di Roberta Folatti

Verdetto in salsa russa

Per godere a fondo del film di Nikita Mikhalkov sarebbe utile aver visto l’originale, la pellicola di Sidney Lumet a cui il regista russo si è ispirato. Si tratta de “La parola ai giurati”, protagonista un compassato Henry Fonda, che sa però rimescolare i sentimenti dei suoi colleghi della giuria fino ad abbattere i loro pregiudizi. É uno dei classici americani degli anni ’50, rigoroso, in bianco e nero, imperniato sui dialoghi, sui silenzi, sui volti degli attori. Un esempio di cinema “civile” perchè affronta temi spinosi, soprattutto per l’epoca, visto che la giuria è composta in prevalenza da bianchi e l’imputato è un ispanico dei quartieri poveri, il cui destino sembra segnato in partenza.


Rifarsi a un classico del genere è dunque una bella sfida ma il risultato di questa operazione è un film molto personale, pieno di significati e di umanità, con un occhio attento all’attualità.

Partendo da una situazione simile – una giuria deve giudicare un presunto omicida e si ritova davanti a prove in apparenza incontrovertibili – il regista riadatta ambientazione e personaggi e li rende profondamente russi. Così è un altro film quello che esce dalla rivisitazione di Mikhalkov e degli altri due sceneggiatori: c’è il suo stile, ci sono le sue invenzioni, c’è la straripante umanità dei suoi personaggi. Tanto l’originale era rigoroso e quasi sottotono quanto la versione mikhalkoviana è istrionica, sopra le righe, legata alla situazione attuale della Russia. A cominciare dall’imputato che in questo remake diventa un giovane ceceno, in un paese dove i caucasici – e i ceceni in particolare – sono visti come da noi i Rom, o anche peggio: gli ultimi, i delinquenti nati, i disprezzati a priori.

Uno dei membri della giuria, il più accanito sostenitore della sua colpevolezza, non esita ad appellarlo con termini come ceceno bastardo, belva, selvaggio. All’inizio una voce sola si alza in sua difesa. Quest’uomo, che nella versione originale era impersonato da Henry Fonda, si rifiuta di alzare la mano per accodarsi agli altri 11 giudizi di colpevolezza, dati frettolosamente e con grande superficialità. Le sue argomentazioni convincono prima di tutto il giurato ebreo, forse quello che capisce meglio cosa significhi essere giudicato in quanto appartenente a un’etnia, a una razza. A poco a poco la discussione si approfondisce coinvolgendo anche chi da principio aveva solo fretta di andarsene, ciascuno dei partecipanti fa intravedere squarci della sua vita mettendosi a nudo davanti agli altri. La seduta si prolunga e diventa una specie di autocoscienza di gruppo dagli esiti a tratti sorprendenti.

Mikhalkov gigioneggia dietro la macchina da presa, il film dura quasi tre ore ma non ha tempi morti, è in continua espansione. Anche la trama finisce per discostarsi da quella originale perchè alcuni dei giurati diventano veri e propri investigatori arrivando a scagionare del tutto il ragazzo e a individuare i colpevoli. Colpo di scena finale: uno di loro addirittura decide di “adottarlo” quando sarà scarcerato. L’identità di questo silenzioso personaggio si svelerà nelle ultime sequenze e sarà un’altra bella sorpresa...

12 (Russia, 2007)
Regia: Nikita Mikhalkov
Sceneggiatura: Nikita Mikhalkov, Vladimir Moiseyenko, Aleksandr Novototsky
Musiche: Eduard Artemyev
Cast: Sergei Makovetsky, Sergei Garmash, Aleksei Petrenko, Nikita Mikhalkov




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