di Liliana Adamo

Prodotto da Leonardo Di Caprio, presentato in anteprima mondiale su Netflix, il 4 novembre scorso, The Ivory Game vanta due registi d’eccezione, Kief Davidson e Richard Ladkani, i quali hanno dovuto garantire per contratto, d’essere in grado a “gestire” e “contenere” tutto ciò che sarebbe loro “piovuto addosso”, letteralmente. Per esempio, inseguire elefanti e bracconieri in Africa, girare sotto copertura a Hong Kong, sottrarsi a un arresto a Pechino (dove il film non sarà proiettato).

Girato sotto copertura, in alcune circostanze rischiando di persona, The Ivory Game è un film documentario diverso da tutti gli altri. Novanta minuti di proiezione sprigionano un thriller mozzafiato con l’intento d’informare, educare sul commercio illegale dell’avorio. I protagonisti sono persone reali con nomi e cognomi, o nickname fittizi (in maggioranza), per questioni legate alla segretezza.

Sì perché, quest’enorme affare si snoda attraverso una potente, cosmopolita associazione per delinquere che alla stregua di tutte le mafie necessita d’informatori, di una fitta rete di spionaggio fino a penetrare nei meandri di un ingranaggio infernale.

Tutto ha inizio tre anni fa, quando i due amici documentaristi cominciano a riflettere su un articolo apparso sul New York Times, stralci di un’inchiesta che spiegava in cosa consiste l’estinzione delle specie; fra queste, i pachidermi che decrescono a ritmo vertiginoso nei grandi parchi nazionali del continente africano e in Asia: “Mentre leggete, esattamente allo scadere d’ogni tre minuti della vostra esistenza, un elefante sarà ucciso. Un elefante ogni tre minuti…”.

Si buttano a capofitto su un progetto che si pensava impossibile, senza neanche intuire quale intensa avventura sarebbe stata creare in un film straordinario: l’uccisione in massa degli elefanti per foraggiare il mercato illecito dell’avorio, testimonianza di realismo crudo, onestà e allo stesso, modo, di spettacolo e suspense. Per l’intera durata del film, lo spettatore resta inchiodato in un thriller adrenalinico, chiedendosi alla fine, non chi sia l’assassino ma se gli elefanti riusciranno a sopravvivere.

Quale spinta migliore, comunicativa e potente, per indirizzare, convincere e sensibilizzare persone comuni in tematiche difficili ma indispensabili a salvare la vita selvatica sul nostro pianeta? The Ivory Game è anche la storia di persone coraggiose e incorruttibili che ogni giorno mettono a repentaglio la propria incolumità pur d’evitare la morte degli ultimi elefanti superstiti.

Per il suo concreto contenuto di denuncia, questo film non è un reality show: i suoi “attori” sono stati davvero a rischio e lo sono tuttora; hanno indagato per le strade di due continenti, svelando gli intrecci di un quotidiano import-export sull’avorio e sul sangue degli animali uccisi.

Se un singolo evento legato al concetto di “spettacolo” ha avuto un suo impatto, per i due registi la risposta è sì: “Il film ha attirato l’attenzione per moltissime associazioni che operavano separatamente su una situazione al massimo della criticità e le ha unite, cercando strategie comuni per combattere la piaga del bracconaggio. Rendere possibile il maggior effetto globale, ci soddisfa per ciò che abbiamo fatto, nonostante i pericoli…”.

Degli antichi proboscidati soltanto due specie sono sopravvissute: gli elefanti africani (i più grandi mammiferi terrestri), con zanne d’avorio che arrivano a due, tre metri di lunghezza e quelli in Asia meridionale (Iran, Cina, Indonesia, India), di dimensioni più contenute, di cui soltanto gli esemplari maschi hanno le zanne.

Il bracconaggio si concentra soprattutto in Africa; il numero degli elefanti uccisi è impressionante, circa 20.000 ogni anno. Nei territori asiatici è la deforestazione causa di un’estinzione senza pari nella storia faunistica del nostro pianeta. Parte degli habitat è fuori dai territori protetti; con il rapido incremento dell’insediamento umano, interi territori sono strappati alla vita degli animali per impiantarvi attività agricole, urbanizzazione selvaggia.

Come in tutti i casi in cui si genera uno scompenso nelle leggi di natura, l’abbattimento dei grandi pachidermi rileva un’alterazione demografica nelle popolazioni esistenti. In molte riserve vi rimane soltanto un maschio adulto per ogni cento femmine, ciò vuol dire che meno di un terzo di queste, sarà accompagnata da un piccolo.

Il mercato legato all’avorio è stato chiuso nel 1989 tentando, quindi, di fermare l’orribile tratta. Nel 2007 Sudafrica, Namibia, Botswana e Zimbabwe, ottennero dalla Cites (organizzazione mondiale che regola i prodotti provenienti da specie a rischio e la loro presenza sulle compravendite internazionali), la possibilità di liquidare alla Cina, l’avorio “legale” accumulato negli stock in vent’anni di moratoria.

Fu esattamente questa concessione a dare il via libera a bracconaggio e mercato nero. In una micidiale speculazione, si diede inizio al fattore numero uno che alimenta una strage senza limiti, annientando la fauna selvatica fino a provocarne la completa estinzione. Paradossalmente, la scomparsa degli elefanti è fortemente voluta dalle stesse organizzazioni criminali, perché è così che si regge il mercato nero dell’avorio, con il prezzo che schizzerà alle stelle.

Privi di una vera e propria sceneggiatura, girando con una pletora GoPro, telecamere spia, droni, videocamere cinematografiche, in un ritmo forsennato tra minacce, riprese “illegali”, azzardi d’ogni genere, ogni volta fuggendo da quei Paesi che li avrebbero arrestati un momento prima, i due registi di The Ivory Game hanno creato un documentario “epico”.

Lo scopo di “salvare gli elefanti”, è stato un incubo introiettato fino all’ultimo “ciak”: “La cosa migliore che puoi trovare in documentari come questo è che elimina il discorso unico. Si apre un mondo di complessità che non risolvi con un tweet, o non puoi discutere con un tweet…”.

E The Ivory Game, come Eagle Huntress (diretto da Otto Bell) e Before the Flood dello stesso Di Caprio, fanno questo, aprono delle sfide. Sono film d’alta qualità con nomi d’alto profilo che amplificano problemi complessi sulla salvaguardia del pianeta.

Spettacolarizzandoli li fanno conoscere a tutti, accendono una miccia nella coscienza collettiva: un intento su cui scommettere, capitalizzare la cultura, i mezzi di comunicazione, raggiungere il pubblico più vasto ed eterogeneo, salvare gli animali, noi stessi, dall’estinzione.





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