorismo nero per affrontarli. I figli le regalano un misuratore di pressione, un segno d’affetto che suona più come un promemoria della sua fragilità. La sua amica Pouran, invece, trova un’inquietante soddisfazione nel raccontare ogni dettaglio della sua malattia, persino mostrando il video della sua colonscopia. Intanto, Mahin scopre che gli uomini della sua età fanno tappa fissa in farmacia prima di una serata “importante”.

Eppure, nonostante tutto, Mahin non ha perso il suo spirito. Ha un sorriso irresistibile e una risata contagiosa. Sogna di poter finalmente indossare gli abiti rimasti nell’armadio dalla morte del marito, di condividere la sua amata torta all’arancia con qualcuno che sappia apprezzarla. Ricorda i tempi prima della Rivoluzione, quando le donne potevano uscire senza velo e truccarsi liberamente. Così, con un filo di rossetto, prova a riaccendere il suo entusiasmo. Passeggia nel parco, incita le ragazze a sfidare la Polizia Morale e, allo stesso tempo, scruta con speranza gli uomini della sua età. Quando incontra Faramarz (Esmail Mehrabi), un timido tassista baffuto, trova il coraggio di invitarlo a casa.

Da questo punto in poi, il film si concentra quasi interamente tra le mura domestiche, mentre Mahin e Faramarz si avvicinano lentamente, superando imbarazzi e barriere. Lei si toglie il velo, gli offre un bicchiere di vino rosso fatto in casa – così denso da sembrare sciroppo – e gli racconta con orgoglio di come, negli anni, abbia affinato l’arte di produrlo in segreto. Così come ha custodito con cura certi frammenti della sua giovinezza, ora è pronta a riportarli in vita.

Musica, vino, danza e vestiti eleganti sono il mix perfetto, ma la prudenza è d’obbligo. In una società repressiva, lasciarsi andare non è facile, soprattutto con i vicini impiccioni pronti a chiamare la polizia se sentono una voce maschile in casa. Ed è proprio questa tensione tra desiderio e paura a rendere il film tanto divertente quanto toccante. Due scene – una nella doccia e una a letto – mescolano comicità e malinconia con grande delicatezza. Anche se il finale è prevedibile, riesce comunque a emozionare.

Il mio giardino persiano è una storia dolce e ironica sulla ricerca dell’amore e della libertà nei piccoli gesti quotidiani. È anche un omaggio alle donne iraniane, giovani e meno giovani, che ancora oggi lottano per vivere secondo i propri desideri.

Il film ha debuttato in concorso alla 74ª Berlinale, ma i registi Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha non hanno potuto partecipare perché banditi dal governo iraniano. Già in passato avevano subito pressioni per Ballad of a White Cow, presentato alla Berlinale tre anni fa. Dopo intense proteste, il regime ha ritirato le accuse. Il mio giardino persiano è stato proiettato anche al Festival di Karlovy Vary, al Tallinn Black Nights Film Festival e al REC Tarragona International Film Festival.

 

Il mio giardino persiano (Iran, Francia, Svezia 2024)

Regia: Maryam Moghaddam, Behtash Sanaeeha
Cast: Lili Farhadpour, Esmaeel Mehrabi, Mansoore Ilkhani, Soraya Orang, Homa Mottahedin, Sima Esmaeili
Sceneggiatura: Maryam Moghaddam, Behtash Sanaeeha
Fotografia: Mohamad Hadadi
Produzione: Caracteres Productions, Hobab, Watchmen Productions
Distribuzione: Academy Two

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