di Mariavittoria Orsolato

Arrivato alla sessantaduesima edizione, il Festival della Canzone Italiana di Sanremo sembra sempre più un malato terminale desideroso di vedere staccata la spina che lo tiene ostinatamente in vita. Un anziano malconcio, e sofferente nel vedere che la sua ragione di vita - la canzone, la musica appunto - è stata ridotta a lezioso corollario di una continua polemica. Perché sebbene il festival duri solo cinque giorni, i prodromi e lo strascico sono puntualmente conditi dagli starnazzanti commenti di mezza Italia.

Si potrebbe infatti fare un esperimento e, a ritroso, andare a vedere la struttura degli ultimi 20 anni di festival: si scoprirebbe che, autoreferenziale ai limiti dell'inverosimile, Sanremo è da lungo tempo costruito proprio su un'architettura di polemiche. Di quelle becere, che non entrano nel merito delle questioni ma si soffermano sempre sui tre elementi portanti di quella che tutto è, fuorché una gara canora: gli ospiti, le vallette e il sistema di voto.

Si comincia di solito con gli esosi cachet degli ospiti, su come quelli sono soldi pubblici che potrebbero essere meglio spesi e sul fatto che ciò rappresenti - per concomitanza di calendario - uno dei ragionevolissimi motivi per cui non pagare il canone Rai. L'anno scorso era Benigni, quest'anno è toccato ad Adriano Celentano (volutissimo dal direttore artistico Mazzi che ha strappato ad una Rai riluttante il sì e i 300.000 euro per farlo esibire) che nel suo monologo ha inveito contro la stampa cattolica, invocando la chiusura di Avvenire e Famiglia Cristiana, rea di occuparsi più del temporale che dello spirituale. Uno “scandalo” che ha spinto la direttrice generale Lorenza Lei a commissariare il festival per la prima volta nella sua storia, inviando a Sanremo il vicedirettore generale per l'offerta, Antonio Marano, a coordinare con potere di intervento i lavori.

Una pezza che è servita a poco dal momento che già la sera seguente, con l'arrivo del duo comico Mandelli-Biggio, è scappata la gaffe sul mondo gay. I Soliti Idioti - questo il nome d'arte dei due vj di mtv - hanno infatti messo in scena uno sketch sull'omofobia cogliendo al volo l'occasione offerta dall'ennesima panzana di Giovanardi sulle coppie omosessuali. L'intenzione era probabilmente quella di denunciare, ma il risultato - ahiloro e ahiRai - è stato quello di fare incazzare pressoché tutte le associazioni per i diritti LGBT, che hanno visto nello sketch il compendio dei peggiori luoghi comuni sulla galassia gay.

Ci sono poi le vallette, accusate puntualmente di rappresentare lo stereotipo della donna oggetto: bellissime alla vista ma assolutamente inutili, anzi spesso controproducenti (viste le gaffes), ai fini della conduzione. Per la sessantaduesima edizione la squadra Mazzi-Morandi è riuscita addirittura a scovarne una con gli attacchi di panico, che si è presentata sul palco dell'Ariston solo alla seconda serata e che ha costretto a richiamare in tutta fretta il duo Canalis-Belen, madrine della scorsa edizione.

Proprio quest'ultima ha acceso i riflettori su un argomento che, eclissate le varie Brambilla e Minetti, speravamo di non dover nuovamente affrontare: scendendo dalle gradinate dell'Ariston la Rodriguez, con spacco più che inguinale, ha mostrato la farfalla tatuata in prossimità della sua “farfallina” e - a sua detta volontariamente - ha innescato il dubbio sul fatto che portasse o meno le mutande. Una querelle cui nemmeno le testate più autorevoli si sono sottratte e che ha tenuto banco sulla rete e sulla bocca degli italiani per un'intera giornata.

Quanto al sistema di voto, già dalla prima serata è stato un disastro. Se ogni anno arriva pronto lo scoop di Striscia sugli inciuci che, leggenda vuole, designano il vincitore di Sanremo prima ancora che il festival cominci, quest'anno in Rai sono riusciti a fare di meglio. O di peggio. Il sistema di votazione elettronica va in tilt e la prima serata del Festival di Sanremo si conclude senza eliminazioni. Gianni Morandi annuncia quindi che la gara è sospesa e che i 14 artisti si riesibiranno tutti nella seconda serata, alla fine della quale ne saranno eliminati 4.

Una decisione, come spiega Morandi, presa “in deroga al regolamento del Festival” da Rai Uno e dalla direzione artistica ma che ha mandato su tutte le furie la giuria demoscopica ammucchiata sulla piccionaia dell'Ariston. Sventolando i fogli di valutazione - in Rai, al posto dei pad, si usano ancora gli A4 - i giurati popolari hanno inscenato una protesta, servendo al co-conduttore Rocco Papaleo l'unica battuta riuscita del Festival: “Occupy l'Ariston!”.

In questo walzer di astio populista e banalità d'avanspettacolo, il Festival della Canzone Italiana è rimasto dunque da tempo orfano della sua ragion d'essere: la musica - bistrattata da artisti abituati al playback - diventa semplice pretesto e per fare share (e raccolta pubblicitaria conseguente) e la Rai  e la direzione artistica del Festival sono costrette a puntare sulla chiacchiera da cortile.

Anche perché, a voler essere pignoli, di buona musica a Sanremo se ne vede poca e molto raramente. Con la colonizzazione coatta degli artisti da talent show e il recupero di cariatidi della lirica nostrana, il livello musicale del festival è in caduta libera da tempo. Per questo forse sarebbe meglio piantarla li.

Staccare la spina a questo moloch agonizzante che succhia risorse e fondi dal seno afflosciato di mamma Rai e non ha ragion d'essere nemmeno davanti ai risultati di share, puntualmente deludenti. Sanremo soffre per una miriade di motivi. Decretiamone perciò il fine vita e cambiamo canale.

 

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