L’annunciata nomina di Marco Rubio a prossimo Segretario di Stato dell’Amministrazione Trump, per molti aspetti inquieta tutti coloro che ritengono la carica decisamente superiore allo standing del politicante di origine cubana. Come evidenziato da molti e confermato dal suo curriculum, Rubio non brilla per qualità politiche né per percorsi istituzionali ragguardevoli che ne abbiano messo in risalto le doti diplomatiche. Più che una nomina adeguata al ruolo, quindi, appare piuttosto il rimborso politico dovuto agli stati del Sud e, in particolare, alle organizzazioni di fuoriusciti cubani, venezuelani e nicaraguensi, che rappresentano la parte più putrida dello stato circondato dalle Everglades piene di ogni insidia.

Benché infatti la rete messa in piedi negli anni ’80 da Jorge Mas Canosa con l’approvazione di Ronald Reagan e sostenuta con ardore in questi decenni da Aznar e dal partido Popular in Spagna e da tutta la destra latinoamericana non controlli più interamente il voto dell’immigrazione latina in Florida (stato chiave dal punto di vista elettorale per la presidenza USA), è indiscutibile il suo alto livello d’influenza sul territorio. Inoltre, vi sono due aspetti da considerare, entrambi di notevole peso. Il primo riguarda il gigantesco volume di affari che si preannuncia nella parziale riconversione della Florida in uno Stato destinato alla popolazione bianca e ricca in età adulta: sono in ballo miliardi di Dollari per l’edilizia, la cantieristica e l’industria dell’intrattenimento sui quali la lobby cubano-americana ha già posato occhi e grinfie.

Il secondo elemento è rappresentato invece dal vincolo strettissimo che lega le organizzazioni terroristiche della Florida con la CIA, della quale sono sempre state strumento importante per le Covert Actions nel continente, dalle stragi e assassini mirati negli anni ’70 fino al sostegno diretto, organizzativo e finanziario, alla stagione dei colpi di stato a partire dagli anni 2000. I gruppi paramilitari cubano americani, con il sostegno dei traditori del sandinismo, con i quali marciano in affinità politiche e sentimentali, insieme alla lobby dell’immigrazione venezuelana sono stati l’epicentro organizzativo della destabilizzazione di Venezuela, Nicaragua, Cuba e dei colpi di stato in Honduras e Bolivia, oltre che dell’appoggio del bolsonarismo in Brasile.

Vissuto sempre nel sottobosco politicante della Florida, all’ombra della gusaneria cubana tutt’oggi tenuta in scacco dalle organizzazioni terroristiche mafiose facenti capo alla Fondazione Nazionale Cubano Americana, Rubio è emerso solo per l’accondiscendenza totale dimostrata verso Mario Diaz-Balart, Evelina Salazar, Ileana Ross Lethinen, Ron De Santis e il resto della lobby affaristico-mafiosa che controlla il business del “dissenso cubano”, eufemismo con il quale si presenta una rete di organizzazioni terroristiche e affaristiche che sull’applicazione di quanto disposto dal blocco USA contro Cuba e dalle sue propaggini legislative come la Legge Torricelli e la Helms-Burton, ha costituito la sua ricchezza e la sua influenza politica.

In molti ritengono che le nomine annunciate da Trump promuovano più i suoi fedelissimi che non gli esponenti repubblicani che potrebbero aspirare ai ruoli ministeriali e, sulla base di questo ragionamento, si chiedono come sia possibile che Trump abbia scelto Rubio con il quale certo il feeling personale non è mai stato altissimo, basti ricordare come nel corso delle scorse primarie repubblicane il politicante della Florida offese ripetutamente Trump sul piano personale. Ebbene la scelta corrisponde esattamente alla saldatura di quegli interessi e affinità ideologiche che costituiscono il triangolo della vergogna tra Trump, i mafiosi cubano americani e la CIA che per loro garantisce: i tre angoli che rendono l’aria della Florida irrespirabile.

Stabilita la priorità della destabilizzazione e del confronto minaccioso con il Messico, terreno decisivo per la ripartenza delle politiche xenofobe trumpiane, sarà probabilmente Cuba la piattaforma sulla quale Rubio vorrà distinguersi sin dal primo giorno; lo deve ai suoi sponsor ed un suo attardarsi potrebbe costargli caro. Proprio grazie alle ulteriori sanzioni in aggiunta al blocco criminale poste dalla prima presidenza Trump (confermate ed ampliate da Biden) la crisi di Cuba ha assunto un livello senza precedenti. Nonostante L’Avana resista e anzi rilanci un suo ruolo proattivo nello scacchiere regionale, gli squali di terra di Miami avvertono l’odore del sangue, convinti che le difficoltà dell’isola possano produrre un quadro di crisi politica sistemica. Cuba ha già dimostrato di avere risorse e capacità di adattamento superiori alle strategie imperiali, ma porre Marco Rubio al vertice della diplomazia USA sottolinea il livello della minaccia e indica che una delle scommesse dell’Amministrazione Trump sia proprio la caduta del socialismo cubano.

Per la guerra al socialismo del terzo millennio nelle sue diverse declinazioni sarà poi indicativa la nomina del sottosegretario per l’America Latina che Rubio sceglierà. Se sarà cioè concentrata sulla conferma del predominio del BAC (Brasile, Argentina e Cile) oltre che sul controllo di Perù, Ecuador e della possibile ripresa della Bolivia in funzione di ostacolo alla penetrazione cinese nel continente, o se sceglierà di dedicarsi alla parte più ideologica, che vede nell’aggressione ai paesi ALBA il focus di una politica che intende riaffermare l’obbedienza politica del giardino di casa a Washington.

Verso il blocco dei paesi ALBA vi saranno certo un costante inasprimento delle sanzioni e ostilità diplomatica diffusa e permanente, ma la loro efficacia appare relativa vista la pluralità dei mercati di cui Nicaragua e Venezuela ed ora Cuba dispongono. Nello stesso tempo appare difficile scalzare la presenza di Pechino nel subcontinente. Non solo la Cina è prestatore di ultima istanza per volumi superiori a quelli dell’intero Fondo Monetario e della stessa Banca Mondiale, ma la Belt and Road Initiative, vede ventitré paesi dell’America Latina e dei Caraibi partners di Pechino. Le aree strategiche inerenti alle risorse della Regione e l’accesso alle materie prime industriali (petrolio, minerali, metalli) e agricole (in particolare semi di soia), consentono ai cinesi una posizione più che solida, basata sulla reciprocità della convenienza nei trattati commerciali con i paesi latinoamericani, forti anche dell’assenza di condizioni politiche che mettano in discussione la sovranità economica dei diversi partners.

Persino i paesi politicamente alleati di Washington, come Cile, Colombia, Perù, Uruguay, Argentina e Brasile, non possono permettersi di rompere commercialmente con Pechino se non vogliono il crollo del loro export, unico dei fondamentali a tenere vive le rispettive economie e del resto gli USA non dispongono né delle risorse economiche né della credibilità politica per sostituire Pechino.

La recentissima inaugurazione del porto di acque profonde in Perù, come l’intenzione di avere nel Nicaragua il ponte commerciale tra il gigante d’Oriente e il Centroamerica e Caraibi, sono due esempi di come il contrasto statunitense immaginato da Trump verso la Cina sia fuori tempo massimo, ma c’è comunque all’orizzonte il ravvivarsi dell’aggressività politica di stampo di stampo golpista che fa da sfondo a quella che appare a tutti gli effetti la consegna alla gusaneria della Florida della politica statunitense verso l’America Latina. Anche qui, però, il quadro non è affatto semplice per le mire destabilizzatrici di Washington.

I paesi sui quali gli USA vorrebbero organizzare un rovesciamento politico sono sufficientemente attrezzati e, cosa di particolare importanza, avendo ripulito i loro territori dalle quinte colonne golpiste che in nome e per conto di statunitensi ed europei si rendevano disponibili ad articolare progetti di destabilizzazione interna. In Nicaragua, in particolare, ma anche a Cuba e in Venezuela, il golpismo ha subito rovesci pesantissimi ed una sua possibile rianimazione è da considerarsi possibile solo in un clima di disattenzione generale e di sottovalutazione del rischio da parte dei rispettivi governi. Che però, proprio perché avvertiti di cosa significhi la presidenza Trump, terranno più che in passato gli occhi aperti e le mani libere.

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