I bombardamenti indiscriminati di Israele su Gaza City continuano a colpire edifici residenziali e a massacrare civili in preparazione di una massiccia invasione di terra che sta per segnare una nuova e, se possibile, ancora più cruenta fase del genocidio palestinese. Avendo le mani completamente libere grazie al totale appoggio americano, il primo ministro/criminale di guerra Netanyahu non è minimamente intenzionato a rallentare lo sterminio nonostante il crescente disgusto dell’opinione pubblica internazionale e il senso di imbarazzo dei governi – in Occidente e nel mondo arabo – che continuano a sostenere il suo regime in maniera più o meno aperta. In questo quadro, il nuovo ciclo di notizie e indiscrezioni su una possibile tregua in discussione è l’ennesima manovra, orchestrata da Washington e Tel Aviv, per dare l’impressione che la diplomazia sia in qualche modo al lavoro, mentre l’obiettivo è soltanto quello di consentire la prosecuzione della strage togliendo qualche pressione alle forze del regime sionista.

La distruzione in questi giorni degli edifici più alti di Gaza City, quindi con un numero maggiore di residenti, ricalca il piano già implementato in altre località della striscia, come Rafah o Beit Hanoun, ovvero la riduzione in macerie dei centri abitati per favorire appunto l’avanzata delle truppe di occupazione via terra. Ai militari israeliani vengono d’altra parte risparmiate il più possibile le operazioni sul campo, se non dopo che bombe e missili hanno fatto “pulizia”, visto che Hamas e le altre formazioni della resistenza continuano a infliggere perdite tutt’altro che trascurabili per gli uomini e i mezzi delle forze di occupazione in missioni di guerriglia urbana spesso molto efficaci.

La morte a Gaza, oltre che attraverso i missili, arriva ogni giorno anche dalle restrizioni deliberate imposte da Israele a ogni singolo elemento che consenta la mera sopravvivenza. L’uso della fame come arma di sterminio caratterizza praticamente fin dall’inizio l’aggressione sionista, ma ha subito una drastica accelerazione dal marzo scorso, quando Netanyahu ha imposto un blocco totale all’ingresso di aiuti umanitari nella striscia, in seguito solo parzialmente allentato, e con il lancio del finto programma di distribuzione di aiuti messo in piedi con la collaborazione degli USA.

L’imminente Assemblea Generale annuale delle Nazioni Unite ha spinto Netanyahu a intensificare massacri e distruzione in una sfida deliberata all’impegno proclamato da vari paesi europei a riconoscere ufficialmente lo stato palestinese proprio in occasione dell’appuntamento al Palazzo di Vetro. Se anche dovesse arrivare il riconoscimento di paesi come Francia, Regno Unito o Australia, la realtà sul campo non cambierebbe di una virgola, vista la strenua difesa di Israele da parte americana. Il rapido cambiamento almeno della retorica a livello internazionale impone tuttavia il giochetto delle parti tra Washington e Tel Aviv sull’illusione di una trattativa promettente, se non in dirittura d’arrivo, per arrivare a un cessate il fuoco.

Come al solito, la messinscena inizia con una sparata di Trump sui social che annuncia buone notizie in arrivo sulla crisi di Gaza. Ciò è avvenuto anche nei giorni scorsi con il consueto post sul suo social Truth. A fare da contorno ci sono poi notizie su scambi di proposte in relazione a un potenziale accordo che, però, finisce immancabilmente nel nulla mentre i palestinesi continuano a morire per mano di Israele.

Secondo questo copione, Trump avrebbe così presentato a Hamas una nuova bozza di intesa per mezzo di un attivista israeliano in contatto con l’inviato speciale della Casa Bianca, Steve Witkoff, e senza passare attraverso la mediazione di Egitto e Qatar. Il movimento di liberazione palestinese ha fatto sapere da parte sua di avere ricevuto la proposta e di essere disponibile come sempre a un accordo se le condizioni basilari annunciate da tempo verranno prese in considerazione e garantite (stop all’aggressione militare, abbandono totale di Gaza delle forze di occupazione, rilascio dei prigionieri da entrambe le parti, governo e gestione della ricostruzione della striscia affidati a una apposita commissione indipendente).

I termini esatti della più recente proposta americana non sono però noti pubblicamente ma, secondo quanto ha scritto e affermato Trump, non si discostano dalle posizioni già esposte nel recente passato da USA e Israele. In sostanza, il governo degli Stati Uniti chiede la resa incondizionata di Hamas e la garanzia che Israele possa vedersi facilitate le operazioni di sterminio e “pulizia” della striscia. Hamas dovrebbe infatti liberare tutti gli “ostaggi” israeliani che ha ancora nelle proprie mani già il primo giorno dell’implementazione dell’eventuale tregua. Per il resto non sono previste garanzie, ma ci si dovrebbe soltanto fidare della parola di Trump e del suo impegno a favorire un negoziato con Tel Aviv per rendere permanente il cessate il fuoco.

Tradotto: Hamas dovrebbe cedere su tutta la linea, firmando la propria condanna a morte e la fine definitiva di qualsiasi rimanente aspirazione palestinese, così da consentire a Netanyahu e al suo governo di fascisti di riprendere immediatamente il genocidio senza preoccuparsi della sorte degli “ostaggi”. Come hanno già dimostrato le vicende attorno alla liberazione di Edan Alexander qualche mese fa, Trump non ha nessuna intenzione di adoperarsi per la pace, ma vuole usare l’incentivo della diplomazia per ingannare Hamas e permettere al regime sionista di “finire il lavoro” a Gaza.

Non esiste d’altra parte nemmeno il minimo accenno a un piano di ricostruzione o di governance post-bellica che implichi il ritiro delle forze di occupazione dalla striscia, vale a dire la condizione centrale posta legittimamente da Hamas per un accordo. Al contrario, le voci di questi giorni su una nuova proposta diplomatica allo studio seguono la notizia della conferma dei piani di USA e Israele per implementare il progetto distopico e genocida volgarmente noto, mutuando la retorica trumpiana, come “Gaza Riviera”.

Terroristi e “terroristi”

Se il regime sionista risulta essere probabilmente l’entità responsabile dei crimini più gravi dal secondo dopoguerra, ad eccezione degli Stati Uniti, altrove nelle “democrazie” europee i criminali o, addirittura, i terroristi sono considerati invece coloro che protestano contro la brutalità israeliana. È il caso ad esempio del Regno Unito, dove nel fine settimana la dimensione orwelliana del governo di Keir Starmer è apparsa nuovamente chiara con l’arresto di circa 900 partecipanti a una manifestazione contro il genocidio e a sostegno della rete di azione Palestine Action, classificata assurdamente come organizzazione terroristica dallo stesso esecutivo laburista.

Il corteo di sabato a Londra era stato organizzato dal gruppo di attivisti Defend Our Juries. Molti partecipanti avevano con sé cartelli che dichiaravano l’appoggio a Palestine Action, in segno di sfida alla decisione del governo. Come annunciato il giorno prima dalla polizia della capitale, gli agenti sono intervenuti in massa e con metodi brutali per arrestare centinaia di partecipanti pacifici. Esprimere sostegno a una organizzazione definita come terroristica, secondo il dettato della legge britannica del 2000, può portare a una condanna fino a 14 anni di carcere. I quasi novecento arresti eseguiti sabato a Londra si aggiungono ai fermi già registrati almeno negli ultimi due mesi nel corso di altre manifestazioni nel Regno Unito a favore di Palestine Action e contro il regime sionista.

Anche in precedenza, il governo laburista complice del genocidio era ricorso alla repressione pura e semplice per soffocare le proteste. In maniera ultra-provocatoria, durante un evento a inizio anno la polizia aveva anche fermato e interrogato l’ex leader laburista Jeremy Corbyn e il suo stretto collaboratore, John McDonnell. Vittime delle forze di sicurezza, lo scorso fine settimana come in precedenza, sono spesso anche partecipanti anziani e disabili, come hanno mostrato diversi video circolati in rete.

Il vergognoso governo di Starmer, che ha promesso di riconoscere a breve lo stato di Palestina, continua quindi a dimostrare nei fatti il suo sostegno al genocidio, usando da un lato il pugno di ferro contro chiunque denunci pubblicamente Israele e continuando dall’altro a coltivare la partnership militare e strategica con il regime del criminale di guerra Netanyahu.

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