di Roberta Folatti

L'assoluta ottusità del male

Un’altra civiltà. Tra quelle cattedrali in rovina, spaventosi monumenti allo spreco e al malaffare, in quelle piazze assolate, desolanti, adatte solo allo spaccio, vive una razza che non sembra più umana. Esseri che popolano la periferia della periferia, oltre i confini del mondo civile. Che hanno creato una società con regole proprie, ribaltando i valori consueti: premiata è la ferocia e il denaro è divinità da adorare, ciò che giustifica qualunque bassezza, qualunque orrore.

Gomorra è il realistico spaccato di un ambiente e di un modo di vivere per molti versi allucinanti. Ci costringe ad immergerci, quasi in apnea (e la camera a mano aumenta questa sensazione), nei labirintici e tetri cunicoli che attraversano i casermoni di Scampia, dove la densità di ammazzamenti è superiore a qualunque altro quartiere. Ma è la violenza in genere a dominare, la legge del più forte e la vita coniugata solo al presente, come se non esistessero conseguenze, responsabilià personali, considerazioni etiche di nessun tipo. E non esistesse futuro.
Eppure anche in questo mondo, in una sorta di duplicato di quello civile, ci si sposa, si venerano i santi, si mettono al mondo dei figli ma la vita di quei bambini sembra valere molto meno, come se fossero solo piccole pedine stritolate da un enorme ingranaggio. Un ingranaggio ben oliato, che espelle con ferocia chi decide di non sottostare alle regole o ha velleità di mettersi in proprio.
Una delle storie di “Gomorra” descrive la parabola di due teste calde che si sentono invulnerabili come i protagonisti di un film di mafia americano. Sono patetici già nel fisico – uno è caricaturalmente mingherlino (e fa di continuo il gesto di tirarsi su i pantaloni che gli scendono per l’eccessiva magrezza), l’altro ha una voce poco maschile, ma quando imbracciano un’arma pensano di poter sottomettere il mondo intero. Com’era prevedibile, verranno ben presto ridimensionati, e in modo definitivo.
In un altro episodio invece gli scissionisti che si staccano dalla costola madre dell’organizzazione danno sì del filo da torcere ai capi riconosciuti. La guerra si scatena e don Ciro, forse la figura più inquietante del film, rischia di rimanerne schiacciato malgrado sia un maestro nell’arte della neutralità. Lui non spara, non si sporca le mani, ha persino un aspetto distinto, il suo compito è di fornire sussistenza economica ai parenti degli affiliati in carcere. Dopo aver preso in considerazione tutte le possibilità, sceglierà la strada del tradimento, la scena in cui si allontana dal luogo dove è avvenuta una strage, sporco del sangue dei suoi ex datori di lavoro appena consegnati ai loro carnefici, è tra le più emblematiche e crude.
Matteo Garrone è bravo, bravissimo. Le “Vele” di Scampia si prestano, per la loro delirante struttura e per la degenerazione che hanno subito con gli anni, a diventare il simbolo di una convivenza disumana, stravolta nei suoi principi basilari, ridotta a guerra di sopraffazione. In quello squallido formicaio può capitare che su un piano si celebri un battesimo o un matrimonio e al piano superiore si consumi un omicidio. La vita e la morte si inseguono ottusamente, senza che nessuno si faccia delle domande e tantomeno si opponga all’insensatezza del male. Siamo in un mondo con regole sue, come ci suggerisce l’incipit un po’ visionario, con i camorristi dentro le docce solari, illuminati da luci azzurognole che li fanno assomigliare a creature di un altro pianeta. Ma è questo mondo che ingloba i rifiuti tossici espulsi da quello civilizzato e produttivo ed è a questo mondo che le grandi griffe si rivolgono per risparmiare sui loro ciclopici guadagni...

Gomorra (Italia, 2008)
Regia: Matteo Garrone
Sond designer: Leslie Shatz
Cast: Toni Servillo, Maria Nazionale, Gianfelice imparato, Salvatore Cantalupo
Distribuzione: 01





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