Quarantacinque anni fa, i caccia militari dei traditori delle Forze Armate cilene bombardavano la Moneda, il palazzo presidenziale, con l’ordine di uccidere il Presidente Salvador Allende, medico e leader socialista democraticamente eletto alla guida della coalizione Unidad Popular.

 

Nasceva quel giorno il regno del terrore, con torture, uccisioni e detenzioni di massa. Lo stadio di Santiago del Cile pieno di detenuti politici, la DINA,  famigerata polizia politica e Villa Grimaldi, luogo delle peggiori torture, divennero le icone di una dittatura sanguinaria del macellaio dagli occhiali neri e la divisa inspiegabilmente dotata di fregi militari mai ottenuti sul campo.

 

L’11 Settembre del 1973, nel sangue e nel tradimento delle sue forze armate (e di alcuni partiti della destra come la Democrazia Cristiana che svolsero il ruolo di fronte interno del golpe made in USA), finiva l’esperimento di un socialismo che raggiungeva il potere non con l’insurrezione, fase finale tipica di un processo rivoluzionario, ma con il cammino elettorale, proprio del disegno politico democratico-liberale.

 

Il governo di Unidad Popular aveva ottenuto importanti successi sul piano sociale ed altrettanto decisa era stata la scommessa sul futuro del suo Presidente. Allende infatti aveva scelto di marcare la storia del Cile nel segno della giustizia sociale e dell’edificazione del socialismo: nazionalizzò le miniere di rame (di cui il Cile era primo produttore ed esportatore al mondo) e volle procedere con un piano generale di nazionalizzazioni o, almeno, di riposizionamento dello Stato nei gangli strategici della vita del paese, come le telecomunicazioni e la grande produzione alimentare, oltre che le vie di comunicazione.

 

Il governo statunitense, guidato da Richard Nixon, non poteva e non voleva tollerare ciò che avrebbe messo in discussione il dominio statunitense e, in prospettiva, persino i suoi stessi avamposti militari strategici al Polo Sud. La Casa Bianca, spinta dalle multinazionali americane come la At&T e la United Fruit Company (che vedevano sfumare profitti altissimi) e desiderosa di fornire una lezione valida per chiunque, decise quindi di promuovere il rovesciamento violento del governo di Salvador Allende. L’ispiratore del Colpo di Stato fu Henry Kissinger, criminale internazionale che, come altri, è stato insignito del Nobel per la pace, forse come omaggio per le competenze maturate nell’arte dello sterminio programmato.

 

L’11 Settembre 1973, con la vittoria dei golpisti agli ordini del Generale Augusto Pinochet, il Cile smetteva di essere solo un paese del Sud America per trasformarsi in un nuovo paradigma internazionale. Quello che si stabiliva, da lì in avanti, è che i riti democratici vanno rispettati solo se conviene; che le elezioni sono valide solo se vincono gli alleati degli Stati Uniti e vanno annullate se invece vincono le forze popolari. Certo, all’epoca, facendo ricorso all’arsenale ideologico della Guerra Fredda, di fronte ai processi rivoluzionari si doveva invocare l’alternativa della democrazia rappresentativa, i suoi riti elettorali, la divisione dei poteri e la relazione tra elettori ed eletti mediata dai corpi intermedi. Ma, nel caso anche con questo percorso si fosse affermata la sinistra – allora di origine socialista e comunista - il cammino democratico dovesse essere interrotto con ogni mezzo ed a qualunque prezzo.

 

Si determinava insomma, una volta e per tutte, che la democrazia parlamentare è poco più che un gioco di società quando in ballo ci sono il comando politico e il possesso delle risorse. Che gli Stati Uniti sono detentori assoluti del destino di qualunque paese ovunque nel mondo, il quale ha dinanzi a sé due opzioni: obbedire o perire.

 

Paraguay e Uruguay, Argentina e Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Venezuela, Nicaragua: l’intero sub continente latinoamericano è stato il teatro a cielo aperto della rappresentazione più autentica del modello statunitense, che prevedeva (e tutt’ora prevede con differenze metodiche, non di sostanza) l’annullamento di ogni istanza indipendentista e socialista affinché Centro e Sud America garantiscano, con il saccheggio continuato di ogni loro risorsa, l’accumulo di ricchezze che, insieme alla supremazia militare internazionale, definisce lo status di superpotenza degli Stati Uniti ed il suo comando unipolare.

 

Le dittature militari fasciste latinoamericane furono anche un laboratorio criminale, il primo esperimento su scala internazionale di un sistema di polizia destinato al rastrellamento degli oppositori politici. Si chiamò Plan Condor e vide la CIA coordinare le polizie di tutte le dittature nella ricerca, cattura, tortura e uccisione di decine di migliaia di militanti della sinistra e delle forze democratiche. Come ricorda la tragica storia di Colonia Trinidad, non mancò la collaborazione alle operazioni di ex gerarchi nazisti riparati in Uruguay, Argentina a Paraguay; vi erano giunti grazie alle forze armate statunitensi che, dopo la caduta del nazifascismo, decisero di avvalersi di personaggi della ex Gestapo, la cui esperienza sarebbe tornata utile in vista della lotta contro la crescente influenza del socialismo internazionale.

 

Due generazioni di boia vennero formati allo scopo di garantire la supremazia statunitense nel continente. L’addestramento degli investigatori latinoamericani fu a carico dell’agenzia spionistica di Langley, mentre la formazione dei torturatori e dei vertici militari venne effettuata dal Pentagono, che la organizzò nella famigerata Escuela de las Americas con sede a Panama.

 

Il Cile, poi, rappresentò anche uno spartiacque a livello internazionale. Sul suo destino caddero maschere ed emersero verità occulte. Al fianco di Allende, nel balcone della Moneda, si affacciò il Comandante Fidel Castro, che nel corso della sua visita, con la sua consona preveggenza, volle regalare al presidente cileno un fucile mitragliatore di fabbricazione russa, AK-47, impugnando il quale Allende si recò all’ultimo combattimento della sua vita contro i militari golpisti.

 

Molti anni dopo, da quello stesso balcone, in una foto che racconta tutto quel che c’è da sapere circa i rispettivi personaggi e l’incrocio di affinità ideologiche, si affacciavano insieme e sorridenti Papa Woytila e il dittatore Augusto Pinochet, che ebbe nell’allora Pontefice, in Ronald Reagan e soprattutto in Margareth Teatcher, i suoi migliori alleati e amici.

 

Quarantacinque anni dopo, la lezione cilena ricorda a tutti come le strategie di destabilizzazione dei governi considerati ostili dagli Stati Uniti siano arma ricorrente ai quattro angoli del pianeta, ma racconta anche che la loro riuscita ha bisogno di un clima internazionale e di forze armate disposte al tradimento quali condizioni indispensabili per la riuscita dei golpe.

 

Per questo, nonostante le pressioni, le sanzioni, gli embarghi e l’isolamento, la propaganda mediatica e le minacce militari, con il Venezuela e il Nicaragua i golpisti non ce la faranno. I tentativi di golpe vincono solo dove la sinistra perde il contatto con il suo popolo, la capacità di difendere le sue istituzioni, di arrendersi di fronte a quello che in penombra può anche sembrare un gigante, ma che a veder bene risulta spesso essere un nano sulle spalle di un altro.

 

Allora è bene conservare la memoria di quel medico socialista che, con un elmetto in testa e un fucile mitragliatore in mano, decise che dinanzi alla prepotenza imperiale si può perdere tutto ma non la dignità; che si può morire, persino, pur di non mettersi in ginocchio.

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