A poco più di un mese dal secondo insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il dipartimento di Giustizia americano ha reso pubblico un rapporto incentrato sul ruolo svolto dagli informatori dell’FBI all’interno dei gruppi di estrema destra che il 6 gennaio 2021 assaltarono l’edificio del Congresso per fermare la certificazione della vittoria di Joe Biden nelle elezioni presidenziali. L’indagine, condotta dall’Ufficio dell’Ispettorato Generale (OIG) del “Bureau”, smentisce in modo clamoroso la testimonianza del direttore dimissionario dell’FBI Christopher Wray, il quale già dopo alcune settimane dai fatti assicurava pubblicamente che la sua agenzia non aveva avuto a disposizione notizie in anticipo o in tempo reale dagli infiltrati tra i rivoltosi sostenitori del presidente repubblicano uscente.

Il rapporto cerca preventivamente di sviare le critiche rivolte all’FBI, sostenendo che non vi erano agenti sotto copertura tra i manifestanti o gli assalitori di “Capitol Hill”. Questo fatto contribuisce però poco o nulla a sollevare l’FBI dalle proprie responsabilità, visto che gli scenari delineati dall’OIG per il dipartimento di Giustizia indicano che la polizia federale americana aveva beneficiato di un consistente flusso di informazioni dall’interno sia prima sia durante il fallito golpe trumpiano.

Tra la folla che si era radunata nei pressi del Campidoglio il 6 gennaio 2021, c’erano infatti almeno tre “fonti umane confidenziali”, specificamente incaricate dall’FBI di recarsi a Washington per raccogliere e trasmettere informazioni su elementi coinvolti in attività di “terrorismo domestico” che avrebbero potuto partecipare alla manifestazione a favore di Trump nella capitale. In aggiunta a queste risorse, l’FBI aveva altri 23 informatori nei vari gruppi coinvolti negli eventi. Questi ultimi, però, non svolgevano incarichi specifici per il “Bureau”.

Il rapporto dell’OIG rivela che almeno quattro informatori erano penetrati nell’edificio del Congresso durante la rivolta, mentre altri tredici si erano limitati a entrare all’area esterna al Campidoglio, dove vigeva il divieto di accesso. Nove informatori erano rimasti invece al di fuori di entrambe queste aree, la cui violazione costituisce un reato federale. Secondo il rapporto, nonostante le oltre due dozzine di informatori sul luogo dei fatti, l’ufficio di Washington dell’FBI sarebbe stato a conoscenza della presenza di solo cinque di essi.

Al di là dei numeri, come già anticipato, il rapporto conferma in sostanza che l’FBI aveva ricevuto da più fonti informazioni dettagliate su quanto stava accadendo a Washington il 6 gennaio, incluso l’assalto al Campidoglio, dove si erano radunati i membri del Congresso e il vice-presidente Mike Pence. Visto che l’operazione eversiva solo per pochissimo non ha avuto successo e che l’intervento delle forze di sicurezza è avvenuto con grave ritardo, è evidente che l’FBI aveva ignorato o insabbiato le informazioni ottenute grazie ai propri uomini.

La versione ufficiale, propagandata praticamente da tutta la classe politica e dai principali organi di stampa negli Stati Uniti, vuole che il mancato intervento delle autorità per fermare i rivoltosi o prevenire il tentativo di golpe orchestrato da Trump fosse dovuto alla carenza di informazioni e all’assenza di comunicazioni tra le varie agenzie incaricate della sicurezza. La realtà dei fatti disegna invece un quadro ben diverso e il recente rapporto dell’OIG non fa che confermare quanto era già circolato negli ultimi quattro anni.

Gli informatori dell’FBI, inoltre, erano in contatto diretto con i leader stessi delle milizie di estrema destra che guidavano l’attacco al Campidoglio. Uno di questi è il numero uno e fondatore degli “Oath Keepers”, Stewart Rhodes, condannato per sedizione, assieme ad altri quattro membri della sua organizzazione, in merito ai fatti del 6 gennaio 2021. Secondo il rapporto del dipartimento di Giustizia, almeno un informatore dell’FBI aveva inviato all’agenzia informazioni “altamente sensibili” su Rhodes e le attività degli “Oath Keepers”.

Tra di esse, quasi un mese prima dei fatti di Capitol Hill, va segnalato il viaggio a Washington di Rhodes con un altro “individuo” che avrebbe partecipato a un evento alla Casa Bianca, dove intendeva comunicare al presidente Trump che Rhodes e gli “Oath Keepers” erano pronti a garantire supporto e collaborazione nel caso fosse andato fino in fondo nel progetto di colpo di stato. L’informazione era arrivata anche al Servizio Segreto, che si occupa della sicurezza del presidente americano, ma, a detta di questa agenzia, l’uomo con cui Rhodes si era accompagnato a Washington non aveva recapitato nessun messaggio del genere al presidente.

Uomini controllati dall’FBI avevano accesso anche alla leadership di un altro gruppo neo-fascista protagonista dell’assalto al Congresso, quello dei cosiddetti “Proud Boys”. In questo e in altri casi, gli informatori avevano rivelato ai loro superiori i particolari dei piani per il 6 gennaio 2021, incluso l’arrivo di molti sostenitori di Trump a Washington con le loro armi al seguito.

Dal rapporto dell’OIG emerge dunque che l’FBI non ha agito per impedire il progetto golpista di Trump, né ha girato ad altri enti governativi e alle autorità locali di polizia le informazioni di cui era effettivamente in possesso, nonostante il suo direttore avesse sostenuto di essere totalmente all’oscuro dei fatti. Sarà tutto da verificare se da questo studio del dipartimento di Giustizia partiranno indagini sulle responsabilità dell’accaduto all’interno del “Bureau”.

Con l’imminente ritorno di Trump alla Casa Bianca è tuttavia improbabile che ci possano essere conseguenze significative. Anzi, il presidente eletto e il suo candidato alla guida dell’FBI, Kash Patel, sono intenzionati a perseguire chiunque sia coinvolto nelle indagini e nelle procedure di incriminazione dei responsabili dell’attacco al Campidoglio.

A quasi quattro anni dagli eventi straordinari che hanno interessato la capitale americana, solo un numero limitato di condanne sono state emesse dalla giustizia USA e, soprattutto, né Trump né i membri del suo staff coinvolti nei preparativi del fallito golpe hanno subito conseguenze, anche grazie a una sentenza senza precedenti della Corte Suprema di qualche mese fa che ha concesso di fatto un’immunità quasi totale al presidente degli Stati Uniti.

I punti oscuri delle vicende legate al 6 gennaio 2021 riguardano infine anche gli appoggi che Trump aveva all’interno delle istituzioni, inclusi l’FBI e i vertici militari. Il rapporto dell’OIG costituisce in teoria una base di partenza per fare luce sul comportamento dalla polizia federale americana, la quale aveva appunto tutti gli elementi per agire in maniera tempestiva, ma decise invece di temporeggiare e tenere ben nascoste le informazioni diligentemente passate dai propri uomini sul campo.

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