Negli ultimi giorni, la Turchia ha nuovamente attirato l’attenzione della comunità internazionale con la rimozione di tre sindaci di città a maggioranza curda, eletti nella regione sudorientale del paese. L’azione del governo, che ha sostituito i leader di Mardin, Batman e Halfeti con fiduciari governativi, segna un’ulteriore offensiva contro i rappresentanti curdi e il Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli (DEM), partito politico pro-curdo. Dietro la giustificazione ufficiale di "terrorismo" addotta dal Ministero dell’Interno si celano, però, strategie politiche che vanno ben oltre il semplice mantenimento della sicurezza interna, in un contesto di grande tensione regionale e di pericolose manovre elettorali.

L’azione contro i sindaci curdi arriva in un periodo in cui Ankara sembrava intenzionata a riaprire il dialogo con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e il suo leader incarcerato, Abdullah Ocalan, per cercare una soluzione politica a un conflitto che va avanti dal 1984. Questa nuova iniziativa, sostenuta pubblicamente da Devlet Bahçeli, leader del Partito del Movimento Nazionalista (MHP) e alleato di Erdogan, potrebbe apparire a prima vista come una svolta verso la pace. Tuttavia, a un’analisi più attenta, emerge un quadro complesso di calcoli elettorali e di manipolazione politica che suggerisce tutt'altro.

Come ha fatto notare un recente articolo della testata on-line Al-Monitor, i recenti sondaggi di opinione evidenziano la crescente popolarità di Ekrem İmamoğlu e Mansur Yavaş, sindaci rispettivamente di Istanbul e Ankara, entrambi membri del principale partito di opposizione, il Partito Popolare Repubblicano (CHP). In questo scenario, Erdogan sa di dover trovare una strategia per dividere le opposizioni, soprattutto indebolendo il legame tra il CHP e il DEM, coalizione pro-curda che è stata determinante nella sconfitta dell’AKP nelle elezioni comunali di Istanbul e Ankara nel 2019. L’allontanamento di Ahmet Ozer, sindaco di Esenyurt (distretto di Istanbul) e membro del CHP, con accuse di legami con il PKK sembra inserirsi proprio in questa logica divisiva, che mira a creare una frattura all’interno dell’opposizione.

Le azioni di Erdogan si collegano anche al recente attentato ad Ankara, attribuito a un gruppo affiliato al PKK. La fragile situazione curda è a sua volta intrinsecamente collegata alla crisi siriana e alla complicata rete di alleanze e rivalità che da anni caratterizzano l’area. La presenza di forze curde in Siria settentrionale, molte delle quali associate alle YPG (Unità di Protezione Popolare), è vista come una minaccia esistenziale da Ankara, la quale percepisce tali gruppi come un’estensione del PKK. Le tensioni, già acute, sono ulteriormente esacerbate dal recente conflitto tra Hamas e Israele, che ha riacceso antiche rivalità e portato Erdogan a giustificare la sua politica repressiva con argomentazioni legate alla sicurezza nazionale.

Il rapporto tra la Turchia e le forze curde siriane è particolarmente delicato, non solo per la sua influenza sugli equilibri interni turchi, ma anche per le implicazioni internazionali. Gli Stati Uniti, che hanno sostenuto i curdi siriani ufficialmente per combattere l’ISIS, sono costantemente messi sotto pressione da Ankara, che richiede la cessazione del supporto militare e logistico alle YPG. Erdogan sfrutta d’altro canto la minaccia del PKK per alimentare il nazionalismo turco e consolidare la sua base elettorale, trovando sostegno anche nei segmenti più conservatori e nazionalisti dell’elettorato.

Emerge in ogni caso una significativa ambivalenza nell’attitudine di Erdogan verso Ocalan, il leader del PKK, che è in carcere da oltre venticinque anni. L’ipotesi avanzata da Bahçeli di un trasferimento di Ocalan agli arresti domiciliari, condizionato a un disarmo del PKK, appare come una mossa politica volta a mostrare un’apertura, benché condizionata, nei confronti della comunità curda. Questo potenziale allentamento della detenzione di Ocalan avrebbe lo scopo di offrire un’apparente “pace sociale” che potrebbe valere come moneta di scambio per i voti curdi, necessari a Erdogan per approvare una revisione costituzionale che gli permetterebbe di correre per un terzo mandato, al termine di quello in corso nel 2028.

La storia politica di Erdogan, tuttavia, suggerisce che le aperture sono spesso di breve durata, impiegate esclusivamente come strumento di consolidamento del potere, pronte a essere ritirate qualora non risultassero più funzionali agli interessi del presidente e del suo partito, come sembra essere appunto accaduto con la recente sollevazione dei tre sindaci delle città a maggioranza curda. Una sorta di "doppio gioco" evidente appunto nella stretta repressiva attuata contemporaneamente alla retorica di pace.

Le recenti manovre di Erdogan e del suo governo dimostrano quindi come la questione curda resti uno strumento di mobilitazione politica, manipolato per equilibrare le necessità di consolidamento interno e le relazioni con le potenze straniere. Mentre Erdogan gioca su più tavoli, i curdi continuano a essere il capro espiatorio di una strategia che usa la questione della sicurezza nazionale per giustificare la repressione politica. Questa ambivalenza rischia di lasciare profonde cicatrici nella società turca, inasprendo ulteriormente un conflitto che, in assenza di un'autentica volontà di dialogo, sembra destinato a prolungarsi senza una soluzione reale.

L’ombra della strategia del “divide et impera” sembra emergere nelle ultime mosse di Erdogan, rivelando un approccio tanto calcolato quanto rischioso. L’abilità con cui il presidente sfrutta le tensioni interne e regionali per consolidare il proprio potere è ormai evidente, ma questa politica potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio. L’opportunismo con cui Erdogan gestisce la questione curda e le sue promesse di pace rischiano infatti di logorare la credibilità istituzionale e di esasperare ulteriormente le divisioni sociali. In un paese già segnato da profondi contrasti, l’uso di tattiche repressive e di manovre politiche ambigue può produrre un effetto boomerang, alimentando un clima di instabilità e alienando proprio quella parte dell’elettorato che Erdogan tenta di conquistare.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy