di Fabrizio Casari

I primi verdetti del mondiale sudafricano sembrano voler raccontare di un calcio diverso da quello che tutti immaginavamo. Eurocentrici e narcisi forse, convinti del livello assoluto del calcio continentale certamente, commentatori, tifosi e scommettitori europei erano persuasi di un andamento del torneo dove le nazionali del vecchio continente avrebbero recitato la parte del leone.

Inghilterra, Spagna, Germania, Portogallo, Francia e Italia erano infatti ritenute le squadre più attrezzate per arrivare fino in fondo. Si offrivano possibilità al Brasile, unica tra le squadre latinoamericane. E, se non altro per statistica, si riteneva che alcune squadre africane avrebbero recitato un ruolo di primo piano. E invece no.

L’accesso ai quarti di finale racconta di un blocco che rappresenta un pezzo di un continente cui non erano state assegnate grandi possibilità. Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay (e il Cile appena uscito) sono il Cono Sur del continente latinoamericano. Affamati di vittorie e ricche di talento, sono squadre che giocano un bel calcio, che non propongono fuochi d’artificio in alternanza a errori marchiani, come tradizione vorrebbe. Giocano un calcio tattico, sono squadre che coprono bene ogni zona del campo, difficili da affrontare e da perforare. Muscolari e tecnici, veloci. Cedono terreno alla classe dell’avversario solo quando il fiato diventa corto e l’acido lattico s’impossessa dei muscoli. Sono i rappresentanti di un calcio che era sì ritenuto di grandi tradizioni, ma solo avendo a memoria gli anni ’50.

Vanno invece a casa i miliardari del calcio, con annessi i supercampioni che avrebbero dovuto far brillare le loro squadre nella vetrina più prestigiosa della chiesa pallonare. E sulla ribalta arriva il Paraguay di Santa Cruz: ordinato, veloce, aggressivo e anche un po’ fortunato.

Ad eccezione dell’Olanda di Snejider e Robben, che sta addirittura superando le attese, le delusioni abbondano. La Francia di Henry e Benzema e, soprattutto, di Domenech, ha ricevuto la giusta moneta per l’accesso al mondiale con irregolarità di gioco e scorrettezza successiva nel non ammetterlo. Con una truffa fecero fuori l’Irlanda del Trap che avrebbe avuto diritto ad un verdetto equo. Dell’Italia meglio non parlare: aveva quote di successo solo oltreconfine, nel Paese erano pochi a nutrire speranze. Ad ogni modo aveva quotazioni di squadra, più che altro per tradizione e per essere campioni in carica, ma di fuoriclasse non li proponeva.

Chi presentava fuoriclasse erano altri. I Rooney, i Torres, i Cristiano Ronaldo, i Messi e i Tevez erano le stelle attese, giacchè Eto’o e Drogba, per quanto straordinari, non potevano, soli, invertire l’inadeguatezza delle loro rispettive nazionali. E allora?

Rooney, Gerrard e Lampard, che agli ordini di Capello avrebbero dovuto impressionare tutti, visti anche i risultati della fase preparatoria, sono arrivati bolliti e hanno confermato come il tecnico di Pieris sia un perdente di successo. Adatto alle lunghe traversate, ma non ai tornei brevi dove si vince o si va a casa.

Cristiano Ronaldo è l’unica vera stella del suo Portogallo, giacche Veloso, Simao e gli altri sono solo buoni giocatori. Ma proprio lui, il principe del gossip pallonaro, indiscusso talento delle veline e capace di ogni prodezza in campo, è arrivato fuori forma ed inutile.

Di Fernando Torres non si hanno notizie fino ad ora, anche causa infortunio grave dal quale è rientrato da poco. Ma la sua Spagna va. Una squadra completa, forte in tutti i reparti, dalla porta al delantero, non sembra avere punti deboli e, fino ad ora, gli manca solo il suo bomber. Messi e Tevez, invece, agli ordini di Maradona, stanno facendo buona parte di quello che ci si attendeva.

Il Brasile di Maicon e Julio Cesar, di Lucio e Luis Fabiano, è ancora in attesa di Kakà, ma Dunga sa come mettere in campo i verde-oro, che sembrano aver rimesso lo champagne in frigo ed aver fatto incetta di acqua tonica.

Ora i quarti, poi le semifinali e quindi le finali. Il mondiale non è ancora finito, solo gli ultimi che si sognavano primi sono andati a casa.

 

 

 

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