Nel suo secondo discorso inaugurale a Washington, il neo-presidente americano Trump ha salutato lunedì l’inizio di una nuova “età dell’oro” americana e una rapida inversione del declino degli Stati Uniti. L’annuncio di una serie di decreti presidenziali, che potrebbero già arrivare poco dopo il suo insediamento ufficiale alla Casa Bianca, preparano piuttosto, com’era ampiamente prevedibile, un’era segnata da un’ulteriore accelerazione in senso reazionario della politica USA. L’attitudine dell’amministrazione repubblicana entrante sembra d’altra parte riflettere gli sforzi disperati della classe dirigente della declinante potenza planetaria di far fronte alle sfide crescenti che si stanno moltiplicando sul fronte domestico e internazionale, nel tentativo di superare crisi e contraddizioni attraverso una spinta marcatamente autoritaria.

La cerimonia si è svolta per la prima volta dal 1985 all’interno della Rotonda del Campidoglio a Washington, una decisione presa a causa delle rigide temperature invernali nella capitale americana. La location ha tristemente ricordato gli eventi del 6 gennaio del 2021, quando proprio qui si stava per consumare il tentato golpe di Trump per impedire la certificazione della vittoria di Joe Biden.

Le misure di sicurezza sono state anch’esse virtualmente senza precedenti, con oltre 25.000 agenti delle forze dell’ordine dispiegati in tutta la città. Il Servizio Segreto ha coordinato un’operazione massiccia, istituendo 30 miglia di recinzioni, sorveglianza tramite droni e centri di comando dell’FBI, per garantire la protezione del presidente e degli ospiti presenti, tra cui quello uscente e gli ex presidenti Obama, Bush e Clinton.

Sempre durante il discorso nella mattinata americana di lunedì, come già anticipato, Trump ha annunciato vari ordini esecutivi pronti per essere firmati, relativamente a questioni chiave come immigrazione, energia e commercio. Trump ha ad esempio dichiarato l’intenzione di dichiarare un’emergenza nazionale al confine meridionale, impegnandosi a fermare l’ingresso illegale e a rimpatriare milioni di immigrati clandestini. Ha inoltre promesso di completare la costruzione del muro di confine, sospendere il programma di reinsediamento dei rifugiati e limitare drasticamente l’accesso all’asilo negli Stati Uniti.

In ambito energetico, il neo presidente ha prospettato la revoca del mandato sui veicoli elettrici e la dichiarazione di un’emergenza nazionale per l'energia, con l’obiettivo di proteggere l’industria automobilistica americana e contrastare l’aumento dei prezzi dell’energia. Ha sottolineato poi l’intenzione di uscire dagli Accordi di Parigi e di promuovere la produzione nazionale di petrolio e gas. Per quanto riguarda il commercio, sebbene non siano stati specificati nuovi dazi nel discorso inaugurale, Trump ha indicato che il suo governo indagherà sui deficit commerciali e sulle pratiche commerciali “sleali”, in particolare con paesi come Cina, Messico e Canada.

Ancora, il neo-presidente ha annunciato di volere concedere la grazia a numerosi sostenitori condannati per reati non violenti legati all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 e di commutare le pene di altri coinvolti in crimini più gravi. Secondo fonti vicine all'amministrazione, il Dipartimento di Giustizia prevede inoltre di archiviare i procedimenti in corso per i casi non ancora arrivati a processo. Ad oggi, circa 1.100 persone coinvolte nei fatti del 6 gennaio sono state già condannate, con una maggioranza che ha scontato pene leggere o ottenuto la libertà vigilata. Tuttavia, qualche centinaio di individui resta tuttora dietro le sbarre e le misure di Trump potrebbero rappresentare una svolta per il futuro di molti di loro.

Trump è tornato anche a parlare della possibilità per gli USA di riprendere il controllo del canale di Panama, definendo il trattato che ne sancì la restituzione al paese centroamericano nel 1999 un “regalo folle che non sarebbe mai dovuto avvenire”. Trump ha accusato il governo panamense di violare lo spirito degli accordi, citando, senza alcun fondamento, le tariffe “esorbitanti” imposte alle navi statunitensi, incluse quelle della marina militare, e ha espresso preoccupazione per la presenza di operatori cinesi nei porti vicini al canale. Le sue parole non lasciano spazio a interpretazioni: “Lo abbiamo ceduto a Panama, non alla Cina, e ora ce lo riprenderemo”.

Questa dichiarazione indica da subito il formarsi di una strategia di politica estera aggressiva da parte di Trump, il quale, se da un lato continua a mostrare segnali di apertura per una risoluzione diplomatica del conflitto in Ucraina, dall’altro sembra voler rafforzare il ruolo degli Stati Uniti come potenza dominante nelle Americhe e, potenzialmente, in Asia orientale in funzione anti-cinese.

L’inaugurazione di Trump segna anche l’inizio di un quadriennio che potrebbe ridefinire i rapporti tra Stati Uniti ed Europa, come dimostrato dalla presenza di Giorgia Meloni lunedì a Washington, unica leader europea di spicco presente alla cerimonia. La premier rappresenta una nuova corrente nazionalista in Europa, apparentemente in grado di mascherare la subordinazione economica e politica agli Stati Uniti come una vittoria contro il vecchio establishment globalista. Tuttavia, le sue azioni, come la vendita di asset italiani al capitale statunitense, suggeriscono una continuità con le politiche neoliberiste del passato. La sua presenza all’inaugurazione non è solo simbolica, ma potrebbe anticipare un ulteriore allineamento dell’Italia alle richieste di Washington, inclusa quella dell’aumento delle spese militari e un atteggiamento più duro nei confronti della Cina.

Il discorso di Trump ha chiarito in definitiva che la strategia “America First” non si limiterà al rafforzamento interno, ma comporterà un’ulteriore pressione sugli alleati europei. Si profila un contesto in cui l’Europa sarà chiamata a sacrificare ancora di più: l’obiettivo di destinare il 5% del PIL alla difesa, prevalentemente per acquistare armamenti statunitensi, minaccia di svuotare ulteriormente le casse pubbliche europee e di demolire ciò che resta dei sistemi di welfare. Inoltre, le iniziative legislative dell’UE, come quelle promosse da Ursula von der Leyen, sembrano già orientate a favorire l’export energetico e industriale americano, in un quadro che accelera la dipendenza del continente dagli Stati Uniti e marginalizza ogni tentativo di politica autonoma. La promessa di Meloni di guidare un’Europa “più sovrana” rischia quindi di rivelarsi un’illusione utile solo a mantenere intatta la supremazia statunitense.

Il ritorno di Trump alla Casa Bianca segna infine una sorta di punto di non ritorno della già agonizzante democrazia americana. Quattro anni dopo aver tentato di rovesciare con la forza il risultato elettorale del 2020 e di instaurarsi come presidente-dittatore nonostante una chiara sconfitta alle urne, Trump torna ora al potere non attraverso un colpo di stato, ma grazie al sostegno di una parte consistente dell’oligarchia finanziaria che domina gli Stati Uniti e all’incapacità cronica dei democratici, piegati da logiche di compromesso e da una fallimentare strategia politica volta solo alla difesa degli interessi “imperiali”. La sua rielezione non è un’anomalia, ma l’emblema di una democrazia ormai svuotata, in cui l’ascesa al potere dipende più dai capitali e dalla manipolazione mediatica che dalla reale volontà popolare.

Se nel 2017 si poteva ancora considerare l’ingresso di Trump alla Casa Bianca come un errore di percorso, un prodotto delle debolezze strutturali del Partito Democratico e delle contraddizioni del sistema elettorale, oggi, otto anni dopo, non vi è più spazio per tali illusioni. Trump incarna alla perfezione le dinamiche della classe dirigente americana: una ristretta cerchia di miliardari il cui potere e ricchezza hanno raggiunto livelli assurdi, capaci di plasmare istituzioni e leggi a proprio vantaggio. Le sue caratteristiche personali – arroganza, autoritarismo, avidità – rispecchiano insomma in modo emblematico i tratti distintivi di un’élite che controlla un sistema profondamente anti-democratico e impossibile da riformare al di là dell’identità dell’inquilino di turno della Casa Bianca.

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